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Giovanni Gentile e la filosofia giuridica dell'attualismo

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Academic year: 2021

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DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

Tesi di laurea

GIOVANNI GENTILE E LA FILOSOFIA

GIURIDICA DELL’ATTUALISMO

Candidato Relatore

Jacopo Volpi Chiar.mo Prof. Tommaso Greco

(2)

Indice pag:

Introduzione ……….4

1. Le radici del pensiero giuridico gentiliano……….4

2. La riforma della dialettica hegeliana………..9

3. La genesi de “I fondamenti della filosofia del diritto”……….13

Capitolo I: Uno sguardo biografico………..……….20

1. Da Castelvetrano alla Scuola Normale superiore……….20

2. Il periodo fiorentino……….24

3. Il ritorno in Sicilia………....27

4. L’esperienza a Napoli e Palermo………..28

5. Gli anni pisani e l’incontro con la tematica giuridica………..32

6. La cattedra romana e gli impegni istituzionali……….37

7. Il ruolo nell’organizzazione della cultura……….43

8. Gli ultimi anni………..45

Capitolo II: Il pensiero giuridico gentiliano nel suo sviluppo: da “I fondamenti “a “Genesi e struttura della società”…….………. 49

1. Il compito della filosofia e il diritto come momento del processo spirituale………...49

2. Autorità ed individuo………60

3. L’origine del diritto………..66

4. La dimensione del volere……….70

5. Il diritto come natura………75

5.1. Diritto e ingiustizia………77

5.2. Diritto astratto e diritto concreto……….……..80

5.3. Diritto e Stato……….………...83

5.4. Individuo e Stato………..…….88

(3)

Capitolo II: La terza via. un’alternativa alla scuola classica e alla

scuola positiva ……….92

1. Le origini del problema: il conflitto tra scuola classica e scuola positiva……….92

2. L’analisi critica di Giovanni Gentile………98

3. Un’alternativa alle due scuole: Ugo Spirito………...110

4. La ricerca di un terzo indirizzo.……….125

Capitolo IV: La visione del diritto. Il problema della norma giuridica e le dimensioni della giuridicità…………..……….135

1. Attualismo e positivismo giuridico………135

2. L’idea del “voluto” e il problema della norma………...144

2.1. Gentile e il “voluto” come prodotto immediato dell’atto morale……….145

2.2. Maggiore: il “voluto” come atto di riconoscimento………149

2.3. Cammarata e il “voluto” come pura forma……….164

2.4. Calogero e la dimensione processuale della norma giuridica………..171

Conclusioni……….187

(4)

Introduzione

1. Le radici del pensiero giuridico di Giovanni Gentile

Il pensiero filosofico di Giovanni Gentile si situa, indubbiamente, all’interno di un paradosso che, nelle sue vicende esplicative, appare estremamente peculiare. Il pensatore di Castelvetrano, infatti, da un lato è stato sottoposto, nei decenni seguenti alla sua morte (a Firenze, nel 1944) ad un processo di rimozione1 che ne ha eluso la portata

speculativa, favorendo, molto spesso, letture ideologiche e distorte, avviando, quindi, una sorta di “politicizzazione” delle sue proposte teoriche. Ciò ha comportato, in talune circostanze, la semplicistica connotazione di Gentile come filosofo del fascismo, se non, ancor peggio, come ideologo del regime2. Come se, per appunto, la qualità e

il valore di un autore si possano (o si debbano) valutare sulle mere correlazioni dirette o indirette che siano – ciò non di meno, è ovvio, problematiche – con un determinato regime politico. D’altra parte - e ciò costituisce il paradosso – non è pensabile e neppure analizzabile la realtà culturale italiana dei primi decenni del Novecento se non si tiene adeguatamente conto dell’influenza del grande pensatore idealista3. Si

noti infatti che lo stesso Benedetto Croce, per motivi diversi, è stato sottoposto a un processo di esaurimento mnemonico similare. Stornare l’interesse, quindi, per un pensatore di portata quantomeno nazionale

1 Su questo punto hanno fermato la loro riflessione, fra gli altri, G. Sasso, La

rimozione di Gentile, in “AA.VV., G. Gentile, La filosofia, la politica, l’organizzazione della cultura. Atti del Convegno di studi di Roma, 21 e 22 Maggio 1994”, Marsilio Editore, Venezia 1995.

2 N. Bobbio (a cura di M. Bovero), Dal Fascismo alla democrazia. I regimi, le

ideologie, le figure, le culture politiche, Baldini & Castoldi, Milano 2014.

3 Ha mirabilmente ricostruito la “Scuola” gentiliana nello sviluppo del pensiero dei suoi principali adepti A. Pinazzi, Attualismo e problema giuridico. La

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molto elevata e che, nella sua inesauribile attività, è riuscito, per fare solo un esempio, a portare a compimento un’opera di enorme rilevanza scientifica e culturale come quella dell’Enciclopedia italiana4, risulta

quantomeno riduttivo. Al di là, però, di queste vicende che potremmo definire “interne”, come si situa Gentile nel percorso filosofico novecentesco? Alcune date fondamentali: la pubblicazione della

Riforma delle dialettica hegeliana è del 1913; il secondo volume,

invece, che conchiude le opere sistematiche5 cioè il Sistema di logica come teoria del conoscere,6 è del 1923 (il primo volume era del 1917).

L’impianto sistematico, quindi, viene a compimento prima dello stesso avvento del fascismo. A questo riguardo, sulle relazioni del pensiero attualistico con il fascismo vi sono numerose e variegate opinioni, fra loro contrastanti.7 Mi limito a proporre una posizione che, in buona

sostanza, coniuga le tesi, da una parte, di Emanuele Severino8 e,

dall’altra, di Gennaro Sasso9. Il primo, infatti, sostenendo che il

fascismo si configura come una prassi di governo autoritaria ed

assoluta conducente ad una sorta di “politicizzazione integrale dei

rapporti sociali”, arriva a concludere che fra le posizioni teoretiche di Gentile – che pone l’accento sulla dialettica del divenire, sul processo inesausto, sempre stabile e al contempo destabilizzante, continuamente

4 Senza ricordare gli incarichi di influenza e di rilevanza eccezionale: rimandiamo, a questo scopo, a Hervé A. Cavallera, ”, in G. Gentile, La filosofia, la politica,

l’organizzazione della cultura, Atti del Convegno, op. cit. Degli Atti si veda

l’intero Capitolo III dedicato alle istituzioni culturali di cui Gentile assunse ruoli di primo piano se non di vera e propria presidenza.

5 Si è discusso molto su un Gentile pre-avvento del fascismo, dedito alla ricerche speculative, e un Gentile principalmente occupato alle attività pragmatiche di organizzazione istituzionale e culturale. Cfr. Harvé A. Cavallera, op. cit.

6 G. Gentile, Sistema di logica come teoria del conoscere, 2 voll., Le Lettere, Firenze 2003.

7 A. Tarquini, Il Gentile dei fascisti. Gentiliani e antigentiliani nel regime fascista, Il Mulino, Bologna, 2009.

8 E. Severino, G. Gentile distruttore degli assoluti, in “AA.VV., G. Gentile, La

filosofia, la politica, l’organizzazione della cultura, op. cit.

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in fieri del reale e del pensiero che con quello fan tutt’uno – e il

rispettivo regime politico emerge una contraddizione in adiecto. Rafforzando questa tesi, possiamo sostenere – seguendo Gennaro Sasso – che essendo il sistema gentiliano nato prima, in tutte le sue linee fondamentali, del fenomeno fascista, l’adesione di Gentile a questo fu dovuta non già a motivi schiettamente teoretici quanto, piuttosto, ad argomenti storici e storiografici. Gentile, infatti, fu condotto all’adesione al fascismo alla luce di una lettura storica dell’Unità d’Italia che lo condusse a vedere, prima nella Grande Guerra e poi nel Fascismo stesso, il compimento di quella effettiva unità nazionale che il Risorgimento non era riuscito pienamente a realizzare.10 Se, infatti, dovessimo trasporre in modo rigoroso le

posizioni teoretiche gentiliane nel livello della prassi politica si arriverebbe alla configurazione di una sorta di attivismo anarchico e

vitalistico. Gentile fu fascista, questo è indubbio; ma, da qui, non

deriva, di necessità, la condanna, ma tentativo di comprensione dal punto di vista storico11.

