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5. L’unico stasimon

5.2 Stasimo – coppia strofica βʹ

οὐ φορβὰν ἱερᾶς γᾶς σπόρον, οὐκ ἄλλων στρ. βʹ αἴρων τῶν νεμόμεσθ’ ἀνέρες ἀλφησταί, πλὴν ἐξ ὠκυβόλων εἴ ποτε τόξων 710 πτανοῖς πτανῶν ἀνύσειε γαστρὶ φορβάν. ὦ μελέα ψυχά· ὃς μηδ’ οἰνοχύτου πώματος ἥ- σθη δεκέτει χρόνῳ, 715 λεύσσων δ’ ὅπου γνοίη, στατὸν εἰς ὕδωρ αἰεὶ προσενώμα. 

“Non come foraggio il raccolto della terra sacra, non raccogliendo / fra le altre cose di cui noi uomini produttori ci nutriamo, / a meno che non si procacciasse talvolta nutrimento per

196

Cfr. Moorhouse (1982), p. 88.

708. σπόρον codd. pler.: πόρον ex σπόρον Lpc σπόρων VQ σῖτον Zo et gl. in nonnullis 711. πτανοῖς ἰοῖς

ἀνύσειε Brunck, Erfurdt edd.: πτανῶν ἀνύσειε πτανοῖς lKVGRZg πτανῶν πτανοῖς ἀνύσειε QZoTa | φορβάν om. Zo 715. πώματος Ls s. l., T: πόματος rell. | δεκέτει LacKVZgT: δεκετεῖ GR δεκάτη Qac (η in ει scr. Qpc, et ω supra ει Q1) δεκάτει Ta δεκαετεῖ Zo δεκέτη et χρόνον a 716. λεύσσων Taz: λεύσων KGγρQR λεύσσειν l λεύσειν GV | ὅπου: εἴ που Brunck propter metrum (cf. v. 728) | γνοίη et v. 728 πᾶσι del. Bergk | στατὸν εἰς ὕδωρ codd.: σρτατὸν, εἰς ὕ- Dawe (coll. vv. 217-8) σταγὸν’ (iam Schultz) εἰσιδὼν Gleditsch | totum v. ita redegit Headlam p. 106: λεύσσων δὲ στατὸν εἰς ὕδωρ (~ v. 728 θεός πλάθει [πᾶσι θείῳ]) 717. αἰεὶ T: ἀεὶ rell. | προσενώμα: πόδ’ ἐνώμα Wakefield

72 il ventre dagli alati uccelli / con le frecce alate, che colpiscono con rapidità. / O esistenza infelice! / Lui che, per il tempo di dieci anni non gustò un sorso di vino, / scrutando, dove la riconoscesse, ad ogni occasione / si dirigeva verso l’acqua stagnante.”

νῦν δ' ἀνδρῶν ἀγαθῶν παιδὸς ὑπαντήσας ἀντ. βʹ εὐδαίμων ἀνύσει καὶ μέγας ἐκ κείνων· 720 ὅς νιν ποντοπόρῳ δούρατι, πλήθει πολλῶν μηνῶν, πατρίαν ἄγει πρὸς αὐλὰν Μηλιάδων νυμφᾶν 725 Σπερχειοῦ τε παρ’ ὄχθαις, ἵν’ ὁ χάλ- κασπις ἀνὴρ θεοῖς πλάθει θεὸς, θείῳ πυρὶ παμφαής, Οἴτας ὑπὲρ ὄχθων. 

“Adesso, essendosi imbattuto nel figlio di grandi uomini, / riuscirà a essere felice e grande da quelle disgrazie: / questi, sul legno che attraversa il mare, dopo un grande / numero di mesi, lo riconduce in patria, alla dimora / delle ninfe meliadi / e presso le rive dello Sper- chèo, dove l’eroe dallo scudo di bronzo / si avvicina agli dei come un dio, splendente del fuoco divino, / oltre i rilievi dell’Eta.”

Schema metrico strofe-antistrofe βʹ

706-7 / 718-9 ascl min.

708-9 / 720-1 ascl min.

710 / 722 ascl min.

