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La dimensione del volere

Capitolo II: Il pensiero giuridico gentiliano nel suo sviluppo: da “

4. La dimensione del volere

Il modo in cui il volere si attua è pura attività morale, volontà positiva, affermazione del bene. Tuttavia, ciò che non è bene non è necessariamente male.139 Precedentemente avevamo un volere non

attuale che veniva attratto nel volere attuale, con la trasformazione del male in bene. Adesso abbiamo un terzo elemento che resiste al processo di assorbimento. Lo Schiavo, in La filosofia politica di

Giovanni Gentile140, sottolinea come questo non-bene, che è al

contempo, un non-male, rappresenta un elemento di disturbo all’interno della sistematica filosofica gentiliana; non a torto, giacché, effettivamente, il risolversi del fatto nell’atto viene interrotto proprio da questo terzo elemento. Il volere si scinde, dunque, in due momenti: volere come concreto atto del volere e volere come voluto, passato. La libertà della volontà che non può chiudersi nel voluto se ne distacca, dialetticamente, considerandolo semplice voluto.141

139 A. Pinazzi, Attualismo e problema giuridico, Aracne editrice, Roma 2015, p. 57 ss.

140 A. Lo Schiavo, La filosofia politica di Giovanni Gentile, Armando editore, Roma 1971.

141 “Il volere in tanto è volere in quanto è voluto; ossia ciò che è voluto nel volere, è il volere stesso, che di qua o di là dal momento in cui è voluto, non sussiste affatto come volere; che è quanto dire: nel volere che in tanto è volere in quanto è voluto, lo oggetto è lo stesso soggetto”. Cfr. G. Capozzi, La mediazione come

divenire e come relazione. Etica e diritto nella problematica dell’immanentismo,

Il voluto, come volere già voluto, «non è più volere ma contenuto di volere; non è più legge ma contenuto di legge, non è più legge unità alla forza, ma legge priva di forza, è oggetto opposto al soggetto.»142 Il

voluto è però voluto dallo stesso soggetto che ora si sente da quello limitato: non può farlo proprio introiettandolo nella dialettica spirituale? Il problema è che, in prima istanza, il soggetto non riconosce quel voluto come suo voluto, lo percepisce estraneo, esterno a sé. Orbene, questo volere già voluto, è il diritto in senso stretto.143

Come lo distinguiamo dalla morale? Da un primo punto di vista, diritto e morale divergono come atto e fatto: il diritto è volontà già realizzata, la morale è volontà che si realizza. Il rapporto fra voluto e volere non è di carattere cronologico e questo perché è il volere che è rende il voluto “già voluto”. Il diritto, in questa dialettica di volere e voluto, è il

momento astrattamente positivo. Il diritto si pone come l’essere della volontà voluta, ma universale e non particolare (come il male). Ecco il

diritto nella sua esteriorità, nell’imperatività, nella sua ferrea necessità. Un’entità sentita come estranea, coattiva, in grado di mortificare ogni spontaneità, ogni esercizio di libertà. Sembra, il diritto, configurarsi come il vero rovescio della morale, vaso non comunicante. Ma è davvero così, è possibile concepire tali momenti come fra loro

142 G. Gentile, I Fondamenti, op. cit., p. 89. Questo concetto Gentile lo riafferma in forme più chiare all’interno del saggio Diritto e politica, pubblicato nell’«Archivio di studi corporativi» (a. I, n.1, 1939, 1-14), ristampato ne I

Fondamenti col titolo “Politica”, ove si dichiara: «non che ci siano due volontà:

una volente e l’altra voluta; sì che la volontà-soggetto ci sia quando ancora sia in procinto di fare sé oggetto a se medesima, ma ancora ciò non abbia fatto. Le due volontà sono l’unica volontà in atto, che ha in sé, quando si attui, e in quanto si attui, questi due momenti, e quasi queste due facce».

143 “[…] come il voluto è l’eterno contenuto del volere, che lo trova sempre dinanzi a sé, anche il già voluto, che lo spirito ha espresso in un processo d’astrazione, rinvia al volere, anche la legge rimanda a chi la voglia volendola le dia esecuzione, in un atto che ancora una volta ci sembra etico […]. […] attraverso l’esecuzione il già voluto rifluisce al volere, il diritto astratto nell’etica, donde etico si genera.” Cfr. F. Battaglia, Corso di filosofia del diritto, op. cit., pp. 40- 41.

totalmente avulsi? «La verità è che nella storia, dove tutta la vita spirituale si attua, il diritto si libra tra la morale da cui sorge e la morale a cui mette capo. Questa intrinseca medesimezza di diritto e morale nella concreta vita dello spirito ci spiega il motivo profondo della valutazioni morali, cui si torna sempre a sottoporre gli atti giuridici, malgrado le insistenti avvertenze della netta separazione del dominio etico dal giuridico». Legge trova sempre dinanzi a sé la volontà pronta a giudicarla moralmente così come a modificarla o riformarla. Si lascia intendere, quindi, che la relazione fra diritto e morale non è, come può apparire ad un primo approccio, relazione estrinseca da cui non è ricavabile alcuna forma di relazione. La legge è all’origine atto etico così come è etica ogni attività legislativa, giudiziaria, esecutiva.144 Il diritto cioè oscillerebbe continuamente fra

una eticità d’origine e una eticità di termine: originato nella morale, si astrae da quest’ultima divenendo realtà voluta e quindi lontana dal soggetto, per poi ritornare alla sua dimensione effettiva.145 È

fondamentale, tuttavia, non confondere il voluto contenuto dell’attuale volere dal già voluto, che è volere astratto, perché non più volere. Citando Battaglia possiamo dire che «Il voluto può essere talora male, quando si voglia alcunché, che, particolare ed empirico, non sia conforme all’essenza dello spirito, che è appunto umanità. Il già voluto non è male, ma lo stesso volere reso astratto, perché allontanato, per