Un altro punto da sottolineare, in sede introduttiva, è la questione di Gentile come pensatore europeo12. Ora, un elemento da rimarcare è

proprio il fatto che, sovente, il pensiero del filosofo siciliano, da un lato, viene configurato come mero neo-idealismo; dall’altro, come un tipo di pensiero essenzialmente italiano, assolutamente sradicato da ogni relazione col sostrato filosofico-culturale del continente europeo. Nel primo caso gli errori fondamentali sono due: a) appiattimento di Gentile e di Croce come due pensatori un po’ dissimili ma essenzialmente sovrapponibili; b) il concetto di neo-idealismo come

10 G. Sasso, Le due italie di Giovanni Gentile, Il Mulino, Bologna 1998.

11 “[…] Il Gentile può ben chiamarsi l’ultimo e più grande erede della politica maschia del nostro Risorgimento, e schietta politica risorgimentale è la sua

politica fascistica” (corsivo mio). Così G. Saitta, La “humanitas” di G. Gentile”, in “Giovanni Gentile. La vita e il pensiero”, vol. I, Sansoni, Firenze

1948.

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mera rivisitazione o “variazione sul tema” della filosofia dialettica

hegeliana. Sul primo punto possiamo brevemente accennare al fatto che le divergenze sono così rilevanti che l’uno, Croce, si configura come un filosofo che fa della distinzione l’elemento basilare per la propria sistematizzazione filosofica; l’altro, Gentile, sembra invece voler cercare l’unità13 in ogni frangia del reale, anche a costo di una

(talvolta) eccessiva distorsione. Per quanto riguarda il secondo problema notiamo che, certamente, Gentile opera su un terreno che vede in Hegel uno dei pilastri sostanziali; per altro verso, però, il radicale svuotamento della dialettica hegeliana comporterà, potremmo dire, un superamento di Hegel attraverso Hegel14 prefigurando,

insieme ad ulteriori elementi del suo sistema, innovazioni che nel quadro di una concezione hegeliana risulteranno di notevole ampiezza speculativa. Basti pensare alla definizione a Gentile attribuita di «esistenzialista positivo»15 che è indice di una grande multiformità e

flessibilità delle categorie gentiliane e sintomo di una loro possibilità dilatativa. Il mutamento di paradigma all’interno della logica dialettica comporterà quindi una larga varietà teoretica. Bisogna anche dire, in aggiunta, che la forte originalità del pensiero di Gentile non consentirà, se non in maniera puramente nominale, la nascita di vere e proprie correnti ortodosse16. Come ha sottolineato, infatti, Giuseppe Maggiore:

13 F. Todescan, Metodo, diritto, politica. Lezioni di storia del pensiero giuridico, Monduzzi Editore, Bologna 1998, p. 248. «Il problema del neo-idealismo italiano è quello di una visione che sappia ripensare il problema della storia, superando la dialettica degli opposti. Solo che questo superamento imboccherà due strade, a seconda che si accentui il momento della distinzione, o il momento

dell’unità. Croce imboccherà la prima, Gentile la seconda».

14 Così ancora lo stesso Natoli, op. cit., p. 91: “[…] l’attualismo rimane impigliato nelle figure della soggettività moderna proprio nel momento in cui le oltrepassa. Gentile si emancipa da Hegel e nel contempo rimane prigioniero del suo linguaggio […]”.

15 V. Bellezza, L’esistenzialismo positivo di G. Gentile, in “Giovanni Gentile. La

Vita e il pensiero”, vol. X op. cit..; G. Fornero, Sull’esistenzialismo positivo. Abbagnano e Gentile, in Rivista critica di Storia della Filosofia, Vol. 35, 1980

pp. 416-437.

16 Una ricostruzione degli sviluppi dottrinali della filosofia giuridica gentiliana è stata compiuta da A. Pinazzi, Attualismo e problema giuridico, op. cit. Il nostro

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«l’idealismo attualistico non è una semplice gerarchia di concetti compaginati in un ordinamento esteriore. Costituisce un blocco di pensiero compatto e monolitico, che è più facile spezzare, anziché smembrare e disarticolare nelle sue giunture logiche. La sua coerenza interna è serrata e perfetta. […] Il gentilesimo, è lo spinozismo, il kantismo, il fichtismo, lo hegelismo portati alle ultime conseguenze. A percorrerlo tutto, ci si trova sullo scrimolo di un abisso. Come andare più innanzi? O tornare indietro o rompersi il collo: questo è il dilemma.»17 Insomma, sembra quasi che il pensiero di Gentile giunga

alla fine di un processo e al contempo lo esaurisca, ne deponga gli ultimi atti: per dirla con le parole di Roberto Esposito, «in questo carattere ultimativo della filosofia di Gentile vi è un tratto, qualcosa di estremo, che la spinge al di là perfino di quelle di Husserl, Heidegger, Wittgenstein […] Mentre esse infatti hanno tutte avuto una prosecuzione – di tipo fenomenologico, ontologico o analitico – nella seconda metà del Novecento, il pensiero di Gentile sembra morire con lui nelle tragiche settimane che portano alla guerra civile e poi alla fine del fascismo.»18.

È merito di Natoli l’aver messo in luce come la portata speculativa del pensatore siciliano possa emergere in tutta la sua nitidezza, solo se questa venga posta in relazione agli esiti similari a cui giungevano tradizioni di pensiero di diversa origine e formazione. Da questo punto di vista, osserva Natoli stesso, è bene non farsi fuorviare dal lessico e dalla terminologia gentiliana che appare designata nei termini della tradizione idealistico-speculativo ottocentesca (Hegel-Rosmini-Gioberti-Spaventa) badando, piuttosto, al contenuto che in questa

lavoro è in parte orientato a cercare di seguire una linearità che, al di là una “scuola” in senso stretto, indichi, ad ogni modo, una continuità e comunanza di ricerche.

17 G. Maggiore, Il problema del diritto in G. Gentile, in “Giovanni Gentile. La vita

e il pensiero”, op. cit.

18 R. Esposito, Pensiero vivente. Origini e attualità della filosofia italiana, Einaudi, Torino 2010, p. 164.

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sintassi si esprime. Ebbene, gli esiti che queste riflessioni propongono sono, per esempio, assimilabili alle posizioni teoretiche che andavano formulando in quegli stessi anni Edmund Husserl o, ancora, lo stesso Martin Heidegger.19

2. La riforma della dialettica hegeliana

Ma in cosa consiste codesta riforma della dialettica? Potremmo dire, succintamente, che essa si fonda su tre elementi cruciali20: I) distinzione fra pensiero astratto e pensiero concreto: tutte le molteplici

determinazioni particolari cadono nel pensato, ed assumono valenza e validità solo allorché vengano inglobate nell’atto attuale, eterno, del pensiero pensante il quale le pone e ponendole le crea. Tale pensiero, però, non deve essere concepito come una realtà precostituita. Negare infatti l’indipendenza dell’oggetto dinanzi al soggetto e assumendo quello in questo, affermando la verità nella sintesi fra i due, non vuol dire pensare alla stessa attività del soggetto come meramente data. Dice Gentile nella Teoria generale dello spirito come atto puro:

«L’idealismo è sì la negazione di ogni realtà che si opponga al pensiero

come suo presupposto; ma è anche negazione dello stesso pensiero, quale attività pensante, se concepita come realtà già costituita, fuori del suo svolgimento, sostanza indipendente dalla sua reale

19 Si noti a questo riguardo G. Marramao, in AA.VV., G. Gentile, La filosofia, la

politica, l’organizzazione della cultura, op. cit, p. 43: «Non aveva poi tutti i torti

Croce, quando faceva osservare a Gentile: il vostro atto puro, che voi chiamate

Pensiero, si potrebbe del pari chiamarlo Vita, Sentimento, Volontà. Ma in tal

modo egli finiva per sancire – forse involontariamente – la legittimità dell’appartenenza della filosofia gentiliana alle espressioni più radicali del pensiero europeo delle prime due decadi del secolo: dalla filosofia della vita alla filosofia dell’esistenza».

20 Istruttivo, da questo punto di vista, il saggio di V. Fazio Allmayer, La riforma

della dialettica hegeliana, in “Giovanni Gentile. La vita e il pensiero”, vol. I, op. cit.

