Capitolo II: Il pensiero giuridico gentiliano nel suo sviluppo: da “
2. Autorità ed individuo
La dimensione tipicamente spirituale della volontà contraddice la conflittualità materialistica di stampo hobbesiano: per l’idealismo non esistono individui che possano trasformare il loro egoismo in situazioni
116 Ricorrenti sono i richiami fra dimensione politico-giuridica e sfera etico- pedagogica, tanto che lo stesso Sommario di pedagogia, nel volume secondo, è comunemente reputato un’importante contributo dello stesso Gentile alla sua teoria giuridica e politica. Cfr. G. Gentile, Sommario di Pedagogia come scienza
di reale conflittualità. «Se così è, l’egoismo, realisticamente inteso, è una chimera, e il bellum omnium contra omnes, come quella di Hobbes, che non vedeva il mondo se non attraverso il corpo». 117 La
guerra stessa che, prima facie, potrebbe apparire come il più chiaro prodotto degli egoismi individuali è invero «la risoluzione di una dualità o pluralità nel volere unico»118. Così come bene e male non
possono darsi una volta per tutte - come una sorta di punto di arrivo raggiunto il quale non è necessario impegnarsi per procedere oltre – allo stesso modo pace e guerra rappresentano un unico movimento, un
processo inesauribile. Gentile riassume questo processo dialettico
nell’idea di concordia discors: «la volontà è sempre concordia discors: e la discordia in cui appariscono gli interessi particolari è momento della concordia, in cui gli interessi divergenti sono pacificati nell’universalità del volere unico».119
Esattamente per la medesima ragione l’individuo, essere particolare, non trae la sua realtà autentica in una dimensione unilaterale, di pacifico isolamento, ma soltanto all’interno del momento sociale cioè a dire in società, dove il rapporto con l’alter e la consapevolezza della propria appartenenza ad un sentire più ampio lo rende concretamente consapevole. Il procedere dell’argomentare attualistico (o idealistico, se vogliamo) implica la cesura fra la visione empirica e quella speculativa: se la società, da un punto di vista superficiale è accordo
fra individui, dal punto di vista concreto è la realtà del volere nel suo processo.120 Questa formulazione cerca di dirci, nella sostanza, che la 117 G. Gentile, I Fondamenti, op. cit., p. 71.
118 G. Gentile, I Fondamenti, op. cit., pag. 72. 119 Ibidem, p. 73.
120 La società «se empiricamente è l’accordo degl’individui, speculativamente è la
realtà del volere nel suo processo. Sicché il valore universale s’instaura con
l’immanente soppressione dell’elemento particolare. Essa non è perciò inter
homines, ma in interiore homine; e tra gli uomini è solo in quanto tutti gli
uomini sono, rispetto al loro essere spirituale, un uomo solo, che ha un solo interesse, in continuo incremento e svolgimento: il patrimonio dell’umanità».
causa più autentica della società non risiede nella relazione formale tra gli individui, ma la si rintraccia nell’interiorità dell’uomo. Il vero incontro degli individui in società non avviene in forza dell’empirico rapportarsi ma dal riconoscimento dell’adesione a un comune sentimento: dall’Io al Noi, dalla dimensione empirica e alla sfera trascendentale. La necessità del superamento dell’estraneità rispetto all’affermarsi del singolo in società impone che di quest’ultima si assuma un concetto che non si configuri come mero intrecciarsi di relazioni inter-individuali quanto piuttosto di un consapevole riconoscimento della superiorità della dimensione collettiva rispetto a quella individuale, ad una predominanza del Noi sull’Io.121 Ma il Noi
non può rivelarsi da un punto di vista esterno: deve dimostrare la sua effettiva esistenza, che è potenza, nell’auto-coscienza del cittadino, consapevole di essere parte di un processo più ampio che si sostanzia nell’unità del volere.
È conseguente che né l’autorità né la legge possiedano un valore
estrinseco rispetto alla intima realtà spirituale dell’individuo. Società-
autorità-legge122 costituiscono per Gentile un unico moto; chiarisce il
Cfr. G. Gentile, I Fondamenti, op. cit., p. 75-76.
