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L’analisi critica di Giovanni Gentile

Capitolo II: Il pensiero giuridico gentiliano nel suo sviluppo: da “

2. L’analisi critica di Giovanni Gentile

Una volta inquadrate le caratteristiche fondamentali delle due scuole è adesso necessario orientarsi verso un tentativo di ricostruzione delle critiche portate avanti dagli autori attualistici.197 Le due scuole

costituiscono, infatti, il bersaglio principale della “censura” idealistica in quanto entrambe affette da un atavico naturalismo, ineliminabile se non tramite una completa rifondazione della dottrina penale. Alla base delle ragioni di biasimo ritroviamo una matrice comune: la necessità di superamento della scuola classica e della scuola positiva a favore di una dimensione non astratta dell’atto delinquenziale.198 Colui che

commette il crimine, il reo, non può essere visto, astrattamente, come soggetto privo di condizionamenti ambientali, fisici o psichici e quindi totalmente libero (scuola classica) così come non può essere interpretato come un soggetto privo di capacità decisionale, totalmente

197 Gli autori che hanno affrontato maggiormente il problema sono Ugo Spirito e Giuseppe Maggiore. Le analisi di Gentile sono, invero, piuttosto scarne. Egli entra in contatto diretto con la materia soltanto in un saggio specifico, G. Gentile,

Cesare Lombroso e la scuola italiana di Antropologia criminale, in “Le origini della filosofia contemporanea in Italia. Vol. II. I Positivisti”, Sansoni, Firenze

1957, che pur costituisce la base speculativa degli sviluppi filosofici degli autori successivi. Gentile affronta, altresì, il problema penale, in senso lato, all’interno del volume II del Sommario di Pedagogia, cfr. G. Gentile, Sommario di

Pedagogia come scienza filosofica. Vol. II - Didattica, Sansoni, Firenze 1955.

198 A. Pinazzi, Attualismo e problema giuridico. La filosofia del diritto alla scuola

subordinato a forze esterne (scuola positiva). Vi deve essere una lettura integrata di queste due tesi, verso una concezione concreta ed effettiva del processo di compimento del delitto. Al momento dell’atto, cioè, il soggetto esegue il delitto realizzandosi e realizzandolo, in una piena convergenza fra delitto e delinquente.

Gentile si occupa della scuola positiva, in termini di ricostruzione storica, nel sesto capitolo del volume II de Le Origini della filosofia

contemporanea in Italia.199 Problema cruciale che il Nostro autore

denunzia è la tendenza della scuola di porre nelle cose il principio. Seguendo l’insegnamento di Spinoza Gentile critica una vera e propria inversione del corretto metodo di filosofare: nulla ci può essere detto – dichiara il fondatore dell’attualismo – dell’essenza spirituale partendo dagli oggetti naturali. Egli ammonisce gli esponenti della corrente positivista perché «le verità incontestabili, che pur vi sono contenute, spogliate dall’odioso involucro che le riveste, avrebbero indubbiamente fatto ben più cammino, incontrando minori diffidenze e resistenze, e agendo quindi assai più efficacemente, su quegli indirizzi dell’attività pratica, ai quali la ricerca del maestro e degli scolari è sempre stata sostanzialmente rivolta».200 Gentile sottolinea un errore di

carattere metodologico che risiede nell’approccio con cui i seguaci di Lombroso sviluppano le proprie indagini teoriche, una volta accumulati i dati necessari per la ricerca. Ricordiamoci che il filosofo siciliano, nello stesso periodo, va elaborando la distinzione fra logo astratto e logo concreto201 ed è quindi inevitabile che il primo elemento

di critica radicale - e che si riversa a cascata sull’intero ordine di

199 G. Gentile, Cesare Lombroso e la scuola italiana di Antropologia criminale, in “Le origini della filosofia contemporanea in Italia. Vol. II. I Positivisti”, Sansoni, Firenze 1957.

