5. L’unico stasimon
5.4 L’unità del canto e la funzione del ruolo corale come “lettore” interno
Ricapitolando brevemente, nel corso della trattazione si è potuto constatare, alla lu- ce del confronto con i precedenti interventi del Coro, come sia preferibile intendere il suo ruolo, per tutto lo svolgimento dello stasimo, coerente con il personaggio drammatico in- terpretato. Questo nonostante la possibile obiezione per cui appare senza scopo la conti- nuazione dell’inganno mentre i diretti interessati non sono presenti, avendo considerato come poco probabile, o comunque indimostrabile con precisione, anche l’ipotesi che Neot- tolemo e Filottete anticipino il loro ingresso rispetto all’ultima stanza dell’ode. Come già accennato, è stata avanzata ancora un’altra proposta per spiegare il comportamento dei ma- rinai, che prevede, a differenza della precedente, l’unità e la coerenza del canto; Schmidt
228 Un ulteriore elemento che può essere utilizzato a conferma della convenienza di considerare questo inter-
vento in maniera unitaria viene dall’analisi dei tempi verbali: mentre nella parodo la solitudine e le privazioni di Filottete sono descritte al presente, nello stasimo queste difficoltà sono viste come appartenenti al passato. L’uso dell’imperfetto sembra indicare la consapevolezza del Coro che le sofferenze stanno per avere un ter- mine grazie all’intervento di Neottolemo, dunque il nesso νῦν δ(έ) non segnalerebbe un voltafaccia improvvi- so, ma veicola l’attenzione verso una conclusione prospettata dall’intera ode, cfr. Tarrant (1986), pp. 126-7. Cfr. anche Burton (1980), p. 238.
82 (1973)229, infatti, ipotizza che l’intero intervento corale si svolga nella convinzione che possa essere ascoltato dai due uomini all’interno della caverna, con lo scopo di convincere Filottete a fare totalmente affidamento nel giovane comandante. Le convenzioni sceniche del dramma tragico, in effetti, prevedono l’eventualità di uno scambio di suoni fra il retro- scena e lo spazio antistante, ma l’utilizzo di questa risorsa si delinea in base alle necessità del contesto specifico. Nell’opera in questione, si possono evidenziare numerose situazioni nelle quali si fa riferimento alla possibilità di essere ascoltati di nascosto o alla volontà di non essere sentiti, sia in scena che fuori; pertanto, non è improbabile che il drammaturgo fornisca al pubblico la facoltà di supporre che il canto venga inteso anche dai due protago- nisti, pur non presenti, fornendo così un contesto per lo stasimo230. Tuttavia, quello che si vuole ora dimostrare è la mancanza della necessità di questa trovata per giustificare le pa- role del Coro; senza dubbio i marinai si esprimono, almeno formalmente, in accordo con la finzione dello stratagemma e dunque sulla premessa fraudolenta del rimpatrio, ma non oc- corre presupporre una loro palese intenzione di avanzare l’inganno, o che indossino all’occorrenza una maschera cinica dopo aver manifestato la propria sincera pietà nei con- fronti di Filottete231.
Per chiarire questo punto, che può risultare a prima vista controverso, appare utile innanzitutto citare Dobrov (2001) e il suo contributo sulla questione; il comportamento dei marinai viene spiegato dall’autore con un motivo metateatrale, inteso come la messa in scena, da parte del Coro, di una situazione diversa all’interno di una cornice drammatica più ampia, in un meccanismo simile a una mise en abyme232 letteraria. Questa “rappresen- tazione nella rappresentazione” corrisponderebbe, in questo caso, alla finzione orchestrata sin dal prologo ai danni di Filottete e, soprattutto, viene messa tecnicamente in atto con
229 Cfr. Schmidt (1973), pp. 132-33. 230
L’ipotesi di Schmidt è sostenuta con un’articolata argomentazione da Tarrant (1986), pp. 127-8, il quale riporta tutti i passi della tragedia in cui vi è una comunicazione con lo spazio dietro le quinte o in cui si pro- spetta la possibilità di essere origliati; la mancanza di indizi verbali che permettano di confermare che questo avvenga anche nel caso dello stasimo non sarebbe un problema, in quanto «such a sophisticated and naturali- stic use of the stage would be fully consistent with the character of the play as a whole», p. 128. Tarrant, inol- tre, non concorda sul fatto che l’ode debba influire sul comportamento di Filottete nei confronti di Neottole- mo, ma si limita a constatare come questa circostanza permetta di connettere lo stasimo al ruolo del Coro in- terpretato fino a questo punto.
231 Di questa seconda opinione anche Pucci (2011), e Ussher (1990), il quale, notando come i marinai non
sembrano preoccuparsi di uscire dalla situazione drammatica, spiega le loro parole imputandole a una sorta di dissonanza conoscitiva: «they wish, of course, for Troy’s fall and their own young leader’s glory: they also wish, confused as they are in their emotions, that Philoctetes could in fact go home», ad 721-726, p. 134. Questo interpretazione aderisce particolarmente alla tendenza di considerare il ruolo corale nella sua coeren- za psicologica di personaggio, un approccio che viene sostenuto da una parte della critica nei confronti dei Cori particolarmente coinvolti nell’azione drammatica, p. es. nel caso di Eschilo, cfr. Podlecki (1972).