144 Questa assoluta e totalizzate eticità del diritto è uno dei principali bersagli di critica rivolti dalla fazione crociana: se ogni volere in atto è etico e se, pertanto, l’intero spirito risulta etico, lo spirito stesso finisce per non essere più etico. Così come tutto è universale, allo stesso modo tutto potrebbe essere particolare. L’opposizione crociana, tuttavia, non risulta pienamente soddisfacente giacché presuppone che la stessa filosofia attualistica accolga la dialettica dei distinti; l’idea di una scissione fra particolare ed universale, senza pensare a quest’ultimi come a due fasi del medesimo processo costituisce valido argomento per confutare la tesi crociana.

145 “Il diritto è il momento astratto della morale, quasi la spoglia, o lo schema, che la morale lascia dietro di sé per realizzarsi di continuo come morale”. Cfr. F. Lopez de Oňate, Compendio di filosofia del diritto, op. cit., p. 91.

così dire, nel passato, fatto passato allo spirito. Nel primo caso il rapporto tra volere e voluto è rapporto tra forma e contenuto del volere […] nel secondo il rapporto tra volere e già voluto è rapporto tra etica e diritto […]».146 Con ciò possiamo dedurre che l’attualismo

certamente unifica ma non confonde diritto ed etica. Il diritto per l’attualismo è un ciclo perenne e necessario. Esso si presenta ora come astratto, ora come concreto, talvolta come diritto oggettivo, tal altra come diritto soggettivo, nell’eterno sviluppo della dialettica dello spirito. Al diritto, quindi, l’attualismo giuridico attribuisce, sicuramente, un carattere di astrattezza, di autonomia relativa, giacché si presenta come momento perennemente transitorio antecedente all’affermazione dell’atto morale. Tuttavia, non ci sentiamo di interpretare la concezione gentiliana come totalmente eversiva nei confronti di una rivalutazione del diritto. Gentile non nega l’esigenza di una riconsiderazione più nitida del momento giuridico nella vita del soggetto, pervenendo a critiche sicuramente radicali; cionondimeno l’idea di diritto che vuole trasmettere il pensatore di Castelvetrano è frutto di una visione il meno possibile astratta della sfera del “giuridico”, che prenda atto della inevitabile suscettibilità delle norme giuridiche ai giudizi morali nonché della necessità del riconoscimento di una scaturigine etica rispetto alla produzione delle regole statuali. Vedere il diritto come una sfera di cristallo (perfetta nelle sue forme quanto fragile rispetto alle pressioni esterne) totalmente indifferente ai tumulti della moralità sarebbe come tradire la vera e più concreta concezione del ruolo della giuridicità all’interno del contesto sociale. Volere e voluto, benché possano essere analizzati distintamente sono quindi uniti dialetticamente, momenti di un organico ed unitario

processo. Il diritto appartiene alla dialettica del volere in termini

astrattamente positivi e del volere non fa parte solo quel non-essere

universale che è il male, ma anche quell’essere universale che è il diritto.

La stessa distinzione fra diritto oggettivo e diritto soggettivo è quindi per certi versi equivoca. Secondo Gentile, infatti, essa costituisce una distinzione puramente empirica essendo evidente che la facoltà di far valere un diritto sussiste soltanto se il diritto, dal punto di vista oggettivo, ha effettiva esistenza. Riprova di questa concezione sarebbe il fatto che il diritto soggettivo sussiste anche quando chi lo dovrebbe far valere non ne ha alcuna coscienza.147 Qui si introduce il tema di chi

ha il compito di far valere i diritti soggettivi dei cittadini laddove non via la coscienza di questi stessi diritti. Il dissolvimento della distinzione fra diritto oggettivo e diritto soggettivo conduce all’idea per cui la mia volontà giuridica non è la mia volontà arbitraria e particolare ma la stessa forza del diritto oggettivo. Il diritto di credito non esiste in astratto, ma nel credito unico e particolare di cui esigo l’attuazione in forza della fattispecie universale.148 La duplice

immanenza fra diritto oggettivo e diritto soggettivo conduce ancora una volta alla qualificazione del diritto come non coattivo: il giure non

ha valore in forza di un’attività coattiva esterna che si imponga, ma scaturisce dal rimando tra diritto oggettivo e soggettivo che costituisce

la sua vita. Qual è l’unico concetto di coazione che trova collocazione nella teoria gentiliana? L’immanenza del potere sovrano al soggetto

(trascendentale). Il carattere coattivo del diritto risiede nel fatto che

noi lo sentiamo coattivo: legge della nostra volontà senza che sia la nostra stessa volontà. La coazione di Gentile è di fatto una coazione – si perdoni il paradosso – non coattiva, tutta interna al processo

dialettico del volere, in cui manca, tuttavia, un soggetto che garantisca

147 Questo spunto è ripreso da da G. Del Vecchio, Il concetto del diritto, Bologna, Zanichelli 1906.

il rispetto del diritto stesso. L’incapacità logica di configurare un

soggetto sovrano che dia garanzia al diritto è uno dei problemi maggiori a cui va incontro la teoria gentiliana.149