200 G. Gentile, Cesare Lombroso e la scuola italiana, op. cit. p. 154.

201 G. Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, 2 voll., Le Lettere, Firenze 2003.

componenti che sostanziano il movimento della scuola positiva - risiedesse proprio nel procedimento logico di analisi filosofica che, come detto, Gentile reputa insoddisfacente. A questo elemento negativo il filosofo siciliano soggiunge, tuttavia, una componente positiva e lo fa chiarendo che la dottrina di Lombroso può risultare scindibile in due parti: una filosofica ed una empirica. Il riconoscimento dei meriti nei confronti di Lombroso (e della scuola successiva) si appunta unicamente sui metodi empirici di contrasto

alla delinquenza. Come riformatori dei metodi di cura del delitto «Il

Lombroso e i lombrosiani hanno meriti di prim’ordine»202: pregi a cui

si deve la giustificazione della fama che la scuola di Lombroso si è conquistata non solo in Italia, ma altresì nel resto d’Europa. Gentile, tuttavia, per ragioni evidenti, appunta la sua indagine sulla parte più debole dell’opera della scuola positiva – quella filosofica – tralasciando i risultati di carattere empirico.

Secondo il pensatore di Castelvetrano i principali prodotti teorici frutto delle ricerche di Lombroso sono la costruzione della teoria psicopatica

del genio e quella antropologica del delitto. Con la prima si dette avvio

a ricerche monografiche di indubitabile rilievo, coltivate da autori variegati; con la seconda si pose i pilastri per la fondazione della Scuola positiva di diritto criminale a cui garantiranno vita e sviluppo due importanti allievi come Enrico Ferri e Raffaele Garofalo. Gentile indica le origini della scuola attorno al 1870, giacché proprio a cavallo di questi anni risiedono le principali opere teoriche dell’autore, «quando prese piede in Italia il nuovo positivismo, e al movimento filosofico lo stesso Lombroso partecipava anche direttamente, traducendo, la La Circolazione della vita del Moleschott: dove erano tutti racchiusi i germi delle dottrine»; ed è proprio a Moleschott che Gentile dedica alcune pagine, identificandolo come la radice degli

ancestrali vizi che hanno afflitto la scuola positiva. Non possiamo pensare ad autore più lontano dalle concezioni del filosofo trapanese. Le critiche di Gentile si appuntano su tutti i meandri delle ipotesi dottrinali di Moleschott. Ammonendo del lessico «barbaro e pretensioso» con cui il fisiologo svizzero si rivolge ai suoi lettori, Gentile ne denuncia l’astratto naturalismo, il realismo dogmatico che con questo autore raggiunge vertici ineguagliati, rappresentando l’esemplificazione più radicale del positivismo astratto novecentesco. Per Moleschott l’intelletto è un prodotto della natura, esso non solo costituisce l’elemento di misura delle cose ma è esso stesso le cose e quindi soggetto alle leggi necessarie dell’universo. Anche il pensiero «rientra nel circolo della vita fisiologica»203 la vita riducendosi, così,

alle connessioni necessitate di tutte le parti, attraverso il nesso reciproco delle varie funzioni.

È proprio tale materialismo, agli occhi di Gentile così semplicistico da non meritare seria considerazione, che riuscì a conquistare il Lombroso il quale fece delle indagini del Moleschott una delle basi teoriche delle sue ricerche. Ne consegue, quindi, che anche per Lombroso ogni movimento che dà luogo al compimento di un atto non potrà mai dirsi vero effetto della volontà libera ma l’espressione necessaria di una specifica condizione del cervello. Una libera volontà estranea a quelle influenze non esiste. È un processo necessario e necessitato: è il mondo del fatto, della natura, delle cose: l’uomo è cosa fra le cose, elemento fra altri elementi, sottoposto ai moti delle leggi senza alcun residuo di libera determinabilità.

Tale radicale rifiuto, in sostanza, del libero arbitrio, «non importa – nota Gentile – la negazione del bene e del male»204, giacché il bene

viene, semplicisticamente, fatto corrispondere alla legge di natura. Nella visione di Moleschott e della stessa scuola positiva l’istinto della

203 Ibidem, p. 161. 204 Ibidem, p. 163.

razza ci porta a rigettare, interpretandolo come male, tutto ciò che confligge con le esigenze della specie. Di conseguenza la pena non ha lo scopo né di migliorare, rieducandolo, il delinquente né tanto meno di atterrirlo con una sanzione esemplare; la pena corrisponderà, sic et

simpliciter, alle occorrenze della specie ed è, pertanto, una forma di

selezione naturale. Scopo della sanzione penale è quello di difendere la società mediante adeguate misure di contrasto. In questa visione il delinquente è irredimibile: tutt’al più, curabile.205