711-2 / 723-4 dim polisch. + reiz

713 / 725 ||H dodr A

714 / 726 dodr B + cho

719. παιδὸς ὑπαντήσας: παιδὶ συναντήσας Fröhlich 724. πατρίαν Porson ad Eur. Hec. v. 79: πατρῴαν codd. | ἄγει: ἀνάγει Κ 725. Μηλιάδων codd., cf. Björck p. 240: Μα- Erfurdt 726. ὄχθαις codd., def. Campbell, D. – I.: ὄχθας Hermann (perperam lectionem tribuens cod. G, cf. ad v. 729), edd. pler. 727. θεοῖς codd., edd. pler.: θεὸς Schneidewin, Headlam 728. πλάθει codd. pler. (et Gac), def. Kamerbeek: πλάθη QR, coni. Bergk, Dawe, Ll.-J. – W. -ῃGpc | θεὸς (vel πάλαι, vel πατρὶ) Hermann, θεός prob. Wilamowitz, edd. complures: πᾶσιν T, prob. B. Gentili per litteras πᾶσι rell. θεοῖς Schneidewin πατρὸς Jebb [πᾶσι θείῳ] Headlam (cf. ad v. 716) 729. ὄχθων codd. (et Qac): ὄχθας GQpcR ὄχθην Zg

73

715 / 727 dodr A

716 / 728 palimb + gl

717 / 729 ||| pher

La successiva coppia strofica presenta, al suo interno, una netta virata del tono e dell’argomento trattato, con l’introduzione, nell’antistrofe, della felice prospettiva del ri- torno in patria, un’idea che suscita stupore, come si è già accennato. Prima di questo repen- tino cambiamento emotivo e tematico, però, viene ripreso il sentimento di compassione verso le condizioni di Filottete, con una focalizzazione sulla sua alimentazione, che risulta in netto contrasto con quella tipica di una società strutturata e civilizzata. La strofe si divi- de contenutisticamente in due parti; la prima è dedicata al cibo e alla necessità del protago- nista di procacciarselo, a differenza di quanto normalmente avviene nelle comunità seden- tarie, in cui gli uomini ἀλφησταί, termine tratto dall’epica197

, si nutrono198 grazie al lavoro nei campi. Il passo si apre e si chiude, in una sorta di Ringkomposition, con la parola φορβάν (vv. 707 e 711) 199

, nella prima occorrenza in riferimento al cibo ricavato dalla ter- ra, nella seconda a quello ottenuto con la caccia; pochi versi prima il Coro aveva utilizzato l’aggettivo φορβάς (v. 700) per indicare la fertilità di Lemno, ma l’isola è feconda soltanto di erbe medicinali, non di grano, e sembra trasparire il messaggio per cui, dalla sua arida terra, possa germogliare solo la malattia stessa, che esclude Filottete dalla vita civilizzata di cui l’agricoltura è simbolo200

. Il rischio di morire di fame gli viene evitato soltanto dal suo arco e dalle sue frecce, indicate dalla ridondante espressione ἐξ ὠκυβόλων […] τόξων πτανοῖς πτανῶν (vv. 710-12), criticata per la doppia specificazione di τόξων e per la quale Brunk ed Erfurdt hanno proposto la correzione201 πτανοῖς ἰοῖς, supportata dal precedente utilizzo del nesso al v. 166. Nonostante ciò il testo tràdito, difeso da Kamerbeek (1980), ha

197 Il significato di questo epiteto può essere ambivalente: la formula omerica ἀνέρες ἀλφησταί viene solita-

mente interpretata come «men who live from food produced by agricultural labour», Schein (2013) ad loc., e di conseguenza “lavoratori”, “produttori”, anche sulla scorta dell’unico altro parallelo in tragedia, in Aesch.

Theb. 770, dove la parola sembra derivare da ἀλφάνω; tuttavia, qui è possibile che il poeta avesse in mente

l’etimologia popolare che connetteva il termine con ἄλφι e con la radice ἐδ-, “mangiatori di pane”, cfr. Jebb (1962) ad loc., in contrapposizione alla primordiale cultura di caccia e raccolta di frutti spontanei cui è co- stretto Filottete, cfr. Di Benedetto – Mirto, (1998), p. 224.

