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6. I due kommoi finali

6.2 L’esortazione ad agire – antistrofe ed epodo (vv 843-864)

Χο. ἀλλά, τέκνον, τάδε μὲν θεὸς ὄψεται· ἀντ. ὧν δ’ ἂν κἀμείβῃ μ’ αὖθις, βαιάν μοι, βαιάν, ὦ τέκνον, πέμπε λόγων φήμαν· 845 ὡς πάντων ἐν νόσῳ εὐδρακὴς ὕπνος ἄϋπνος λεύσσειν. ἀλλ’ ὅ τι δύνᾳ μάκιστον, κεῖνο − μοι, κεῖνο λάθρᾳ − − 850 ἐξιδοῦ ὅπως πράξεις. οἶσθα γὰρ ὧν αὐδῶμαι· εἰ ταύταν τούτῳ γνώμαν ἴσχεις, μάλα τοι ἄπορα πυκινοῖς ἐνιδεῖν πάθη. 

“Ma, figliolo, questo lo vedrà il dio: / però quanto mi dirai nuovamente in risposta, bassa, / bassa manda la voce delle tue parole, figliolo! / Poiché di tutti quelli caduti in malattia il sonno, / che non è vero sonno, ha un buono sguardo nell’osservare. / Ma presta attenzione, per quanto più ti è possibile, / a come farai questo per me, / (a come farai) questo di nasco- sto. / Tu sai, infatti, di cosa sto parlando. / Se mantieni su costui questa tua decisione, / sof- ferenze senza dubbio insolubili a vedersi per chi è saggio.”

844. δ’ ἂν κἀμείβῃ Hermann propter εὐαὴς v. 828, prob. Campbell: δ’ ἂν ἀμείβῃ codd. δ’ ἀνταμείβῃ Gledi- tsch ὧν δὲ μ’ ἀμείβῃ [μ’] Wilamowitz apud Sch. – N. – R. | μ’: σύ μ’ Τ | μ’ αὖθις et ὦ secludit Bergk (cf. ad v. 829) | παῖ βαιάν Dawe, qui δ’ ἂν ἀμ. acc. 845. φήμαν: φάμαν ZgT φάτιν Νauck, servato ἀντέχοις v. 830 849. δύνᾳ LKS: δύναιο rell. 850. v. varie temptatus, ut v. 834 respondeat: κεῖνο λάθρᾳ, κεῖνό μοι Hermann, φροντίζων vel sim. post μοι suppl. (ἐξεγοῦ Wilamowitz apud Sch. – N. – R.) κεῖνο δή μοι, κεῖνο λάθρᾳ τούτου γ’ Hermann4

post κεῖνο alterum μοι suppl. Kuiper κεῖνο σκοπῶν λαθραίως Campbell (κεῖνο δή μοι, κεῖνό μοι λαθραίως acc. Ll.-J. – W.) | κεῖνο2 om. A γὰρ μέγιστον, T | λάθρ’ ZgT 851. ὅπως L s.

l., Λ s. l., Sgl

, G2 s.l.: ὅτι πῶς Q ὅτι rell. ὅπερ Hermann4 ὅπᾳ Schneidewin 852. οἶσθ’ bis T | ὧν LSV: ὢ Κ ᾧ a s. l. ον Ls s. l. ὅντιν’ T γὰρ om. ὃν s. l., G1pc (om. Gac) rell. ὅ γ’ Dawe ᾧ γ’ Hermann4 | αὐδῶμ’ T

(-αι s. l.) 853. ταύταν G: ταὐτὰν L (εἴτ’) αὐτὰν SZg ταυτὰν rell. (εἰ – γνώμαν om. K) ταυτᾷ Dobree ταὐτὸν Wunder τ’ αὖ τὰν Sch. – N. – R. | τούτῳ codd.: τούτου Sch. – N. – R. | ἴσχεις L in marg. Λ in marg., Sta: ἔχεις LΛ T s. l., rz 854. πυκινοῖς T: πυκινοῖσιν LKVQGA πυκνοῖς ΣLγρΣGγρΣRγρ πυκνοῖσιν fere rell., fort. Lac πυκινά τ’ Parker

94 οὖρός τοι, τέκνον, οὖρος· ἁνὴρ ἐπ. 855 δ’ ἀνόμματος, οὐδ’ ἔχων ἀρωγάν, ἐκτέταται νύχιος, ἀλεὴς ὕπνος ἐσθλός, οὐ χερός, οὐ ποδός, οὔ τινος ἄρχων, 860 ἀλλά τις ὡς Ἀΐδᾳ πάρα κείμενος. ὅρα, βλέπ’ εἰ καίρια φθέγγῃ· τὸ δ’ ἁλώσιμον ἐμᾷ φροντίδι, παῖ, πόνος ὁ μὴ φοβῶν κράτιστος. 

