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4. Gli interventi nel primo episodio

4.2 Il canto di supplica – antistrofe (vv 507-18)

Consegue, a questo intervento, uno scambio di battute fra Neottolemo e Filottete, che viene informato della morte dei più valenti e onesti eroi achei, senza i quali l’esercito greco rimane soltanto nelle mani degli individui peggiori, da cui il giovane figlio di Achille ha deciso di allontanarsi facendo ritorno alla sua Sciro petrosa. La scaltrezza di quest’ultimo si manifesta nuovamente nella fretta di prendere il largo anche da Lemno, poiché, di fronte al dileguarsi della rinnovata speranza di liberarsi dall’involontario esilio, Filottete lo supplica di portarlo con sé; tale richiesta verrà presto accolta, verso il culminare dell’astuta trappola in cui il claudicante arciere è caduto. Prima del consenso del suo co-

147 Cfr. Gardiner (1987), pp. 24-6, ma cfr. anche supra, nt. 138. 148

Schein (2013), notando che il Coro si ferma a un passo dal formulare un falso giuramento: «in this way

they (barely) preserve their conventional authority to interpret the events of the play in choral song, even while their attempt τὸ παρὸν θεραπεύειν (149) shows how such choral song can be manipulated and manipu- lative», ad 391-409.

149 Gardiner (1987) evidenzia come il Coro si dimostri capace di un’azione indipendente, prendendo

l’iniziativa nel mentire e introducendo l’elemento del divino, quasi come in possesso dell’omerica inventività e mancanza di scrupoli tipiche di Odisseo, cfr. p. 26. Kitzinger (2008), invece, pur ammettendo che vi sia una partecipe manipolazione ingannevole degli aspetti temporali della storia, continua asserendo che «lying to

strenghten Neoptolemos’ plot doesn’t make the chorus an actor», piuttosto, anche la sua voce viene a inserir-

56 mandante, però, il Coro prende nuovamente la parola, anche questa volta non per esprime- re un semplice commento in trimetri, ma con un canto drammaticamente sorprendente e incisivo, a sostegno della pietosa preghiera.

Χο. οἴκτιρ’, ἄναξ· πολλῶν ἔλε- ἀντ. ξεν δυσοίστων πόνων ἆθλ’, ὅσσα μηδεὶς τῶν ἐμῶν τύχοι φίλων. εἰ δὲ πικρούς, ἄναξ, ἔχθεις Ἀτρείδας, 510 ἐγὼ μέν, τὸ κείνων κακὸν τῷδε κέρδος μετατιθέμενος, ἔνθαπερ ἐπιμέμονεν, 515 ἐπ’ εὐστόλου ταχείας νεὼς πορεύσαιμ’ ἂν ἐς δόμους, τὰν θεῶν νέμεσιν ἐκφυγών. 

“Abbi pietà, signore; ha narrato gli sforzi / consistenti di numerose fatiche / difficili da sopportare, quali nessuno dei miei amici abbia in sorte. / Se detesti, o signore, gli odiosi Atridi, / io certo, volgendo / il male commesso da loro / a grande vantaggio di costui, lì do- ve lo desideri, / sulla veloce nave ben equipaggiata, / lo porterei a casa, fuggendo / la puni- zione degli dei.”

Il tema della pietà si ripropone nuovamente, echeggiato dalla sezione centrale della parodo (v. 169, οἰκτίρω νιν ἔγωγ’…). La differenza, in questo caso, consiste nel fatto che tale compassione e tale sostegno giocano sull’ambiguità, facendo parte di un intervento che mira a sostenere l’inganno, come si evince da quanto viene successivamente affermato. Nondimeno, le parole del Coro mantengono un fragile rivestimento di autenticità150, al punto che non lo si può accusare di pronunciare una vera e propria menzogna, in quanto le sue affermazioni sono passibili di una duplice lettura151. Agli occhi di Filottete, il senti-

507. post πολλῶν add. δ’ T 509. ὅσσα LSGZgTa (ὅσσων a s.l.), Campbell, D. – I.: ὅσα KVQR οἷα, fort.

Yac ἅττα Zo ἅσσα Porson (p. 237) οἵα Porson (p. 204), Dawe, Ll.-J. – W. | τύχοι: λάχοι Seyffert 510. Ἀτρείδας ἔχθεις R et coni. Bergk, D. – I. 515. μετατιθέμενος Tγρ ΣL Campbell, Jebb, D. – I.: μέγα τιθέμενος

rell., Dawe, Ll.-J. – W. | ἐπιμέμονεν Turn.: ἐπιμέμηνεν T ἐπεὶ μέμονεν codd. plerique ἐπεὶ μέμηνεν G

ἔλει ἐπεὶ μέμονεν V 517. ἐκ post Hermann secl. pler., def. Webster, Andreatta.