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manifestazione».21 Negazione quindi di ogni dimensione fattuale

meramente supposta e affermazione della verità come pieno svolgimento, come puro processo. Questa realtà, che possiamo definire Spirito, non è, si fa. La verità è il suo farsi, un continuo autodeterminarsi: eterna risoluzione, perenne problema. Questa realtà, che nel suo continuo divenire è la verità nel suo processo eternamente generantesi, non è possibile disgiungerla dall’attività del pensiero che s’esplica nella sua piena “attuosità”. Il pensiero concreto è quindi il pensare che unifica le singole particolari determinazioni. Ogni distinzione, fondamentale per il processo dell’unificazione, è una autonoma limitazione che il pensiero si pone dichiarando pensabile A e non pensabile B, mentre pensa come pensabile B, annullandolo e respingendolo da sé. II) Il molteplice, la natura, l’io empirico, lo

spazio e il tempo, sono tutti appartenenti al pensiero astratto, dinanzi al pensiero concreto. L’atto del pensare è unità dinanzi al molteplice,

del quale pur necessita, per condurre il proprio processo di attuazione; la natura è pensiero astratto in quanto pensiero fissato nel suo contenuto, facendo astrazione dal fatto che questo stesso contenuto è materia della forma dell’atto del pensare; l’Io empirico permarrà nella sua sfera astratta finché non verrà assorbito dalla forza dell’Io trascendentale, il vero Io che è un Noi comune. Ogni possibilità di conoscenza è sempre, ad un tempo, volontà di conoscere, volere conoscitivo, coscienza del proprio volere. L’altro, finché resta “altro”, non è conoscibile nella sua realtà. Tempo e spazio, infine, questi “moltiplicatori dell’essere” (l’espressione è di Vito Fazio Allmayer), stanno al pensiero concreto – che vive nell’istante, quell’istante eterno spazializzante e temporalizzante e perciò superiore alle stesse categorie dello spazio e del tempo – come pensiero astratto. III) In terzo luogo, ciò, ovviamente, non vuol dire che non esistano il molteplice e la

21 G. Gentile, Teoria generale dello spirito come atto puro, Le Lettere, Firenze 2003., pp. 22-23.

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natura. Ma è bene intendersi: la natura e la molteplicità sono errore se

concepiti indipendentemente dalla attività dello spirito, se pensati come mera molteplicità non risoluta.

La manifestazione di questi principi assume concretezza alla luce del nuovo metodo, quello che Gentile chiama il «metodo dell’immanenza»22 per opporlo al vecchio metodo, quello della

trascendenza. Ricostruito, genealogicamente, il difetto strutturale che innerva l’intera storia della filosofia occidentale, pervasane in misura quantitativamente minore, ma non qualitativamente differente fino a Kant, Fichte, Hegel, passando per i greci, Plotino, Cartesio e Spinoza, Gentile presenta la sua proposta teoretica fondamentale ritenendo che «l’errore fondamentale consiste nel cercare il pensiero (e la realtà) fuori dell’atto del pensiero, in cui il pensiero si realizza, laddove il concetto dell’a-priori, principio costitutivo dell’esperienza e realizzazione dell’Io puro; questo concetto […] non è altro che atto, funzione, pensare puro, attualità soggettiva, Io nell’atto di pensare»23.

Secondo Gentile, infatti, il metodo della trascendenza è stato il metodo filosofico per eccellenza a cui non si è mai riusciti realmente a sfuggire. Anche le filosofie dichiaratesi immanentistiche in realtà pongono come proprio basamento precipuo il metodo filosofico anzidetto. I protagonisti di questi passaggi sono, dal punto di vista storico-filosofico, prima Kant e poi Hegel. Mentre il primo però, tradì l’ispirazione originale, cioè l’idea di un atto puro soggettivo produttore e creatore del reale, prendendo «ad analizzare le forme dei giudizi per

cavarne le categorie […] non potevano riuscire e non riuscirono se non

idee, oggetti anch’esse di pensiero, quantunque obbligate a fare le parti di funzioni spirituali. [...] categorie [che] furono non propriamente modi di pensare, ma pensati»24, in Fichte e Hegel, invece, la

22 G. Gentile, La riforma della dialettica hegeliana, Sansoni editore, Firenze 1975, pp. 196 ss.

23 Ibidem, pp. 229-230. 24 Ibidem, p. 230.

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prospettiva che assume rilevanza è quella dell’Io-penso. Più specificamente, in Hegel, Gentile sottolinea il problema della precedenza della logica rispetto alla fenomenologia, la qual privilegiata posizione appare però teoreticamente infondata. Una volta ricondotto, infatti, il pensiero nell’attualità originaria sua propria, come pensiero pensante, «il pensiero logico, non guardato più nel suo astratto contenuto, ma nel suo eterno atto, è sì necessario ed assoluto, ma della stessa necessità ed assolutezza del preteso pensiero fenomenologico; e vien meno la posizione privilegiata della logica. La quale diventa un momento, essa stessa, della fenomenologia divenuta, a sua volta, logica.»25

La logica è pertanto la stessa vita dello spirito. Ma non come fatto positivo, concepito naturalisticamente o empiristicamente ma, in quanto autoctisi e perciò volontà, come assoluto valore.

In definitiva, cosa caratterizza questa filosofia dell’atto puro che tanto di diverso e innovativo vuol dimostrare rispetto alla filosofia precedente? Seguendo Gaetano Chiavacci26, potremmo dire che l’atto

puro di Gentile si configura, nella sua originalità, per il fatto di non risolversi in vero e proprio atto logico, come già lo stesso Gentile volle ritenere ma, in un certo qual modo, dimostrando un lato opaco, mal definibile, difficilmente afferrabile. Il logo concreto sarebbe «insieme inseparabilmente pensiero logico e qualcos’altro, intendendo per pensiero logico l’autocoscienza immanente a un giudizio oggettivo, su di un oggetto che si presenta come opposto al soggetto, di cui si supera tale opposizione […]: e intendendo con quell’indicazione infinita di quel qualcos’altro l’autocoscienza dell’Io non oggettivato, ma vissuto nella sua soggettività in relazione a un oggetto, che esso non giudica, ma in cui si rispecchia direttamente penetrandone l’intima vita».27

25 Ibidem, p. 230-231.

26 Si veda G. Chiavacci, L’attualità dell’atto, in “Giovanni Gentile. La vita e il

pensiero”, vol. I, op. cit.

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Distinguendo quindi fra conoscenza logica e conoscenza attuale, Gentile non nega la prima ma la risolve nella seconda, che prefigura la piena e intima autocoscienza, il vero pensiero pensante, la concreta attualità del conoscere, quella conoscenza che il soggetto ha di sé senza oggettivarsi, relazionandosi ad un oggetto che pervade della sua intima soggettività senza mai abolirlo o abrogarlo, ma sempre innalzandolo ad una più alta sfera di spiritualità.

3. La genesi de “I fondamenti della filosofia del diritto”

Una volta messi brevemente in luce i presupposti filosofici generali dell’orientamento teorico gentiliano è d’uopo entrare nel vivo dell’oggetto di questo lavoro e cioè quello del problema del diritto nell’attualismo giuridico italiano.

Una questione di vitale importanza per quanto riguarda il tema della filosofia giuridica di Gentile è quello relativo alla genesi28 del testo

fondamentale, su cui il pensiero del padre dell’attualismo trova sostanziale basamento. Ci si riferisce a I fondamenti della filosofia del

diritto, pubblicati dal filosofo nel 1916, stesso anno, peraltro, della

pubblicazione dell’opera di enorme portata teorica – per la ricostruzione delle basi del pensiero gentiliano così come per l’intero sviluppo della filosofia italiana del Novecento – che è la Teoria

generale dello spirito come atto puro. Sembra, infatti, che Gentile

abbia iniziato a provare qualche interesse effettivo per le tematiche giuridiche durante la guerra, accostandosi ad esse con un certo grado di leggerezza e parsimonia essendo anzitutto interessato, nelle prime due decadi di lavoro, a problematiche di ordine primariamente gnoseologico, metafisico e ontologico. Invero, il primo testo che

28 Su questo punto si veda la ricostruzione compiuta da A. Volpicelli, La genesi dei

fondamenti della filosofia del diritto di Giovanni Gentile, in “Giovanni Gentile. La vita e il pensiero”, vol. I, op. cit.

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dimostra una volontà di approfondimento del tema è la prefazione del 1904 ai Principî di etica di Bertrando Spaventa29 nella quale, però, egli

dimostra una sostanziale adesione al concetto del diritto così come concepito nella tradizionale prospettiva hegeliana, alla luce della rilettura dello stesso Spaventa. Siamo, quindi, ad un grado ancora piuttosto approssimativo ed ancora appiattito sulle tipiche logiche argomentative della tradizione idealistica. La prospettiva più compiuta, innovativa ed esauriente sulle interpretazioni del “giuridico” è rintracciabile ne I Fondamenti.