198 Il verbo νέμω (v. 709), solitamente usato per indicare il pascolo degli animali domestici, significa qui

“mangiare”, in relazione agli esseri umani, cfr. Chadwick (1996), s.v. νέμω, p. 203.

199

Preziosismo stilistico è il frequente ricorrere di questo termine, dal sapore omerico e già comparso ai vv. 43 e 162, denominante, in tutta la tragedia, il cibo di Filottete, forse con un voluto gioco allusivo al fatto che nei poemi la parola indichi prevalentemente la pastura degli animali.

200 Cfr. Segal (1981), p. 301. 201

74 la peculiarità di mantenere un gioco di parole, basato sulla ripetitività e sull’assonanza, che appare in linea con lo stile corale, pertanto tale intervento può apparire superfluo.

La seconda tematica della strofe, facendo da pendant alla prima, verte sulla ricerca dell’unica bevanda a disposizione, l’acqua, in assenza del vino. Il passaggio viene segnato dall’invocazione ὦ μελέα ψυχά· (v. 712), spesso usata dagli interpreti per sottolineare la pietà e la compassione dei marinai202, traducendo ψυχά con “anima”, per quanto il termine possa significare anche la vita di una persona. Dato il contesto, in cui si segnala la prosasti- ca assenza delle gioie del vino, forse è meglio intendere “o esistenza infelice”, come fa an- che Schein (2013), ad loc., il quale associa a questa sfumatura lessicale una considerazione riguardo al successivo pronome ὅς, un nesso relativo concordato ad sensum con l’idea di un uomo individuale, la cui vita è indicata da ψυχή. L’immagine conclusiva della stanza ricorda il lungo numero di anni, ἥσθη δεκέτει χρόνῳ (v. 715), passati dall’eroe fra gli sten- ti, costretto ad abbeverarsi nell’acqua stagnante delle pozze, senza quel vino che ancora simboleggia la civiltà, poiché la sua mancanza implica l’impossibilità di compiere le ceri- monie religiose e le libagioni agli dei203.

Quanto appena detto dal Coro si riallaccia con il contenuto della seconda antistrofe per mezzo di una forte avversativa, νῦν δ(έ) (v. 719), che per alcuni segna il punto in cui i coreuti sentono o vedono ritornare in scena Filottete e Neottolemo, in anticipo rispetto alla fine del canto204. Questa apparizione determinerebbe il ricordo delle promesse ingannevoli fatte al protagonista e giustificherebbe l’accenno al suo rimpatrio, in disaccordo con la pre- cedente consapevolezza che questo non potrà avvenire, poiché la profezia vuole che l’eroe vada a Troia insieme alle sue armi. Le varie alternative sulla posizione e i movimenti dei due attori nel corso di questa parte finale del canto sono state ampliamente esaminate da Gardiner (1987)205, la quale si esprime a favore del loro ingresso, non riscontrando alcuna incompatibilità di questa ipotesi con gli elementi stessi dell’ode, anzi, l’introduzione del nuovo argomento e il cambio di sentimento giustificherebbero la distrazione “fisica” sulla

202

Burton (1980), p. es., definisce l’esclamazione «a cry of compassion», p. 236.

203 Cfr. Segal (1981), p. 292.

204 Cfr., p. es., Jebb (1890), p. 119; Linforth (1956), pp. 122-23; Kirkwood (1954), p. 13; Kitto (1956), p.

118; Knox (1964), p. 130; Schmidt (1973), 130; Paduano (1982), p. 672. Dell’opinione contraria, anche per la mancanza di paralleli specifici, sono Kranz (1933), p. 221; Webster (1974), p. 114, il quale obietta che, in tal caso, il Coro si sarebbe rivolto a Filottete con la seconda persona; Burton (1980), p. 237, secondo cui νῦν δ(έ) segnala soltanto il forte contrasto di sentimenti, «[it] cancels the effects of the earlier part of the song as the chorus look forward with certainty to a complete reversal in Philoctete’s fortunes» p. 236; contrario anche Tarrant (1986), cfr. pp. 125-6 per le due motivazioni per le quali, a suo giudizio, non è necessario l’ingresso anticipato dei due attori.