“Il vento è per te favorevole, figliolo, un vento favorevole: l’uomo, / privo di vista, né avendo soccorso, / giace steso nella notte / – il sonno al calore del sole è vigoroso – / non essendo in dominio del braccio, né del piede, né di altro, / ma è come qualcuno che giace presso Ade. / Fai attenzione, guarda se parli a proposito: / quanto è colto dalla mia mente, figliolo, / una fatica che non ha nulla da temere, è la migliore.”

Schema metrico epodo

855-7 hipp gl + ba 858 || hemm 859 penth an 860 4 da 861 4 da 862 ia + do 863 do + cho 864 ||| do + ba

855. ἁνὴρ Brunck: ἀνὴρ codd. pler. (κ’ ἀνὴρ K) | δ’: ὅδ’ T δ’ ὅδ’ Hermann4 859. v. secl. Hartung |

ἀλεὴς: ἀδεὴς Reiske, Dobree δ’ ἀδεὴς Hermann4, Wilamowitz | ὕπνος ἐσθλός L l. s. et ΣL in lemmate (quod deest in ΣG) SVTaz: ἐσθλός ὕπνος LacKr ἐσθλός ὕπνος ἀλεὴς Vpc ἐσθλός secl. Wilamowitz | ὕπνος: πόνος Dobree, qui hunc v. vel v. 864 πόνος … κράτιστος delendum censuit | ὕ. ἐσθλός ἐπ’ ἔργω Hermann4 860. οὔ τινος: οὐ φρενὸς Todt 861. ἀλλά τις ὡς Wunder: ἀλλ’ ὥς τίς L s. l., ΛKr (ὥς τι R) Tz ἀλλ’ὅστις L | πάρα κείμενος Dindorf, complures 862. ὁρᾷ codd: corr. Seyffert (sed vid. Campbell1) | βλέπει codd.: corr. Hermann | φθέγγῃ A s. l., U s. l., Y s. l.: φθέγγου KV φθέγγει LΛTrz 864. πόνος … κράτιστος vel v. 859 delendum censuit Dobree

95 Alle considerazioni di Neottolemo sull’obbligo, imposto dall’oracolo, di portare anche il proprietario dell’arco nella Troade, il Coro risponde continuando a incoraggiare la partenza, mentre Filottete giace impotente, in un processo di persuasione che occupa le ul- time due stanze del kommos. L’antistrofe si apre con una costruzione μὲν… δ(ὲ)… che bi- lancia, e nello stesso tempo contrappone, la responsabilità divina per l’esito della profezia e la necessità di un’azione immediata, determinata dalle circostanze favorevoli. Con il de- mandare al dio (τάδε μὲν θεὸς ὄψεται, v. 843) la realizzazione di eventi superiori alle cir- costanze, sembra che si voglia creare l’illusione di una possibile distinzione fra le due sfe- re, appartenenti la prima al futuro e la seconda al momento presente, in cui Neottolemo può approfittare della situazione senza apparentemente curarsi delle conseguenze, come se non fosse inserito in un ordine d’azione più grande265

. In ogni caso, il testo è alquanto di- battuto nella sua forma e nel suo significato, in quanto l’espressione corale continua ad es- sere “cifrata”266

, in una sorta di tono cospiratorio reso evidente, fra l’altro, da un uso esten- sivo dei pronomi, che presentano tante possibili varianti quante sono le diverse interpreta- zioni dei loro referenti. Le difficoltà vertono soprattutto intorno al v. 850, dei cui problemi di responsione si è già accennato supra; se si accetta il testo del v. 834, infatti, è necessario effettuare qui un’integrazione e le proposte al riguardo sono state molteplici267

. Ambigua anche la costruzione dell’intero periodo e l’elemento a cui κεῖνο si riferisce, poiché l’espressione ὅ τι δύνᾳ μάκιστον (v. 849) può essere intesa avverbialmente con ἐξιδοῦ, “bada, per quanto più ti è possibile” (p. es. Webster, 1972), e con questa lettura κεῖνο indi- ca l’azione di prendere l’arco e andarsene; in alternativa, la subordinata può essere inter- pretata come una relativa di cui κεῖνο è l’antecedente, “la cosa di più vasta portata in tuo potere, guarda come puoi farla…”, come suggerito da Kamerbeek (1980) e da Schein (2013), e approvato da Kitzinger (2008). Al v. 853 c’è incertezza anche sui pronomi ταύταν e τούτῳ, in particolare sulla forma del primo, al posto del quale è stato proposto ταὐτᾷ da Dobree, e sui possibili referenti di entrambi, che cambiano anche in base alla scelta di accogliere, nel verso precedente, il tràdito ὧν o di correggerlo in ὅν268. L’esistenza

265 Cfr. Kitzinger (2008), p. 120, la quale sottolinea come il canto del Coro serva a dare l’illusione che il

momento sia in sé assoluto, individuandone una doppia funzione, da un lato essere di sollievo a Filottete, dall’altro concedere l’opportunità a Neottolemo di agire. Così l’interpretazione di Jebb (1962): «If an oracle has said that Ph. must be brought to Troy, the god himself will provide for the fulfilment of that decree. Meanwhile, your part is to secure the bow», ad loc.