Ora, come si diceva, sembra evidente ch’egli si sia accostato al problema del diritto solo in un secondo momento, quando l’idea e l’impalcatura teoretica del suo pensiero erano certamente da portare a termine, ma, nelle loro fondamenta, ormai instaurate (ricordiamo che il testo fondamentale che ha dato avvio al nuovo corso del pensiero di Gentile è La Riforma della dialettica hegeliana, che risale a ben tre anni prima). Nemmeno può dirsi, tuttavia, che il saggio del ’16 sia da considerarsi una mera riscrittura del corso tenuto dinanzi agli studenti della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Pisa nel semestre 1915-1916. La vera genesi deve piuttosto ritrovarsi nelle discussioni assai vivaci che sorsero nella stessa scuola attualistica dinanzi al problema del diritto. I due protagonisti del dibattito sono Vincenzo Miceli e Giuseppe Natoli. Quest’ultimo, rispondendo ad una serie di asserzioni formulate dal primo nella “Rivista di Sociologia” (fasc. III-IV) nel 1913, ma già espresse in una comunicazione letta nello stesso anno alla Società per gli studi filosofici di Palermo (costituitasi, peraltro, proprio in quell’anno, attorno a Gentile), dette vita a un importante dibattito, dal quale scaturì proprio una necessità di

29 Ora ristampati dalla Società di studi politici nella collana “Gli hegeliani di Napoli”: B. Spaventa, Principi di etica, Scuola di Pitagora, Napoli 2007.

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chiarimento che troverà concretizzazione nei capitoli de I

Fondamenti.30

Le tesi del Miceli si sostanziavano in due fondamentali asserzioni. In primo luogo egli, seguendo Croce31, sosteneva l’empiricità del

concetto di diritto. Il diritto non poteva formularsi nei termini della dialettica spirituale della società, perché non dotato, sostanzialmente, di autonoma sfera. Come sappiamo, Croce, nella propria dialettica dei distinti, non potendo assegnare al diritto un’effettiva indipendenza lo dissolveva nelle due categorie fondamentali del particolare: economico ed etico. Il diritto in quanto fenomeno empirico non è riducibile alla filosofia, dal diritto non è possibile desumere un concetto filosofico. Esso, nella concezione crociana, si configura come una delle tante sintesi empiriche, certamente importanti dal punto di vista funzionale,

30 «Contro la pubblicazione del Miceli, pubblicata lo stesso anno sulla “Rivista italiana di sociologia” […] insorse con un’altra comunicazione dallo stesso titolo di quella incirminata, Esiste una filosofia del diritto?, un giovane seguace del Croce, notevolmente influenzato dall’insegnamento gentiliano, Giuseppe Natoli […]. Chi legga queste scritture e con esse confronti il saggio del Gentile non può non rimanere colpito dalla incontrovertibile identità dei problemi, motivi ed accenti che anche in questo si ritrovano, ed è indotto a supporre che in quell’accesa e circoscritta disputa filosofica è la nascita vera dei Fondamenti gentiliani, lo stimolo e la materia più cospicua dei problemi in essi trattati: che quel libro, nel suo motivo essenziale, è la mise à point dei problemi trattati o emersi in quella discussione.» Cfr. A. Volpicelli, La genesi dei fondamenti, in “Giovanni Gentile. La vita e il pensiero”, vol. I., op. cit., p. 366.

31 Per un’interpretazione del problema del diritto in Benedetto Croce, G. Perazzoli,

Benedetto Croce e il diritto positivo. Sulla «realtà» del diritto, Il Mulino, Napoli

2011; N. Matteucci, La filosofia della pratica in Benedetto Croce, in Tradizione

e attualità della filosofia pratica, a cura di E. Berti, Genova 1988, pp. 95-108; A.

De Gennaro, Crocianesimo e cultura giuridica italiana, Milano 1974; C. Nitsch,

Il fastasma della «prima forma». Saggio sulla riduzione crociana, Prefazione a:

B. Croce, Riduzione della filosofia del diritto a filosofia dell’economia, Giuffrè, Milano 2016; Nitsch, Il giudice e la legge. Consolidamento e crisi di un

paradigma nella cultura giuridica italiana del primo Novecento, in Individuo, diritto e ‘fare’. La denegatio crociana e la filosofia del diritto a Napoli nel Novecento, Editoriale scientifica, Napoli 2008; M. Lalatta Costerbosa, Diritto e filosofia del diritto in Croce e Gentile, in “Croce e Gentile, Enciclopedia

Treccani 2016; C. Bertani, Il posto del diritto nella filosofia pratica di Benedetto

Croce, Un’interpretazione, in Croce filosofo, a cura di G. Cacciatore, G. Cotrone

e R. Viti Cavaliere, tomo I, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003; B. Troncarelli,

Diritto e filosofia della pratica in Benedetto Croce, 1900-1952, Giuffrè, Milano

1995; M. Mustè, Benedetto Croce e il problema del diritto, in «Novecento», 4, 1992, pp. 60-73;

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utili sotto l’aspetto strutturale per una ricerca sociologica della società ma che, filosoficamente parlando, presentavano tutte le loro intrinseche limitazioni. Il diritto è fenomeno sociale da studiare e corrispondentemente trattare. Riportando le parole di Volpicelli che parafrasa le opinioni del Miceli: «Filosoficamente trattato, il diritto svanisce o si risolve in altro, che diritto non è¸ per cui o si ha la filosofia e si perde il diritto, o si ha il diritto e si perde la filosofia».32 Il

diritto quindi, nella prospettiva crociana non potendosi configurare nelle forme della concreta moralità, altro non è che attività o prassi economica, per questo non immorale né pre-morale, ma a-morale. Precedente, cioè, ad ogni forma etica, nel senso di autonomo e distinto. Secondo la prospettiva del Miceli, puntualizzando la tesi crociana con interpretazioni di carattere più personale, il diritto non si mostra, prendendone la forma, come azione economica astrattamente

codificata, ma risente di una specifica incidenza etica, che, se ad essa

non può essere ricondotto, ne percepisce l’influenza e ne accoglie la materia sostanziale. Il diritto, e da qui si arriva all’elemento nodale che fonda, spiegando la prima, la seconda tesi del Miceli, fa uso della forza materiale, ma la forza, di per sé non è né morale né immorale. Tuttavia, il diritto, utilizza la forza in guisa teleologicamente indirizzata e sapientemente costruita. Il diritto non fa uso della forza per la forza, con assoluta indifferenza ai fini nei cui confronti questa forza viene esercitata, non una forza, quindi, indiscriminata o moralmente indifferente, «bensì la forza che s’ispira e mira a giustizia, e sia pura e un minimo, nei rapporti umani33.» Insomma, nella visione del Miceli

mutuata dalla dottrina di Benedetto Croce, il diritto si configura come un “miscuglio essenziale”, che la filosofia discioglie nei suoi distinti

32 A. Volpicelli, La genesi dei fondamenti, in “Giovanni Gentile. La vita e il pensiero” vol. I, op. cit, p. 368.

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dissolvendo però il diritto stesso, dimostrandone l’intima inadeguatezza di comprensione di questo con le proprie categorie. A queste tesi, caratterizzate da virulenta vis polemica, si opporrà, come sopra accennato, un altro seguace del Croce, Giuseppe Natoli, molto vicino, tuttavia, anche agli insegnamenti di Gentile. Natoli chiarisce, in prima istanza, che non bisogna eccedere né con forme di esasperato unitarismo né, allo stesso modo, con tentativi arbitrari di frammentazione nei distinti – non bisogna in altre parole eccedere né con la sintesi né con l’analisi, ma trovare fra esse un giusto equilibrio.34

Bisogna riuscire a dimostrare che «il diritto è il porsi a sé o per sé dell’attività pratica stessa, il suo rappresentarsi come diritto per l’esigenza stessa dell’azione; onde la legittimità e l’assunto della rispettiva filosofia come ricreazione spirituale di questo processo di auto-rappresentazione giuridica della volontà.»35 Ne segue, quindi, che diritto e concetto di diritto debbono essere tenuti ben distinti. Solo al

«concetto o modo di conoscere – al principium cognoscendi – non anche alla realtà o al principium essendi, è da riferire la determinazione empirica»36. Se quindi il diritto è un reale e la filosofia

è la scienza ricostruttiva di questo reale, allora l’idea di una cognizione

filosofica del diritto è da ritenersi assolutamente fondata.