La contraddizione in cui cade il positivismo è quella che, pur ammettendo che il delinquente abbia solo bisogno di terapia e cura, questa rimane ad ogni modo un dovere, dovere sociale e perciò dovere di tutti, anche dei delinquenti. È attraverso il tentativo di riabilitazione in termini naturalistici di concetti tipicamente appartenenti all’agire morale che la costruzione lombrosiana mostra le sue intime contraddizioni. La stessa distinzione fra genio, pazzia e delinquenza pertiene a una dimensione strettamente spirituale e non già puramente meccanicistica o naturalistica perché «il delinquente del Lombroso non è delinquente […] ma il corpo del delinquente, che non può delinquere mai. Quali che siano le anomalie anatomiche, fisiologiche e psichiche del genio e del delinquente, il genio non è genio per le anomalie, come il brigante non è brigante per la fossetta che ha nella nuca: l’uno deve creare spiritualmente, l’altro distruggere. Il fatto dell’uno e dell’altro, il fatto per cui l’uno e l’altro sono quello che allo stesso Lombroso preme che siano […] è fatto spirituale, fatto di valore»206. Ma ciò che

costituisce l’evidenza più chiara delle contraddizioni inestricabili in cui cade il positivismo lombrosiano è l’incapacità di quest’ultimo di cogliere la dimensione doverosa e quindi etica, della pena: anche ammettendo che il delinquente più di ogni altra cosa è soggetto malato

205 S. Riccio, Attualismo e diritto penale. Contributo alla critica della concezione

penale attualistica, Editrice Studium, Roma 1934, pp. 60-65.

a cui potrà giovare più un procedimento terapeutico piuttosto che una sanzione punitiva; ad ogni modo, anche la stessa terapia è dovere; e non semplice dovere, ma dovere sociale, anche degli stessi delinquenti ed il dovere non è natura ma espressione di libertà.207

Il testo a cui abbiamo appena fatto riferimento e del quale abbiamo ricostruito gli aspetti essenziali costituisce l’unico vero contributo specifico che Gentile ci offre rispetto al problema del diritto penale e dei suoi fondamenti filosofici. Cionondimeno riflessioni rilevanti per il nostro scopo possiamo facilmente rintracciarle in un’altra opera del Nostro autore che è il Sommario di Pedagogia come scienza

filosofica.208 È stato a ragione notato, infatti, che la fondazione del

rapporto fra maestro ed allievo e l’impalcatura teorico-filosofica su cui viene edificato rappresenta il presupposto per le riflessioni più mature che negli anni successivi il pensatore siciliano esternerà con riguardo ai rapporti fra Stato e cittadino.209 Nel primo capitolo, L’etica del sapere, troviamo indizi importantissimi in materia di correlazione fra

autorità e legge. Tema assente nella prima edizione dei Fondamenti, qui Gentile dichiara esplicitamente la centralità dell’autorità: «l’autorità è il principio di ogni governo esercitato da una volontà che rappresenta e fa valere la legge».210 Prosegue Gentile: «la legge, per sé

stessa, non è attività, ma termine di riferimento di un’attività, in quanto può essere saputa o voluta; e come tale, non può farsi valere o imporsi.»211 Gentile ci vuole dire che la legge, considerata

isolatamente, è astratta e necessita quindi di una volontà che, rivolgendosi alla legge, la faccia valere conferendole validità. Ci vuole

207 Ibidem, p. 169.

208 G. Gentile, Sommario di Pedagogia come scienza filosofica. Didattica – vol. II, Sansoni, Firenze 1955.

209 G. Marini, “Aspetti sistematici della “Filosofia del diritto” di Gentile, in “Giornale critico della filosofia italiana”, LXXIII, 1994, pp. 462-483.

210 G. Gentile, Sommario di Pedagogia, op. cit., p. 28. 211 Ibidem, p. 28.

una volontà che voglia la legge, e la voglia in misura tale che la legge cessi di essere termine di attività e divenga essa stessa attività, forza viva ed operosa. Gentile postula un’unità fondamentale di volontà e legge. Se non ci fosse questa indissolubile unità nessuno dei due termini potrebbe rivelarsi attendibile: si ammette l’esistenza di un soggetto gerarchico che faccia valere la legge e benché il riferimento in questo contesto sia al maestro, le anticipazioni relative ai rapporti fra Stato e cittadino sono patenti. L’unità di legge e di volere costituisce, pertanto, l’autorità: ma non già perché la legge renda autorevole l’autorità o viceversa, altrimenti saremmo dinanzi a due termini fra loro indipendenti ma perché «l’autorità è la volontà della legge o la legge della volontà […]» e prosegue chiarendo che «il fondamento dell’autorità non è da ricercare in nessuno dei due elementi astrattamente presi bensì nella loro unità originaria»212. La potenza