205 Cfr. Gardiner (1987), pp. 31-36, dove viene scartata l’ipotesi che i due attori assistano allo svolgersi dello

stasimo, come sostiene Errandonea (1958), pp. 374-375, il quale basa la sua convinzione sull’idea, alquanto improbabile, di un’errata attribuzione dei vv. 671-73, pronunciati da Filottete e non da Neottolemo.

75 scena. La questione verrà ripresa in seguito, poiché gioca un ruolo importante nel dibattito sull’interpretazione del finale dello stasimo206

. Prima, però, è preferibile terminare l’analisi della seconda coppia strofica, per comprendere al meglio gli elementi di continuità con quanto precede e determinare gli effetti del cambio della prospettiva corale.

Il nuovo stato d’animo generale riecheggia la gioia e l’emozione delle parole dello stesso Filottete (vv. 663-66), quando elenca i benefici che si aspetta da quello che ricono- sce come suo salvatore, Neottolemo. Quest’ultimo non viene ora nominato, ma la sua iden- tità è celata dalla perifrasi ἀνδρῶν ἀγαθῶν παῖς (v. 719), il giovane discendente dai valoro- si Achille, Peleo ed Eaco, la cui nobiltà d’animo darà luogo allo sperato ritorno sulla sua nave che solca il mare, ποντοπόρῳ δούρατι (v. 721), un poeticismo dall’epiteto di deriva- zione omerica, al quale Sofocle associa metonimicamente il termine δόρυ in luogo di ναῦς207

. La patria tanto agognata è introdotta dalle parole αὐλὰν Μαλιάδων νυμφᾶν (vv. 714-15), un preziosismo linguistico, in cui il termine αὐλή, di solito indicante i campi o i cortili208, suggerisce l’immagine di una dimora ancestrale, collocata fra colline, boschi e corsi d’acqua. La specificazione geografica si arricchisce ulteriormente con la citazione delle rive dello Sperchèo, presso le quali “il guerriero armato di bronzo”209

è stato arso nel- la sua pira funebre. La criptica allusione cela la figura di Eracle, la cui morte, come narrata nelle Trachinie, avvenne per colpa del centauro Nesso, a seguito degli atroci dolori inflitti- gli dal veleno dell’Idra, in preda ai quali l’eroe si fece issare sul rogo e da lì ascese all’Olimpo, in mezzo allo splendore dei fulmini, evocati dall’ambivalente espressione θείῳ πυρὶ παμφαής (v. 728) 210

. Il riferimento mitologico, in questo caso, non ha una funzione paradigmatica e sembra quasi, ad una prima lettura, introdotto dal poeta con il solo scopo di aggiungere un ulteriore richiamo alla terra di origine di Filottete211, con un arricchimen- to dello stile già elaborato del passo. In realtà, com’è stato evidenziato212, difficilmente le ragioni dell’allusione sono da annoverare solamente nella ricercatezza stilistica e nella vo-

206 Cfr. infra, par. 5.3, p. 79.

207 Cfr. Ellendt (1872), p. 179, per la definizione della metonimia, Marchiori (1995), p.105, Pucci (2011) e

Schein (2013) ad. loc.

208 Cfr. LSJ (1996), s.v. αὐλή e Jebb (1962), per i riferimenti nel senso di “abode”, p. 120.

209 La perifrasi ὁ χάλκασπις ἀνήρ (v. 726), indicante Eracle, lo definisce come un oplita, non diverso da un

guerriero omerico, in un’immagine precedente alla classica iconografia che vede l’eroe armato di arco, clava e λεοντίς. Questo probabilmente perché Sofocle vuole richiamare l’episodio della presa di Ecalia in Eubea, città che si situa vicino all’Eta, creando così un collegamento tematico, cfr. Ussher (1990), p. 134, e Jebb (1962) per ulteriori ipotesi.

210 Come raccontano Apollodoro, II 7, 14 e Diod. Sic., IV 38, 4. Per il duplice riferimento di θείῳ πυρὶ sia al

fuoco della pira che ai fulmini, cfr. Schein (2013) ad loc.

211 Il racconto mitico vede l’intervento di Filottete nell’accendere la pira sul quale giaceva Eracle morente;

come segno di riconoscenza, ricevette in cambio le sue divine armi.