Riguardo al secondo punto Natoli obietta che non è vero che gli individui in società necessariamente vogliono la “giustizia”, quanto piuttosto la “forza” e la “coesione” del gruppo in cui attuano i loro fini.37 Lo stesso concetto di “ordine” che postula Miceli è di natura

atomistica e statica giacché il vero ordine giuridico è “svolgimento spirituale”, un gioco libero di forze sociali, un confronto continuo fra i diversi voleri e interessi individuali. «Se gli istituti etici del diritto si spiegano col rapporto di unità-distinzione di utile e bene, quelli

34 Ibidem, p. 370. 35 Ibidem. 36 Ibidem, p.371. 37 Ibidem.

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immorali, e in particolare, la guerra e la schiavitù, chi potrebbe seriamente affermare che rappresentino forme sia pure relative di moralità, e quindi spiegarli con una concezione storico-relativa dell’etica?».38

È proprio attraverso la ricerca di una risposta compiuta a queste stesse tesi e discussioni che Gentile farà derivare la struttura fondamentale dei Fondamenti: nei capitoli I (“La necessità e l’assunto della filosofia del diritto”), IV (Lo svolgimento, l’individuo e la società”), V (“L’interno e l’esterno della legge”) e il VI (“La morale e il diritto”).39

Le osservazioni appena compiute, a guisa d’introduzione, vorrebbero costituire un prodromo alle pagine successive di questo lavoro. L’opera sistematica di Gentile – e così degli autori trattati, rappresentanti della corrente attualistica – non è infatti esaminabile se non attraverso una chiara postulazione dei concetti fondanti dell’impalcatura teorica che, comunemente, denominiamo “sistema”. È sembrato quindi utile inserire in questa prima parte introduttiva, seppur in modo sintetico ed estremamente conciso, quelli che sono i basamenti su cui la filosofia (generale) – e quindi anche la filosofia giuridica – gentiliana poggia, nonché la genesi storica e storiografica del testo su cui l’intero

38 Ibidem.

39 Dei Fondamenti Gentile ha presentano tre edizioni. La prima è del 1916, la seconda, con lievi modifiche, è del 1923; la terza, infine, è del 1937, la cui trattazione è accresciuta con un saggio di introduzione alla filosofia morale, e soprattutto, con due capitoli finali, il VII e l’VIII, dedicati, rispettivamente, a Lo

Stato, che riproduceva la conferenza tenuta a Berlino nel 1931 su Il concetto dello Stato in Hegel, e a La Politica, che apparve la prima volta nel 1930 in

“Archivio di Studi Corporativi”. Alcuni considerano come una sorta di quarta edizione l’opera di filosofia pratica, uscita postuma, che è Genesi e struttura

della società, così p.e. secondo Maria Laura Lanzillo, “Giovanni Gentile e il problema del ‘concreto’ dalla ‘Filosofia del diritto’ a ‘Genesi e struttura della società’”, in “Filosofia politica, / a. XIV n.2, agosto 2000. Volpicelli, in La genesi dei fondamenti, op. cit., pp. 371-375, indica, capitolo per capitolo, ogni

rimando di Gentile alle discussioni citate. Per questo egli avrà modo di rimarcare che, alla luce della ricostruzione da lui compiuta, viene troncato «ogni dubbio intorno alla derivazione della sua materia e struttura logica dai problemi discussi tra il Miceli e il Natoli; prova che proprio ad essi, senza mai perder di vista la loro orginaria formulazione, quell’opera si sforza sempre di conferire l’impostazione e la trattazione speculativa adeguata, così da risultarne […] la

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attualismo giuridico trova la propria origine. Nei capitoli successivi, dopo aver messo in luce il contenuto del pensiero giuridico gentiliano, preceduto da una ricostruzione biografica, tenteremo di affrontare alcune problematiche comuni all’intera corrente attualistica, quali i rapporti, all’interno del dibattito penalistico, fra scuola classica e scuola positiva, il problema della norma giuridica e le dimensioni della giuridicità, in una analisi obliqua che tocchi i diversi autori coinvolti: Ugo Spirito e Giuseppe Maggiore, Angelo Ermanno Cammarata e Guido Calogero.

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Capitolo I

Uno sguardo biografico

1. Da Castelvetrano alla Scuola Normale Superiore

Giovanni Gentile, ottavo di dieci figli, originario del comune di Castelvetrano, in Sicilia, nasce il 29 Maggio 187540. Nel 1893 arriva a

Pisa per frequentare la scuola Normale Superiore, compiendo un salto improvviso da una chiusa provincia siciliana ad una città di ben altro fermento culturale. L’ingresso alla Scuola avverrà senza eccessive difficoltà; l’impegno nello studio da parte del giovane Gentile è ampiamente documentato dalla sua scintillante carriera scolastica. Dal 1881 al 1886 segue la scuola elementare a Campobello; dal novembre dello stesso anno al 1891 segue il ginnasio a Castelvetrano. Il passaggio al liceo classico Ximenes è datato 1891: è qui che avverrà la prima vera formazione culturale all’insegna del positivismo del futuro filosofo41. Gentile percepì il salto dalla scuola (siciliana) all’Università

come un vero e proprio passaggio dall’antico al moderno, dal passato, classico e scolastico, nel presente vivo ed attuale. Tale percezione non era determinata esclusivamente dal contesto provinciale e dal senso di chiusura che quest’ultimo trasmetteva. Sarà Gentile stesso a chiarire che la sensazione di arretratezza fu provocata, principalmente, dai contenuti e dalle modalità d’insegnamento, gli uni e le altre costantemente pervasi da un’invadente atmosfera positivistica,

40 Tre sono le biografie dedicate al pensatore siciliano: M. Di Lalla, Vita di

Giovanni Gentile, Sansoni, Firenze 1975; S. Romano, Giovanni Gentile. La filosofia al potere, Bompiani, Milano 1984; G. Turi, Giovanni Gentile. Una biografia, Giunti editore, Firenze 1995.

41 Cfr. Bonomo, La prima formazione del pensiero filosofico di Giovanni Gentile, Firenze, Sansoni 1972.

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probabilmente dovuta ad un isolamento politico e culturale della Sicilia pre e post-unitaria, tanto da risultare, secondo le stesse parole del filosofo, «la sola parte d’Italia a non risentire socialmente il contraccolpo della Rivoluzione francese»42. Ciononostante, Gentile

rimarrà sempre affettivamente legato alla Sicilia, anche quando ne affermerà gli atavici e mai superati difetti. Il senso di insofferenza verso la sua terra fu causato, prima di tutto, dalla consapevolezza dell’enorme distanza intellettuale e culturale rispetto al mondo universitario pisano nel quale egli era riuscito ad esprimersi con vera libertà e coscienza.43 Il clima che sembra emergere dagli anni vissuti

alla Scuola Normale risulta severo ma al contempo non eccessivamente oppressivo, ricco di intensi contatti fra docenti ed allievi e vivificato dalle forti passioni civili e politiche. Quali sono le figure storiche a cui deve ricondursi la formazione culturale di Gentile; i personaggi che più hanno segnato i quattro anni pisani lasciando una traccia indelebile nella preparazione del pensatore siciliano? Due figure è d’uopo citare. Alessandro D’Ancona, storico e positivista, docente di lettere italiane e direttore della Normale dal 1892 al 1899 e Donato Jaja, ex sacerdote meridionale, attento alle problematiche religiose, un filosofo dai tratti fortemente speculativi. I due professori avranno un’influenza diversa, ma per certi versi complementare, nei confronti del giovane studioso. La lezione di D’Ancona di carattere critico-erudito, volta all’accertamento costante dei fatti, alla disamina storica, all’analisi testuale, modus operandi che Gentile mai veramente abbandonerà; l’altro magistero, quello del professor Jaja, fortemente

42 G. Gentile, Il tramonto della cultura siciliana, Bologna, Zanichelli 1919, pp. 16, 145-146.

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incentrato sulla ricerca teoretica e sull’indagine speculativa volta alla scoperta delle cause fondanti, a cui deve aggiungersi la nascita e lo sviluppo di un senso di affetto che trascenderà in una dimensione quasi filiale.44 Jaja, seguendo le orme di Bertrando Spaventa, connette

strettamente Hegel alla tradizione culturale italiana fornendo al suo allievo le direttive culturali fondamentali per un lavoro che diverrà successivamente autonomo. Gentile, immedesimandosi integralmente nelle riflessioni del suo maestro, ne coglie appieno la dimensione emotivo-intellettuale, la forte predilezione per l’indagine teorica, traendo spunti per nuovi temi di studio45. Il peso dell’insegnamento di

Jaja nella formazione filosofica del pensatore siciliano è testimoniato, in primo luogo, da un intervento su un volume di un professore di Castelvetrano all’interno del quale Gentile sferra un feroce attacco a Filippo Turati, definito causticamente “mediocre sociologo”, accusandolo, nelle sue tesi astratte, di negare alla metafisica il diritto a vivere, invitandolo, altrettanto cinicamente, a leggere pagine di autori

44 Si pensi che, quattro anni dopo, ormai lontano da Pisa, una vota ottenuta la fotografia del Maestro, Gentile prometterà di portarla sempre con sé «perché l’immagine sua valga a ravvivar sempre più il ricordo del maestro incomparabile, che m’ha fatto intendere ed amare la vita con l’arte d’un insegnamento sapiente e con le effusioni d’un cuore caldissimo». Gentile, invierà altresì un suo ritratto al professore che Jaja custodirà sempre con estremo affetto: «Ho la tua fotografia sul tavolino accanto a quella del mio bimbo», e ancora: «nel conoscerti nell’aula d’insegnamento lessi presto negli occhi tuoi amor di sapere e desiderio di salire nelle regioni più elevate della vita».

