4. Gli interventi nel primo episodio
4.3 Un particolare esempio di canto corale infraepisodico
L’elemento forse più caratteristico, dunque meritevole di ulteriori considerazioni, dei due canti corali finora esaminati si riscontra a livello formale, come si è già brevemente accennato. Lo schema metrico-ritmico delle due stanze è identico, facendole risultare, così, una strofe e un’antistrofe separate da un centinaio di versi. Il ritmo d’apertura è giambico e cretico, mentre il periodo principale è principalmente docmiaco157, con inserzione di bac- chei e giambi.
155 «Sta’ attento! Ora ti mostri corrivo, / ma quando sarai infestato dal contatto col morbo, / potresti mostrarti
diverso rispetto a queste parole», vv. 519-21, trad. di G. Cerri.
156 Cfr. Pucci (2011), ad 519-29, p. 222, contra Reinhardt (1933).
157 Schein (1988) associa l’utilizzo del docmio all’inganno: «it is well known that dochmiacs in tragedy usu- ally are associated with intense or heightened emotion; in the Philoktetes, such emotion is clearly associated with the chorus part in deceiving the hero», p. 200.
59 391/507 2ia 392/508 || 2cr 393/509 3ia 394-5/510 2do 396/511 2ba 397/512 ||H 2ba 398/515 2do || 400/516 ia do 401/517 do + do pros2 402/518 ||| do Prima di continuare le considerazioni su questo specifico caso, conviene fare un breve accenno alla questione legata ai canti corali episodici, o “infraepisodici”, utilizzando la terminologia della Centanni158. Nella classificazione aristotelica delle parti della trage- dia, gli interventi corali sono indicati principalmente con due termini, πάροδος, «tutto il primo intervento verbale del Coro», quindi il brano di ingresso in scena, e στάσιμον, «il canto del coro privo di anapesti e trochei», da fermo, da intendere non come l’indicazione dell’assenza di movimenti di danza, quanto come un rimando alla posizione fissa dei co- reuti nell’orchestra. A queste definizioni si aggiunge il κομμός, un «canto di lamento», che può essere interpretato anche dagli attori e che non è proprio di tutte le tragedie, a differen- za dei primi due159. Gli interventi lirici che non sono riconducibili in queste categorie, in particolare per la loro mancata funzione di dividere i diversi episodi e, soprattutto, per il loro carattere astrofico160, per molto tempo non sono stati riconosciuti e distinti dalla criti- ca, che tendeva a inserire tutte le manifestazioni del canto del Coro nella classificazione aristotelica, in ossequio all’autorità che le veniva conferita161
. Una volta, però, giunti a ri-
158
Centanni (1991b), cfr. supra, nt. 136.
159 Cfr. Arist. Po. 1452b 14-25. Trad. di D. Lanza.
160 Sebbene nella classificazione successiva proposta da Jürgen Rode – per un approfondimento in merito cfr.
Centanni (1991b), pp. 14 ss. – questo venga considerato criterio distintivo rispetto ai canti antistrofici, inden- tificati con gli stasimi aristotelici, va sottolineato «che l’astrofismo non sarà che una delle caratteristiche del corale, ma che questo tratto non obbligatoriamente condiziona la funzione del brano, né è da essa rigidamente condizionato», p. 19.
161 Oltre al fondante contributo della Centanni (vd. nt. 158), l’unico studio specifico in materia è quello di De
Falco (1928), il quale, però, risulta ancora parzialmente vincolato all’auctoritas aristotelica con il suo esclu- dere la presenza di canti episodici corali in Eschilo e in Sofocle, ammettendo solo qualche rara accezione nel-
60 conoscere la presenza di questo diverso modulo di intervento corale, connotato dal suo non essere preludio a un cambiamento di attori in scena e per non segnare una pausa nell’azione, utilizzando, pertanto, come elemento definitorio la funzione drammatica piut- tosto che la struttura morfologica, è possibile cercare d’individuarne una finalità specifica, all’interno dell’economia del dramma.