232 Si utilizza, qui, questa espressione in riferimento al contesto letterario sulla scorta della definizione che ne
83 l’intervento del falso mercante (vv. 542-627). Anche il Coro, dunque, a partire dal momen- to in cui offre la sua totale collaborazione a Neottolemo, entra nella recita interna al dram- ma, che non si interrompe nemmeno quando in scena sono assenti i diretti interessati e, per questo motivo, non si crea la necessità di giustificare la mancata uscita del gruppo corale dalla situazione drammatica233. Questa interpretazione, che si appoggia a una particolare codificazione della finzione messa in atto all’interno dell’opera, definita come una metafic- tional strategy, giustifica il contenuto e la coerenza dello stasimo senza richiedere presenze esterne al testo o senza riscontrare eventuali incoerenze espressive, ma continua a prevede- re, in parte, una legittimazione psicologica dell’entità corale come personaggio, un approc- cio che può risultare insufficiente a cogliere tutte le sfaccettature del suo ruolo. Per questo motivo, quindi, pur concordando sul fatto che le parole del Coro non mirano a un consape- vole e coerente avanzamento della situazione ingannevole, come sottolineato da Dobrov, sembra però alquanto preferibile intenderle in una concezione parzialmente differente. Ri- prendendo, infatti, la posizione esegetica che considera il ruolo drammatico corale come punto di vista “interno” di quanto sta accadendo sulla scena, si può supporre che questo ac- cada anche in questo caso, in una via di mezzo fra il suo “reale” coinvolgimento come per- sonaggio e la funzione ipotizzata da T. von Wilamowitz, di cui si è detto supra.
Per intendere meglio la posizione che si vuole sostenere, è utile aggiungere la con- vinzione per cui non sia da negare il fatto che, in generale, lo stasimo rimanga il momento in cui il Coro, attraverso il canto e le sue parole, possa dare maggiormente espressione al pensiero e alla volontà del poeta, come non accade mai per gli altri personaggi. Senza dub- bio, l’ode concede la possibilità di vedere l’azione in una prospettiva più ampia, chiudendo una serie di azioni incominciate con l’ingresso di Filottete e facendone da cornice insieme alla parodo; al contempo, descrivendo le passate sofferenze fisiche dell’eroe, prepara la scena successiva in cui avverrà l’attacco del male. Inoltre, questo momento di riepilogo, pur apparendo essenzialmente statico, in realtà è altamente instabile e aumenta la tensione drammatica, poiché l’evento prospettato, per quanto ne sappia lo spettatore, non sta per ac- cadere. Nondimeno, l’affermazione che Filottete sarà “felice e grande”, εὐδαίμων καὶ μέγας (v. 720), grazie all’intervento di Neottolemo e al rimpatrio, nella sua assurdità e nel suo essere la parte più vistosamente falsa del canto, in realtà ha in sé i presupposti per as-
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Cfr. Dobrov (2001). Questa assimilazione formale del Coro alla finzione stabilita all’inizio della trama non finirà finché Filottete sarà ancora coinvolto nell’inganno e finché non si sarà consumato il conflitto inte- riore vissuto da Neottolemo, dopo l’intervento di Odisseo. «On this reading, then, − conclude Dobrov – the chorus is seen as neither engaging in outright deceit […] not creating violent cognitive dissonance […] but rather being complicit in a striking theatrical experiment», p. 31.
84 sumere un diverso significato alla luce di quanto seguirà. Alla luce di questo aspetto, può sembrare che Sofocle incoraggi in qualche modo gli spettatori a riflettere sull’inattuabilità di questa via di salvezza234, invitandoli a pensare a quale sia l’unica soluzione effettiva- mente prospettabile. Nel fare ciò, adombra nell’ultima stanza un riferimento all’apoteosi di Eracle che non appare casuale, in quanto, come già accennato235, aiuta a creare una con- nessione con la scena finale del dramma, quando lo stesso eroe interverrà, deus ex machi- na, e riaffermerà le stesse parole del Coro (1421-25) 236, dando loro validità. Dunque, ben- ché si parli manifestamente del rimpatrio, il pubblico può intendere che il protagonista ot- terrà la sua ricompensa, alla fine delle sue fatiche, non nella Malide, ma a Troia e “dopo un grande numero di mesi”, πλήθει πολλῶν μηνῶν (v. 721-22), un’indicazione interpretabile sia come il lungo periodo trascorso a Lemno, ma anche come il tempo che deve intercorre- re fino alla caduta della città di Priamo237. Non si vuole, con questo, affermare che il grup- po corale si faccia portavoce consapevole di tale ambiguità, ma si può facilmente ipotizza- re che il drammaturgo la presupponga, ideando una coesistenza, all’interno della medesima frase, di un consapevole inganno e di una verità involontaria. Le interazioni che si è cerca- to di rintracciare fra il canto e il più largo contesto dell’opera con probabilità passano inos- servate alle prime impressioni dell’uditorio, ma fanno parte di quel raffinato tocco d’arte poetica che, insieme alla spiccata teatralità, caratterizza il dramma attico e, specialmente, l’opera in questione.
234 Salvezza non praticabile per le ragioni di cui si è già detto: il pubblico sa che l’affermazione del rimpatrio
è costruita su una menzogna, inoltre l’accenno alle tribolazioni inflitte a Issione ed Eracle ricorda che anche Filottete è afflitto da un’impurità divina, che non sarà curabile se non alle condizioni imposte dagli dei.
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Cfr. supra nt. 215, p. 73, e l’ipotesi di Davies (2001), p. 57-58.
236 Eracle: «[…] anche tu, sappilo bene, devi patire altrettanto, / per avere da tante pene vita gloriosa. / Andrai
con quest’uomo alla città di Troia, / sarai prima guarito dal tuo grave male, / e scelto primo per valore di tutto l’esercito», vv. 1421-25, trad. G. Cerri.
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