45 L’importanza dell’insegnamento di Donato Jaja sarà ricordato dallo stesso Gentile il 14 Novembre 1914 all’interno della prolusione contestuale all’avvio dell’insegnamento di filosofia teoretica all’Università di Pisa: «Era egli per me tanta parte di Pisa e di questa scuola; egli aveva destato nella mia mente i germi di vita speculativa; egli m’aveva riscaldato del suo grande affetto e animato ad osare, a tentare la via, per cui mi son messo; egli mi procurò il cibo di cui mi son nutrito e mi nutro; egli mi comunicò l’amore ond’era infiammato l’animo suo; egli fu veramente il mio secondo padre spirituale, che anche da lontano mi seguì sempre con vigile occhio […]. Io non mi sostituisco; io continuo. Continuerò, memore sempre degli alti insegnamenti non pur di scienza, ma di coscienza, che da questa cattedra furono sempre dati da un maestro, che fu un apostolo»; cfr.

L’esperienza pura e la realtà storica, in G. Gentile, La riforma della dialettica hegeliana e altri scritti, 1923, p. 250-251.

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veramente importanti, quali Alfred Fouillé, l’autore di La liberté et le

determinisme, che all’interno della «Revue des deux mondes»

rivaleggiava con i suoi detrattori ai fini di una rinascita dell’idealismo e per una morale fondata sulla filosofia. La seconda testimonianza dell’incidenza ch’ebbe la dottrina di Donato Jaja è rintracciabile nell’oggetto della tesi di laurea, dedicata, significativamente a Rosmini e Gioberti, il cui periodo di stesura, non a caso, coincide col corso di lezioni tenuto da Jaja stesso sulle riflessioni filosofiche rosminiane. Si noti, tuttavia, come Gentile non fosse affatto un allievo privo di iniziativa o, per esprimersi in modo più diretto, un discente passivo, e ciò è dimostrato dagli stessi appunti di filosofia teoretica in cui non si perita nel portare innanzi tesi più o meno propositive volte a negare quella dimensione dualistica fra natura e spirito, tra sensazione e pensiero che Jaja tendeva ancora a mantenere.46 La predilezione per le

ricerche speculative non escludeva, cionondimeno, l’interesse per le ricerche storico-letterarie; è del 1896 un saggio, pubblicato, su suggerimento del Maestro D’Ancona, all’interno degli Annali della

Scuola Normale, sulle commedie di Anton Francesco Grazzini (detto il

Lasca)47. Tale scritto, peraltro, fu anche la prima ragione di incontro,

come vedremo più avanti, fra il filosofo siciliano e Benedetto Croce. Gentile, a Pisa, fu particolarmente attivo, impegnandosi in pubblicazioni anche piuttosto impegnative - come era uso a suo tempo fra gli studenti della Normale, sovente sollecitati alla produzione di articoli ben prima della stesura della tesi di laurea48. In primo piano vi

erano le riviste dirette dagli stessi professori: gli «Studi storici» di Crivellucci, soprattutto, e poi la «Rassegna bibliografica della letteratura italiana» di D’Ancona, e gli «Annali» della Normale; ma

46 G. Turi, Giovanni Gentile. Una biografia, Firenze, Giunti 1995, p. 34. 47 Cfr. D. Coli, Giovanni Gentile, op. cit., p. 43.

48 M. Moretti, Gentile a Pisa: Jaja, D'Ancona, Crivellucci, in “Croce e Gentile”, Enciclopedia Treccani 2016 www.treccani.it

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Gentile, come abbiamo già accennato, mantenne legami con Castelvetrano: sono di questo periodo le collaborazioni con la rivista «Helios» che cercò di utilizzare come mezzo di rinnovamento culturale del panorama siciliano.

2. Il periodo fiorentino

Nel Luglio del 1897 discute la tesi di laurea e la tesi di abilitazione all’insegnamento, ottenendo in entrambe il massimo dei voti e la stampa. Fa seguito la successiva raccomandazione da parte di Jaja per un posto di perfezionamento presso l’Istituto di studi superiori di Firenze. Siamo alla seconda “tappa” toscana del giovane Gentile. Dopo Pisa egli approda a Firenze dove, tuttavia, non riuscirà a trovare lo stesso ambiente accogliente e lo stesso spirito che animava il contesto pisano.49 I motivi del leggero disagio furono determinati da un certo

clima positivistico, “socialisteggiante”, per certi versi “piagnone”, volto a cercare di contemperare fede nel progresso e cattolicesimo.50 Si

pensi, addirittura, che appena arrivato a Firenze ebbe una lite con Pasquale Villari, per lungo tempo direttore della Sezione di Filosofia e Filologia dell'Istituto e convinto positivista; citando, riguardo a questo aneddoto, le stesse parole di Gentile:

«Mi fece chiamare nel suo gabinetto – scrisse Gentile a Croce il 30 dicembre 1897 – e mi fece sapere che aveva letto lui la recensione sul mio libro sulla storia da me mandata tra l’altre mie coserelle pel

49 V. Frosini, L’idealismo giuridico italiano, Milano, Giuffré 1978, p. 132. Nota Frosini: «A Pisa, e alla Scuola Normale Superiore, Giovanni Gentile è rimasto legato tutta la sua vita, come all’autentica patria del suo spirito. Nei suoi interessi di studioso, nelle sue ricerche di giovane erudito, fu anzi pisano prima che

siciliano; le sue prima indagini storiche furono dedicate a “le leggi statuarie nel

Comune di Pisa e a “ai medici in Pisa nel secolo XIV”» (corsivo mio). 50 D. Coli, Giovanni Gentile, op. cit. p. 43.

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concorso ai posti di perfezionamento. Poi mi disse che che la definizione da me accettata della storia – definizione per la quale si viene a porre una relazione col concetto della storia con quello dell’arte – non lo contentava: indovini perché? La ragione è curiosissima; perché, mi diceva, così si viene a confondere la storia con l’arte!»51.

L’Istituto fiorentino si rivelava, a suo tempo, un centro di alta cultura e di respiro europeo, caratterizzato da una forte tradizione positivistica. Lo stesso Villari, poc’anzi citato, contribuì fortemente a consolidarne la specifica sezione di filosofia e filologia. Il metodo storico è quindi dominante con Villari e Rajna, Vitelli, Guido Mazzoni e Ernesto Giacomo Parodi, mentre grande attenzione viene dedicata all’antropologia e alla psicologia sperimentale grazie alle ricerche e all’impegno di Felice Tocco.52 Proprio seguendo i corsi di quest’ultimo

Gentile viene a contatto, per la prima volta con il pensiero di John Locke e con le connesse tematiche giuridico-politiche. Secondo i giudizi di Tocco, Locke si dimostra essere il vero primo esponente della teoria liberale, giacché viene a concepire il diritto non come creazione dello stato, ma come realtà fondata sulla natura umana, mentre l’ente statuale ha il solo e fondamentale compito di garantire all’individuo la maggiore libertà (pratica) possibile. Lo Stato, secondo Tocco, deve vigilare affinché una certa fede non s’imponga con la violenza ad un’altra, senza sostenerne alcuna. Riflessioni certo non originalissime ma sicuramente importanti dal momento che rappresentano, come dicevamo, l’attestazione di un confronto diretto di

51 G. Gentile, Lettere a Benedetto Croce. Dal 1886 al 1900, Firenze, Sansoni, 1972, vol. I pp. 59-65: 62-63.

52 E. Garin, L’Istituto di studi fiorentini superiori di Firenze (cento anni dopo), in Id., La cultura italiana tra ‘800 e ‘900. Studi e ricerche, Bari, Laterza, 1963, pp 29-66, A. Olivieri, L’insegnamento della filosofia nell’Istituto di studi superiori

di Firenze 1859-1924, in “Annali dell’Istituto di Filosofia”, IV (1982), pp.