212 Cfr. spec. Davies (2001), pp. 53-58, per una complete analisi del confronto fra il paradigma di Issione e

76 lontà di creare una mera simmetria con la prima strofe, a maggior ragione trattandosi dell’unico canto formalmente completo della tragedia. A una più approfondita lettura, il fatto che di Eracle venga ricordata l’apoteosi, messa in risalto formalmente dalla giustap- posizione ἀνὴρ θεοῖς (v. 726), crea un rafforzato legame con l’altro mortale che ha avuto la possibilità di accedere all’Olimpo, Issione, la cui storia è ricordata all’inizio dell’ode. Il confronto si arricchisce ulteriormente alla luce del contrasto fra l’accostarsi colpevole di quest’ultimo al letto di Era, indicato da πελάταν al v. 677, e l’avvicinamento di Eracle agli dei, θεοῖς / πλάθει (v. 727)213

, dove è da notare la derivazione di entrambi i termini dalla stessa radice verbale; nel primo caso, ad un uomo viene concesso l’innalzamento al divino, ne perde il diritto per sua grave colpa e a causa di ciò viene sottoposto ad atroci sofferenze, mentre nel secondo, l’innalzamento agli Olimpi avviene dopo un percorso inverso, fatto di dure e terribili prove. Inoltre, un altro “accostarsi” viene evocato nella mente degli spetta- tori in queste circostanze, quello di Filottete all’altare di Crise, come verrà ricordato al v. 1327, Χρύσης πελασθεὶς φύλακος, dove si parla del “guardiano” del dio, il serpente che con il suo morso causò l’inguaribile ferita. Il rapporto speculare fra le figure mitiche men- zionate dimostra l’unità dello stasimo e conduce il pubblico ad interrogarsi sulle loro pos- sibili relazioni con il destino del protagonista214, al quale viene prospettata una via di sal- vezza che non appare praticabile, poiché il semplice rimpatrio non risolverebbe il suo ma- le, di origine divina. In questa condizione si adombra l’ironia tragica, poiché, da un lato, il paradigma mitico inizialmente scelto dal Coro risulta fuori luogo, a causa del divario fra il destino di Issione, condannato a una pena senza fine, e le rosee prospettive auspicate a Fi- lottete di ritornare a casa, mentre, in seconda analisi, diviene chiaro che per l’eroe non vi è speranza di gloria, né di porre fino alle sue afflizioni fisiche, a meno che non sovvenga un cambiamento nel corso degli eventi215. La parte finale di questo brano corale, così denso concettualmente e di notevole importanza per l’ermeneutica del suo ruolo, non si discosta a livello formale dalle altre stanze, presentando una notevole elaborazione stilistica, caratte- rizzata dalle allitterazioni dei suoni θ, π, φ e χ, nonché dal ricorrere, a breve distanza, dei

213

La forma πλάθει è variante poetica per πελάζω. I codd. QR leggono l’aoristo πλάθη, accolto da Bergk, per la difesa del presente storico cfr. Kamerbeek (1980), ad loc.

214 Kitzinger (2008) evidenzia la presenza di due modelli possibili per le sofferenze dell’eroe, sostenendo che

lo scopo del Coro sia di permettere alla storia del protagonista di conformarsi a uno dei due, assumendo così forma e significato dallo schema mitico, cfr. p. 101.

215

Secondo l’interpretazione di Davies (2001), l’evocazione dell’apoteosi di Eracle anticipa la sua apparizio- ne finale come deus ex machina, simboleggiando l’esito felice della vicenda e l’aspetto migliore delle capaci- tà umane. Filottete nel corso del dramma continuerà a soffrire, come Issione, ma dopo l’apparizione dell’eroe andrà a Troia, verrà guarito e conquisterà la città, come accadde allo stesso Eracle, con il quale si instaura il nuovo paragone, cfr. Davies (2001) p. 58.

77 termini dalla stessa radice, come ὄχθαις (v. 726) e ὄχθων (v. 729) o θεοῖς, θεός216

e θείῳ. Lo stasimo si conclude, dunque, con questi toni di entusiastico, quanto probabilmente fal- so, ottimismo, sulla cui interpretazione ora si cercherà di fare chiarezza.