La peculiarità dei due brani dell’opera in esame, come già più volte notato, è quella di trovarsi in responsione strofica, separata da un numero cospicuo di versi dialogati, una caratteristica non del tutto isolata162 e che per la prima volta si può riscontare nel commo dei Sette a Tebe di Eschilo (vv. 417 ss.), mentre dei casi che si possono far rientrare nella casistica in analisi è doveroso citare l’Ippolito e l’Oreste euripidei, il primo precedente al Filottete di Sofocle, il secondo rappresentato l’anno successivo163. Per quanto riguarda l’introduzione di canti infraepisodici responsivi, dunque, questa innovazione si dovrebbe ad Euripide, anche se il loro utilizzo non convenzionale, dalle scarse attestazione, rende più prudente affermare che entrambi i drammaturghi hanno sperimentato variamente la tecnica eschilea164. Quello che emerge dalla scelta sofoclea di servirsi di questo atipico modulo strutturale, in particolare facendo un confronto con il simile caso dell’Ippolito, è la presen- za di un maggior rigore e di una più severa normalità compositiva, dovuta all’intera attri- buzione della sequenza responsiva al Coro, con la creazione di un episodio informato da uno schema simmetricamente articolato. Le due strofi “distanziate” dell’opera in esame si collocano in due punti decisivi dell’episodio e svolgono un ruolo simile nell’andamento dell’azione, pertanto si può ipotizzare che la simmetria sopra evidenziata sia ricercata volu- tamente dall’autore e messa in atto per mezzo della corrispondenza metrica, oltre che ad avere un riscontro anche a livello di contenuto. Alla luce di queste ultime considerazioni, si può pertanto riformulare l’interpretazione dei due brani, da prendersi non tanto come una strofe a cui risponde la propria antistrofe, ma quanto come due astropha ripetuti e geminati nello schema metrico, allo scopo di mettere in evidenza l’analoga funzione compositiva165. Questa diversa definizione non indica alcun cambiamento sostanziale, se non fosse che contribuisce a distinguere meglio la diversa identità dell’intervento; a ciò si può aggiungere
le innovative opere euripidee, cfr. De Falco (1928b), pp.100 ss. Il caso del Filottete in questione viene anno- verato fra gli stasima, come un esemplare particolare di questi, cfr. De Falco (1928), pp. 123-134.
162 Per un approfondimento sulle altre diverse occorrenze, cfr. spec. Gardiner (1987), pp. 27-28.
163 Nell’Ippolito (428 a.C.), la situazione forse più simile e più facilmente comparabile a quella del Filottete,
si trova una singolare responsione Coro-attore, in cui Fedra risponde ai coreuti esprimendo gli stessi dram- matici contenuti circa il suo destino. L’Oreste (408 a.C.), invece, presenta una divisione dei due brani molto accentuata, poiché più di due centinaia di versi intercorrono fra di essi.
164 Cfr. Gardiner (1987), p. 28. 165
61 l’intuizione di Gardiner in merito, che commenta così i vv. 391-402: «the audience, howe- ver, cannot possibly know that this song will be followed a hundred lines later by a corre- sponding antistrophe, and would therefore not at the moment regard it as being intrinsically different from other astrophic choral interjections»166.
In conclusione, le interpretazioni che si possono trarre da questa occorrenza partico- lare dei due canti infraepisodici sono di ordine sia funzionale che contenutistico; in questo secondo caso, si può ipotizzare che il parallelismo formale sia teso a far cogliere nello spet- tatore anche il collegamento fra il soggetto delle due stanze, nello specifico il desiderio di far avanzare l’inganno167
. Centanni, d’altra parte, chiama in causa il giudizio aristotelico sulla partecipazione all’azione tragica del Coro in Sofocle168
, ricordando come quest’ultimo sviluppi nella sua produzione una maggior integrazione delle parti corali con quelle sceniche e, pertanto, non necessiti di servirsi del canto infraepisodico per permettere al ruolo corale un’incursione maggiore nel dramma, come avverrà con Euripide. Infatti, l’astrofismo permette in parte di supplire, grazie alle sue valenze mimetiche169
, alla pro- gressiva scollatura fra scena e orchestra, una funzione non necessaria nella compattezza compositiva sofoclea; il drammaturgo può servirsi, così, degli interventi corali episodici in maniera alternativa, nel caso in questione introducendo la peculiarità della responsione.