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Gentile con tematiche esplicitamente filosofico-giuridiche. La tesi di perfezionamento con Tocco sui filosofi meridionali Dal Genovesi al

Galluppi53 chiude il “periodo toscano” di Gentile che fa ritorno a

Castelvetrano in attesa di un posto da insegnante.

Come sopra accennato, nel 1896 Gentile si impegnò nella stesura di un saggio sulle commedie del Lasca, scritto che verrà pubblicato all’interno degli Annali della Scuola Normale Superiore. Un estratto di tale articolo verrà inviato allo stesso Benedetto Croce, da lui apprezzato per l’erudizione “sobria e calzante”. Come dono di risposta Croce invierà a Gentile la seconda edizione de La critica letteraria. Avrà così inizio uno scambio epistolare che dal 1897 inizierà a farsi intensissimo. L’incontro con Croce è qualcosa di più di un semplice scambio di opinioni o condivisione di idee. Dopo la conoscenza degli scritti di Croce, Gentile comincia a modificare notevolmente il proprio orizzonte culturale. Alla personalità intellettuale di Jaja si sostituisce quella di Croce, in un sodalizio intellettuale destinato a durare trent’anni. Il rapporto è ovviamente connotato da elementi in comune così pure da forti contrasti. Sarà Croce stesso a far sottolineare l’importanza dello stesso Gentile ai fini della prosecuzione del suo itinerario filosofico. Nel volume Contributi alla critica di me stesso, il pensatore napoletano noterà: «Col Gentile, oltre ad alcune affinità pratiche, mi stringevano affinità di svolgimento mentale e di cultura, perché anch’esso si era dapprima provato negli studi letterari come scolaro del D’Ancona e si era addestrato nelle indagini filologiche»; dopo l’incontro col il giovane filosofo trapanese «con animo ampliato e con compagnia intellettuale assai migliore di quella che mi era toccata in giovinezza a Napoli, si rinnovò in me il bisogno di dare forma, prima d’imprendere altri particolari lavori, alle vecchie mie

53 G. Gentile, Storia della filosofia italiana. Dal Genovesi al Galluppi – II, Le Lettere, Firenze 2003.

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meditazioni sull’arte […] che nel corso dei miei più recenti studi avevano perso il loro carattere isolato e monografico, entrando in relazione con gli altri problemi dello spirito».54 In un contesto

accademico piuttosto attardato la serietà e la schiettezza con cui esprimeva le sue idee gli resero la vita difficile. Tuttavia poté trovare nell’amico Croce un importante alleato nella battaglia contro il positivismo e un compagno fraterno capace di sostenerlo.

3. Il ritorno in Sicilia

Nel 1898 Gentile, invece di recarsi in Germania per un soggiorno di studio, è costretto a tornare nella terra natìa per prendersi cura della famiglia e delle difficoltà del padre. Inizia un periodo non facile per la vita del giovane studioso alla disperata ricerca di un’occupazione.55

Combattuto, infatti, fra i doveri verso la famiglia e quelli verso la scienza chiederà consiglio al suo maestro Jaja e, confortato da quest’ultimo, deciderà di rimanere in Italia. Faranno seguito travagliati avvenimenti accompagnati da un “pensiero dominante”: la spasmodica ricerca di una collocazione. La sua condizione suscita indignazione anche in Jaja il quale, nel 1898, in una corrispondenza con Tocco arriverà a dichiarare: «Gentile è rimasto senza cattedra […] non gli danno cattedra alcuna! La quistione non è personale […]. La guerra è contro la filosofia». Jaja arriverà persino a consigliare a Gentile di dedicarsi a delle ricerche in pedagogia al fine di aspirare ad un posto all’Università di Pisa. Qualche settimana dopo, tuttavia, Gentile, riesce ad ottenere l’incarico di filosofia al liceo Mario Pagano

54 B. Croce, Contributi alla critica di me stesso, in Id., Etica e politica, Bari, Laterza, 1967, pp. 330-331.

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di Campobasso. La reazione è quella di un’accettazione immediata dell’incarico, senza tuttavia grande entusiasmo. Il primo approccio fu positivo anche se la chiusura provinciale della cittadina molisana si mostra subito in tutta la sua evidenza. Al liceo di Campobasso, ad ogni modo, ha la possibilità di confrontarsi con tematiche di carattere pedagogico che diventeranno di sicura importanza nella futura riflessione filosofica e politica. La biblioteca della scuola risulta sufficientemente fornita. Tuttavia Gentile si trova spesso a dover interrompere le sue ricerche per mancanza di libri e fonti documentali.56 Nel febbraio del 1899 partecipa al concorso per la

cattedra di filosofia al liceo Mamiani di Roma, posizionandosi però solamente undicesimo, anche per colpa dei criteri di scelta essenzialmente fondati sull’anzianità e sull’esperienza didattica piuttosto che sulle pubblicazioni scientifiche - tecnica che Gentile stesso non esiterà a definire “balorda”. Chiederà la conferma, quindi, al liceo di Campobasso.

4. L’esperienza a Napoli e Palermo

Dobbiamo attendere il novembre del 1900 perché Gentile ottenga un posto, grazie anche alle spinte e raccomandazioni dello stesso Croce57

(che si impegnerà personalmente per sostenerlo dinanzi a Francesco Torraca, allora Direttore generale per l’Istruzione primaria) nel Liceo Vittorio Emanuele di Napoli. Vi rimarrà sei anni e contestualmente si lancerà nell’avventura de «La Critica». Per le lezioni nel Liceo napoletano sceglierà di seguire soltanto le sue dispense, evitando di adottare i manuali di Masci, Cantoni, Bosurgi, ritenuti inadeguati per

56 Ibidem, pp. 87-88. 57 Ibidem., p. 95.

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un insegnamento liceale. Nel 1902 arriveranno i primi riconoscimenti accademici. Nel novembre dello stesso anno Gentile otterrà la libera docenza in filosofia teoretica presso l’Università napoletana. Il 27 giugno del 1903 ottiene altresì la libera docenza in Pedagogia presso l’Università di Pisa. La prolusione che tiene il 28 novembre 1903, denominata La rinascita dell’attualismo, è storicamente considerata un primo manifesto della visione filosofica attualistica.58

Sono gli anni, questi, in cui Gentile e Croce si profondono in modo significativo nel lavoro de «La Critica», volto a un generale risveglio dello spirito filosofico e proponendo, per utilizzare le parole di Croce stesso, «un ponderato ritorno a tradizioni di pensiero che furono disgraziatamente interrotte dopo il compimento della rivoluzione italiana, e nelle quali rifulgeva l’idea della sintesi spirituale, l’idea dell’humanitas. E poiché filosofia non può essere se non idealismo egli è seguace dell’idealismo».59 L’attività svolta dai due pensatori

meridionali è stata di rilevanza fondamentale per lo svecchiamento della cultura nazionale e per l’apertura ai dibattiti contemporanei. In grado di intervenire su qualsiasi problema, una volta tradotti i termini fondamentali nel loro lessico filosofico, Croce e Gentile proponevano sintesi di libri, articoli di storia della letteratura e di storia della filosofia, con l’obiettivo fondamentale di gettare le fondamenta ed edificare l’identità della nuova classe dirigente. Gennaro Sasso, a proposito dell’esperienza culturale de «La Critica» sottolineerà: «La

Critica divenne così, velocemente, un severo luogo di ricerche, di

studi, e anche, spesso, di impietosi esami critici; e, con il diverso accento caratterizzante lo stile del direttore e del suo principale collaboratore, svolse un'opera della quale sarebbe vano voler disconoscere l'importanza. L'oggetto della "critica" era costituito dalla

58 D. Coli, Giovanni Gentile, op. cit., p. 46.

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cultura positivistica, che era bensì in declino quando la rivista iniziò la sua battaglia, ma non tanto, tuttavia, che se quell'urto violento e sistematico non si fosse prodotto, avrebbe trovato così presto la via della sua risoluzione.»60