dell’autorità, tuttavia, non sarà mai tale, fino a che non subentra la misura del riconoscimento: «a costituire la disciplina, e qualsiasi

governo, non basta che ci sia un’autorità. È necessario che questa sia

riconosciuta praticamente»213. Tale pratico riconoscimento

dell’autorità, rende l’autorità positiva, reale, costituendo la disciplina. Al fine di incarnare concretamente questa autorità è quindi necessario “conquistarla” grazie al riconoscimento degli altri soggetti: così il maestro deve riuscire a raggiungere l’attenzione degli scolari in forza della sua capacità di coinvolgimento emotivo-intellettuale così lo Stato non può imporsi al cittadino come alcunché di estrinseco ma deve riuscire a guadagnarsi la propria influenza in forza dei suoi contenuti. Si istilla quindi una dimensione di socialità giacché per ottenere il riconoscimento della propria autorità «è d’uopo che altre volontà concorrano nella nostra, e la riconoscano»214. Orbene, l’ammissione

212 Ibidem, p. 29. 213 Ibidem, p. 32. 214 Ibidem, p. 35.

pratica dell’autorità comporta un immedesimarsi di volontà, un vero e proprio affiatamento che è processo di universalizzazione ed il primo riconoscimento pratico è «quello che il soggetto stesso autorevole tributa alla legge della propria volontà»215.

Il tema del riconoscimento non comporta però una pluralità di soggetti; se a livello empirico la varietà dei soggetti non può non essere ammessa, a livello trascendentale la vera società non è quella che trasmoda l’individuo collegandolo agli altri, ma è quella che

l’individuo stringe con se stesso. È la c.d. societas in interiore homine.

Si formula un caposaldo della teoria giuridica di Gentile: il processo di spiritualizzazione in forza del quale l’altrui volontà viene riconosciuta come la nostra, attraverso l’immedesimazione di due volontà. L’autorità del maestro all’interno della scuola è la stessa volontà degli scolari. «La disciplina non è il dovere dello scolaro, ma il dovere

fondamentale del maestro».216

Genuino problema che incontra la questione della disciplina, nei termini sopra definiti, presentando interessanti risvolti dal punto di vista filosofico-giuridico, risiede nel momento della violazione o

infrazione della stessa.

Il primo punto su cui Gentile pone l’accento è che l’infrazione della

disciplina è un momento necessario della disciplina stessa217

costituendo il corrispettivo della violazione della legge. Essendo la disciplina «vittoria sul suo contrario»218, così come la scuola vive nella

possibilità costante della indisciplina così la legge è reale soltanto se concepita nell’evenienza della violazione. La conseguenza di questa

215 Ibidem, p. 36. 216 Ibidem, p. 37.

217 «Infrazioni, che non sono un accidente, in guisa che un insegnante che sappia il fatto suo possa sperare di non averne mai a deplorare nella propria scuola; anzi un momento necessario della disciplina. […] chi dice disciplina di pure indisciplina: non già soltanto perché medesima, come diceva Aristotele, è la scienza dei contrari, ma perché medesima altresì è la realtà dei contrari, né l’uno si dà senza l’altro». Cfr. G. Gentile, Sommario di Pedagogia, op. cit., p. 49. 218 Ibidem, p. 50.

intima relazione fra disciplina-infrazione e legge-violazione è la concezione del castigo – che in termini legali altro non è che la sanzione – non come restauratore della disciplina ma come

instauratore della stessa; questo ci conduce alla considerazione della

pena come immanente alla violazione della legge.219 Gentile

ammonisce, a ragione, chi tende a reputare positiva la scuola in cui fin dal primo giorno i maestri e gli allievi si trovino in assoluta e pacifica concordia: è questa la scuola dove non gli scolari sono saliti al livello del maestro ma è il maestro ad essere sceso al livello degli scolari. Il parallelismo con il campo della sfera statuale sembra d’obbligo. Alla stregua, infatti, del legame fra insegnanti ed allievi, il rapporto fra Stato e cittadini deve essere concepito come un processo di immedesimazione dove la possibilità del male, dell’errore, del peccato non costituisce un ostacolo per la riuscita della concordia sociale ma piuttosto un momento cruciale per recuperare i soggetti le cui volontà nel processo di affermazione della propria spiritualità siano caduti in fallo, opponendosi alla volontà legale sancita dallo Stato. La necessità della sanzione costituisce quindi un momento nevralgico e, in questa linea, ingiusto e immorale è proprio il perdono, se non nei casi in cui il colpevole si sia già pentito. Qual è dunque l’essenza del castigo che è