266 Schmidt (1973), p. 151. 267

Per i vari tentativi di ricostruzione testuale si rimanda all’apparato.

268 Riguardo alla scelta dei due pronomi, cfr. supra, nt. 261. Per le varie interpretazioni di ταύταν e τούτῳ, un

pratico e breve elenco delle diverse alternative è fornito da Kitzinger, (2008), p. 118, nt. 93, mentre ne discu- te più distesamente Avezzù (2000), pp. 52-53, il quale preferisce mantenere ὧν e avanza la proposta di Ra- dermacher di leggere εἰ τ’αὖ τὰν τούτου al v. 853.

96 di così tante letture possibili e la corruzione del testo stesso mostrano come la composizio- ne poetica sofoclea di questo passo miri all’ambiguità, in linea con il clima di segretezza instaurato dal Coro. Contribuiscono, a questa caratterizzazione, anche l’esortazione ad agi- re di nascosto, λάθρᾳ (v.850) e a parlare a bassa voce (βαιάν μοι, βαιάν, ὦ τέκνον, πέμπε λόγων φήμαν, vv. 844-5). Il timore dei marinai è quello di svegliare Filottete, poiché il sonno dei malati è talmente leggero che non si può quasi definire tale, un ὕπνος ἄϋπνος (v. 847). Questa espressione ha un precedente diretto nell’Eracle euripideo, v. 1061, dove vie- ne utilizzato da Anfitrione per indicare lo stato di prostrazione del protagonista; inoltre, una scena analoga, in cui si esorta a fare silenzio per non ridestare le sofferenze del dor- miente, la si trova nelle Trachinie (vv. 974-980), quando Eracle viene portato al cospetto del figlio, straziato e stremato dagli atroci dolori che la veste funesta gli ha inflitto. Questi lievi accenni rievocativi, a cui si può aggiungere l’utilizzo del termine πόνος al v. 864, sembrano mirati a sottolineare, almeno in parte, l’importanza che questo eroe assumerà nel finale del dramma e contribuiscono a suggerire l’analogia della sua figura con quella del protagonista, come si è già detto nel corso della trattazione dello stasimo269.

Nell’antistrofe sembra riproporsi, dunque, la situazione già sperimentata nella pa- rodo, quando i marinai temono di venire sorpresi da Filottete e, preoccupati più del loro sovrano, lo invitano a tacere. In questo caso, però, il temuto arciere non è assente, ma giace completamente impotente, come viene ribadito nell’epodo e sottolineato dal rarissimo ἀνόμματος (v. 856), “senz’occhi”, nonché attraverso la forte anafora della negazione οὐ χερός, οὐ ποδός, οὔ τινος ἄρχων (v. 860). L’immagine del corpo “steso nell’oscurità della notte” è commentata parenteticamente dal v. 859, ἀλεὴς ὕπνος ἐσθλός, letteralmente “un sonno al calore (del sole) è profondo”, che molti editori pongono fra parentesi quadre, con- siderandolo un’interpolazione da una glossa a margine270. Questo perché il termine ἀλεὴς, presumibilmente imparentato etimologicamente con ἀλέα, è hapax271

e crea un contrasto piuttosto singolare con il significato dell’espressione precedente, senza contare che poco prima era stato affermato il concetto contrario (ὕπνος ἄϋπνος, v. 149). Per questo è stata proposta la correzione, paleograficamente plausibile, in ἀδεὴς, “senza paura”, anche se il senso rimane alquanto bizzarro; alla luce di questo e del fatto che le trovate stiliste del bra- no sono notevoli, sembra preferibile mantenere la lectio difficilior ἀλεὴς. L’ultima stanza si chiude con l’invito a “considerare”, a “badare” (ὅρα, βλέπ’, v. 862) se si sta operando in

269 Cfr. supra, p. 79.

270 Dale (1968), p. es., è di questa opinione: «859 is surely an intrusion, too silly even for this chorus», p.

117.

271

97 maniera opportuna, secondo il καιρός, e si ribadisce, così, una contrapposizione fra i due significati di ὁρῶ, denotanti la “considerazione” pratica del Coro e la “visione” del giovane comandante, che già nei versi precedenti aveva avuto modo di delinearsi272. Infine, il lin- guaggio forbito e difficoltoso che caratterizza questo intervento continua e trova la sua conferma con l’ultima affermazione, una frase nominale che presenta l’espressione τὸ δ’ ἁλώσιμον ἐμᾷ φροντίδι (v. 823), estremamente rara e con l’unica ricorrenza di questo sen- so “mentale” di ἁλώσιμον.