Nel 1906 Gentile vince a Palermo un concorso di storia della filosofia ed arriva nel capoluogo siciliano il 30 settembre dello stesso anno. Il periodo palermitano si dimostrerà particolarmente felice, nonostante le difficoltà iniziali dovute all’improvviso allontanamento da Napoli e dal suo amico Benedetto Croce. Fondamentale la Biblioteca filosofica della città, nei cui Annali Gentile e i suoi allievi pubblicheranno moltissime discussioni filosofiche e dove, nel 1911, Gentile presenterà la sua filosofia dell’atto puro. A Palermo si verificheranno anche i primi dissidi intellettuali con Croce. Causa di tali attriti si rivelerà la stessa prolusione palermitana del 1907 sul Concetto della storia della

filosofia.61 Proprio attraverso tali confronti Gentile e Croce si

renderanno presto conto di avere due filosofie fortemente diverse. Per Gentile “filosofia” non era un mero apparato astratto di teorie, ma vera e propria attività creatrice del pensiero. Si notino le stesse parole del filosofo, raccolte poi nel volume La riforma della dialettica hegeliana: «Non si può pensare all’universalità del concetto di uomo, di animale,

di triangolo, di numero, perché non ci sono questi concetti, né in cielo né in terra, bensì il pensiero pensa questi concetti. E il pensiero di questi concetti non può essere il pensiero in generale, il pensiero divino (di Dio che sia altri da noi), se il solo pensiero concreto è il pensiero assolutamente nostro.»

Sempre a Palermo Gentile si interessa sempre più ai problemi della scuola e dell’insegnamento. Non a caso, nel 1907, fonda a Palermo,

60 G. Sasso, Gentile Giovanni, Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 53 (2000), Enciclopedia Treccani, www.treccani.it

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assieme all’amico Giuseppe Lombardo Radice, la rivista «Nuovi Doveri», attraverso le quale combatté la battaglia per la riforma della scuola. Nella città siciliana Gentile darà forma in modo pieno alla struttura basilare del suo pensiero mediante la stesura, in prima istanza, del saggio Le forme assolute dello spirito (che incluse nel volume l

modernismo e i rapporti tra religione e filosofia del 1909) a cui

faranno seguite le letture della già citata memoria de L'atto del pensare

come atto puro e quindi Il metodo dell’immanenza (1912) che

confluiranno, come già detto, nell’opera La riforma della dialettica

hegeliana del 1913; senza dimenticare il Sommario di pedagogia come scienza filosofica, pubblicato tra il 1913 e il 1914, che rappresenta, a

tutti gli effetti, la prima vera opera sistematica del pensatore siciliano. Gli attriti fra Gentile e Croce, a seguito della pubblicazione de La

Riforma, si faranno piuttosto aspri tanto che lo stesso Croce arriverà a

rendere pubblici i suoi dissensi in un articolo pubblicato per la «Voce» di Prezzolini; uno scritto in forma di lettera dove i termini del conflitto vengono posti in evidenza con amichevole risolutezza.62 Tutto

sommato, però, il periodo palermitano è appagante per Gentile e ricco di lavoro: oltre a gettare le fondamenta del suo idealismo attuale, condusse innanzi anche importanti studi sulla scolastica e il Rinascimento.63

62 Dichiara Croce: “Ciò che soprattutto mi impensierisce nel vostro idealismo attuale – rivolgendosi Croce non solo a Gentile ma all’intera sua scuola - è la depressione che esso produce nella coscienza dei contrasti della realtà, l’acquiescenza al fatto come fatto o all’atto come atto, implicita nella teoria che proponete dell’errore e del male, da voi attenuati sino alla completa vanificazione e privati di ogni realtà”. Per la ricostruzione della polemica si veda M. Lancellotti, Croce e Gentile. La distinzione e l’unità dello spirito, Studium, Roma 1988, pp. 101-164.

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5. Gli anni pisani e l’incontro con la tematica giuridica

Dopo aver esperito invano un tentativo per una cattedra presso l’Università di Roma (prima scelta negli interessi di Gentile) ed a Torino, la morte del suo ex maestro Jaja gli spiana la strada per l’ottenimento di un posto da professore ordinario presso l’Università di Pisa nel 1914. Una scelta di ripiego ma ad ogni modo gradita, visti gli affetti che legano il filosofo al contesto cittadino dove ha visto crescere e lentamente maturare la sua formazione teorica. Al centro della prolusione pisana del Novembre 1914, denominata L’esperienza pura

e la realtà storica64, vi è il principio essenziale della sua filosofia cioè

l’assimilazione della realtà con l’atto del pensiero. A Pisa Gentile non resterà moltissimo, dacché già nel 1918 è a Roma incaricato dell’insegnamento di storia della filosofia. Pisa, tuttavia, risulta importante ai fini del nostro studio poiché qui, nell’anno accademico 1915-1916, Gentile entrerà a contatto con la Facoltà di Giurisprudenza, tenendo il corso di Filosofia del diritto, dal quale sorse, per appunto, il volume I Fondamenti della filosofia del diritto del 1916 (a cui faranno seguito due successive edizioni, rispettivamente nel 1923 e nel 1937).65

Senza dimenticare che, nello stesso anno, Gentile pubblicherà la prima

64 G. Gentile, L’esperienza pura e la realtà storica. Prolusione al corso di filosofia

teoretica tenuto nella R. Università di Pisa il 14 Novembre 1914, Libreria della

Voce, Firenze 1915.

65 Dei Fondamenti Gentile ha presentato tre edizioni. La prima è del 1916, la seconda, con lievi modifiche, è del 1923; la terza, infine, è del 1937, la cui trattazione è accresciuta con un saggio di introduzione alla filosofia morale, e soprattutto, con due capitoli finali, il VII e l’VIII, dedicati, rispettivamente, a Lo

Stato, che riproduceva la conferenza tenuta a Berlino nel 1931 su Il concetto dello Stato in Hegel, e a La Politica, che apparve la prima volta nel 1930 in

«Archivio di Studi Corporativi» Alcuni considerano come una sorta di quarta edizione l’opera di filosofia pratica, uscita postuma, che è Genesi e struttura

della società, così p.e. secondo M. L. Lanzillo, «Giovanni Gentile e il problema del ‘concreto’ dalla ‘Filosofia del diritto’ a ‘Genesi e struttura della società’», in “Filosofia politica, / a. XIV n.2, agosto 2000.

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edizione della Teoria generale dello spirito come atto puro ed avvierà la prima stesura del Sistema di logica come teoria del conoscere (la cui pubblicazione sarà dell’anno successivo, a cui nel 1923 farà seguito il secondo volume).

L’inserimento di Gentile nell’ambiente accademico fu anche un immissione nel tessuto politico e civile della città. Si noti che la permanenza del filosofo nella città toscana coincide perfettamente col periodo della prima guerra mondiale. Si impegnò, così, da buon cittadino, nel fornire ausilio al «Comitato Pisano di preparazione e di

mobilitazione civile», per il quale scrisse il proclama66. Inizialmente

titubante e lontano da quelle tendenze estetizzanti e mistiche proprie di certe culture elitarie in voga all’epoca - in Italia come nel resto d’Europa - successivamente si rivelò, una volta spezzati gli indugi diplomatici e la guerra dichiarata, convinto interventista.

Come accennato, Gentile, durante questi anni, entra a contatto col “mondo giuridico” pisano67. Certo, l’interesse per le problematiche

giuridiche non può certo essere isolato in quei pochi anni di esperienza di insegnamento a Pisa, giacché sulle questioni fondamentali della disciplina Gentile vi ritornerà già nel 191768 e nuovamente nel 1920

nell’ambito di una discussione con altri due filosofi: Vincenzo Miceli (peraltro suo successore nella cattedra pisana) ed Eugenio Di Carlo; né tanto meno si può limitare alla vicenda intellettuale pisana la tematica del pensiero gentiliano per quanto concerne i problemi giuridici: di temi come il significato della pena o del valore dello Stato se ne trova

66 La raccolta degli scritti, pienamente coincidenti con gli “anni pisani” su temi bellici, in cui sono visibili anche gli stessi proclami, verranno raccolti, dopo la fine della guerra, nel volume Guerra e Fede, Ricciardi, Napoli 1919.

67 C. Laviosa, L’insegnamento della filosofia del diritto nell’Università di Pisa,

Rivista Internazionale di filosofia del diritto, XXXI,1954, pp. 264-267.

68 G. Gentile. Recensione a P. Bonfante, Il metodo naturalistico nella storia del

diritto, in La Critica, XV, 1917, pp. 254-256; cfr. la Replica di Bonfante nella Rivista di sociologia, XXII, 1918, pp. 3-17.

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