come dire l’essenza della sanzione? «Se il fine del castigo è, non la

ristaurazione, ma l’instaurazione della disciplina […] esso deve riuscire a realizzare l’unità; e a realizzarla non in astratto ma nella stessa anima dello scolaro indisciplinato, facendogli sentire quel che lì per lì sfugge, ossia che la sua legge è lui stesso, e che noi che gliela imponiamo, non siamo i suoi tiranni, anzi i suoi amici, la voce stessa dell’anima sua»220. Il castigo è quindi un vero diritto del colpevole «la

cui natura non consiste già in quella che si è già realizzata, bensì in

219 G. W. F. Hegel, Grundlinien der Philosophie des Rechts. Naturrecht und

Staatswissenschaft im Grundrisse, tra. it. di Francesco Messineo, Lineamenti di filosofia del diritto, Laterza, Roma-Bari, 1979.

quella che si realizza, e che impegna il futuro»221. Alla luce di queste

caratteristiche il senso del castigo dovendo sanare il dissidio tra lo spirito e la sua legge non può che consistere nella modificazione del primo, giacché che se la mutazione incidesse sulla legge non potrebbe parlarsi di torto da parte del ribelle e l’indisciplina non sussisterebbe. La legge deve guidare lo sviluppo e il risanamento dello spirito che attraverso la pena trova il proprio strumento di elevazione. Il soggetto è, per sua natura, portato ad osservare la legge: se viene meno l’ottemperanza è compito della pena ricostituire, ricomponendo la scissura, il legame fra il soggetto e la legge di vita.222 Scopo del castigo

è «far sentire tale scissura; e non andare più in là; e riuscirà tanto più efficace quanto più viva sarà l’unità, con cui si sia prodotta la scissura».223 Universale è lo spirito che infligge il castigo e particolare

quello che subisce. Gentile sottolinea come la vera efficacia del castigo risulterà tanto più alta quanto la sanzione riuscirà ad essere

proporzionale alla particolarità del soggetto: maggiore è la particolarità

tanto più grave dovrà essere la pena. Come ogni cosa anche il castigo va incontro ai suoi limiti e, perciò, il confine invalicabile della sua gravità è indicato dalla sua stessa finalità: una sanzione che incidesse non sulla particolarità spirituale del reo ma intaccasse ciò che gli è di universale cesserebbe di essere vero castigo per divenire il suo opposto, un delitto: e così «Il castigo è giustificato dal bene che realizza»224. Se il castigo è immanente all’infrazione così come la

violazione è connaturata alla legge lo stesso non può dirsi del premio, strumento affatto estrinseco, inutile ed anzi controproducente perché pone un obbiettivo fuori dello stesso processo di affermazione della

221 Ibidem, p. 53.

222 «Il dolore, anche qui, o non nasce, o nasce morendo nel suo opposto: in questo caso, nella dolcezza del pentimento, che è instaurazione dell’unità spirituale», Ibidem, p. 55.

223 Ibidem. 224 Ibidem, p. 56.

disciplina.225 Il vero premio è nella stessa conciliazione fra particolare ed universale. Ciò che viene a mancare nel premio è la certezza del

valore assoluto dell’azione spirituale226 e laddove nello spirito non vi è

giudizio assoluto non vi può essere affermazione dell’umana potenza. I contributi che ha fornito il padre dell’attualismo alle problematiche penali risultano sporadici e di mole piuttosto modesta ma ci aiutano, ad ogni modo, a delinearne le caratteristiche fondamentali. In primo luogo, dal punto di vista della responsabilità legale Gentile si oppone recisamente, da un lato, all’astratto naturalismo della scuola positiva che, negando ogni sfera di libera determinazione del soggetto e vincolandolo all’interno di un reticolo di leggi causali, ne sopprime l’intrinseco anelito di libertà e la capacità di imporsi sul reale mediante un processo di auto-creazione dello stesso che altro non significa primigenia libertà dell’atto; dall’altro lato alla falsa concezione della scuola giuridica, anche detta scuola classica, la quale partendo dal mendace postulato del totale libero arbitrio non riesce a inserire il soggetto all’interno delle relazioni sociali e quindi dentro la dinamica