150 Cfr. Paduano (1982), p. 659, nt. 33.

151 Il significato diverso delle sue parole per gli attori e per l’uditorio fa parte dell’ironia attraverso la quale si

57 mento che si vede esprimere e che lo implica come un amico è reale, in risposta alla sua precedente richiesta di avere pietà di lui (v. 501, σύ μ’ἐλέησον), mentre il pubblico perce- pisce il contrario, sapendo che, in realtà, egli viene considerato un nemico e che si sta met- tendo in atto un imbroglio. Infatti, la premessa da cui consegue il resto del discorso corale, ovvero l’odio provato da Neottolemo nei confronti degli Atridi (v. 510, εἰ δὲ πικρούς, ἄναξ, ἔχθεις Ἀτρείδας), è senza dubbio falsa, perciò la volontà di ricondurre l’eroe ferito a casa perde di credibilità e il luogo verso dove si desidera andare (v. 515, ἔνθαπερ ἐπιμέμονεν) si configura, a chi può coglierne la doppiezza, come la città di Troia. La con- sapevolezza, per chi ha seguito dal principio la vicenda, che si stia tessendo un intrigo, sembra venire in parte accresciuta dall’utilizzo di un linguaggio odissiaco, ad esempio con l’utilizzo di κέρδος (v. 512)152

. A tutto ciò si aggiunge il richiamo all’intervento divino, che sorregge pretestuosamente la necessità di accogliere la supplica, altrimenti la rabbia degli dei potrebbe punire la violazione di quanto previsto dall’etica della φιλία. Analoga- mente a quanto accade nella strofe, anche qui il richiamo alla religiosità sembra essere sol- tanto manipolatorio, lievemente blasfemo, al fine di nascondere la falsità di quanto pro- messo e celare le sue vere intenzioni153.

Un’altra lettura possibile, avanzata da Kitzinger (2008), è quella di interpretare la doppiezza che caratterizza questa stanza anche in un’altra direzione, constatando l’impossibilità di stabilire il reale proposito del Coro e prendendo in considerazione l’eventualità che la sua implorazione sia reale e sincera154

. In tal caso, anche il presupposto falso riguardante l’odio di Neottolemo nei confronti dei capi argivi andrebbe letto diversa- mente, ipotizzando che durante il discorso di Filottete lo stato d’animo del giovane subisca effettivamente un mutamento e che i coreuti facciano appello ai nuovi sentimenti del loro comandante come appoggio per la loro successiva proposta. Tralasciando quest’ultima eventualità, impossibile da dimostrare e forse troppo azzardata alla luce delle considera- zioni proposte precedentemente, resta il fatto che l’intervento corale in questione suscita

152 Cfr. v. 111, Οdisseo: ὅταν τι δρᾷς εἰς κέρδος, οὐκ ὀκνεῖν πρέπει. 153 Cfr. Schein (2013), ad 510-18, p. 208.

154

La studiosa vede celato nell’ambigua e sapiente costruzione sintattica dell’antistrofe l’intento sofocleo di creare un equivoco sulle intenzioni e sullo scopo del canto corale. L’automatica assimilazione del ruolo del Coro nell’illusione dell’inganno, sostiene, viene scartata dalla possibilità che la pietà inizialmente espressa sia reale, elemento avallato dal richiamo alla stanza centrale della parodo di cui si è discusso. Cfr. pp. 92-95. Diversamente, altri interpreti considerano la compassione dimostrata come un sentimento reale, ma utilizzato ugualmente per portare avanti il raggiro, p. es. Jebb (1962) ad 507-518, p. 89, o Kamerbeek (1980): «it is

immaterial whether the Chorus really feel pity, rather is this an altogether false question. The appeal to Ne- optolemus’ pity belongs to the deceit.», ad 507-518, p. 87. Paduano (1982) vede la pietà del Coro «facile e

sconsiderata» e continua: «la doppia funzione che il coro esercita, simpatia per l’eroe e partecipazione all’intrigo, non crea uno spazio conflittuale», p. 659, nt. 33.

58 grande sorpresa e si colloca in un punto focale del dramma, in cui sembra che si avvicini la realizzazione dei piani di Odisseo ma, al contempo, appare anche vacillare la ferrea ade- sione di Neottolemo a tali propositi.

Lo scambio di battute successivo chiarifica questo aspetto o, piuttosto, rende ancor più difficile fornire un’interpretazione lineare delle intenzioni dei marinai. Infatti, la loro iniziativa viene redarguita dal giovane comandante, che li accusa di frettolosità, non pren- dendo in conto le possibili conseguenze dell’imbarcare a bordo un uomo affetto da un così grave morbo, e di potersene pentire successivamente155. La risposta che ne consegue è di sicura certezza, enfatizzata stilisticamente dall’iperbato e dalla costruzione con l’accusativo interno: il pentimento previsto non si manifesterà, τοῦτ’ οὐκ ἔσθ’ ὅπως ποτ’ εἰς ἐμὲ / τοὔνειδος ἕξεις ἐνδίκως ὀνειδίσαι (“non ci sarà mai occasione che tu mi possa rin- facciare a ragione tale rimprovero”, vv. 522-3). Si può supporre che l’irritato rimprovero abbia la funzione di drammatizzare ulteriormente il passo, rendendo più attendibile la deci- sione favorevole al supplice, ma la continuazione della farsa non è strettamente necessaria allo scopo e non sembra del tutto convincente156. Pertanto, altre strade interpretative sugge- riscono l’emergere di un certo imbarazzo, di uno scrupolo morale, in Neottolemo, il quale adotterebbe ora la strategia di tagliare corto, incerto su come procedere. Tuttavia, quello che esplicitamente determina la sua emergente passività è l’imprevedibile scavalcamento attuato dai suoi marinai, che lo anticipano, con una proposta inattesa, riducendo il suo con- trollo sulle fila della trappola.