121 Le tesi di Gentile non sono totalmente riconducibili alla dicotomia fra concezione organicistica e concezione individualistica della società: la visione di Gentile si pone, piuttosto, in una via intermedia, cercando di innalzare l’individuo astrattamente inteso in individuo concreto e quindi forza originante della stessa struttura fondante della società. La lettura di Gentile, insomma, non è semplicemente riconducibile al motto “il tutto è più importante delle singole parti”, giacché sono proprio le singole parti che consentono l’avvio del processo e l’affermazione della dialettica del concreto volta a risolvere il particolare nell’universale: le parti hanno bisogno del tutto come il tutto ha bisogno delle parti, l’uno non può darsi senza l’altro e viceversa. Di diversa opinione è N. Bobbio, Intorno a un giudizio su
Giovanni Gentile, in “Studi di filosofia in onore di Gustavo Bontadini /
AA.VV.”,Vita e pensiero - Vol. 2, Milano 1975. pp. 213-233.
122 Gentile introduce il tema della legge affrontandolo dal punto di vista dell’autorità. Egli fa notare come - quantunque le molteplici forme sociali necessitino quasi sempre di un soggetto che si ponga in termini autoritativi - esistono pur anco forme in cui la dimensione autoritativa non è necessaria. Si pensi, ad esempio, all’amicizia, tipica relazione inter-soggettiva dove non vi è traccia di una dimensione autoritativa. Invero, il riferimento all’amicizia risulta piuttosto debole. Se volgiamo
nostro autore: «Chi dice società, dice autorità, volontà superiore che disciplini le volontà associate, unificandole in una legge comune».123
L’autorità «ritrae il titolo della propria superiorità, non da una forza meccanica che operi dall’esterno sulle volontà soggette, ma dalla stima (nel più largo significato del termine) ond’essa apparisce degna, e dal valore intrinseco che le si attribuisce. Non è il maestro che con l’autorità sua, fa accettare la verità, ma è la verità che rende autorevole il maestro».124 Insomma, l’autorità è reale in quanto è oggetto del nostro riconoscimento; tutti i tentativi filosofici volti dimostrare
l’esistenza di un’autorità superiore rispetto alla dimensione del riconoscimento soggettivo si sono dimostrate «vane logomachie, essendo ben chiaro che, per alta che sia cotesta autorità, essa non sarà mai se non all’altezza a cui l’avremo noi collocata. Dire autorità non è altro che dire legge: legge, beninteso, fondamentale, e che sia assolutamente legge».125
La dimensione del riconoscimento, elemento costante nel dibattito attualistico e vera cifra della concezione idealistica dell’inter-
soggettività rivela la necessità di un continuo processo di
interiorizzazione del dato esterno; la dialettica dello spirito mira, inesauribilmente, a smaterializzare questa stessa durezza del fatto nella consistenza dell’atto, onde coglierne appieno l’autentica veridicità. Allo stesso modo l’autorità politica non è mai tale in quanto si imponga ex abrupto; è tale perché riconosciuta come vera autorità, come unica autorità che può concedersi l’attività di legiferare. La sua affermazione non deriva da un procedimento di imposizione ma da un processo di agnizione dell’individuo che se ne appropria sfilacciandone la distanza materiale. Possiamo notare qui, una certa
lo sguardo, infatti, a gruppi sociali più comuni, come la famiglia, la scuola, lo Stato, la questione assume contorni diversi.
123 G. Gentile, I Fondamenti, op. cit, p. 76. 124 G. Gentile, I Fondamenti, op. cit., pp. 76-77. 125 Ibidem, p. 77.
distanza dall’insegnamento crociano che invece sottolineava l’importanza della duplice dimensione del consenso-dissenso per la formazione delle norme sociali.126 Il Nostro autore sembra voler
ridimensionare drasticamente la dicotomia tra consenso e dissenso, volgendo l’attenzione unicamente sulla prima condizione. Il tentativo del filosofo trapanese non mira a demolire la caratteristica del dissenso quasi fosse una inutile superfetazione, egli vuole piuttosto sostenere che la possibilità dell’opposizione e del disaccordo delle volontà assume rilievo soltanto nel momento in cui questo venga risolto nella sintesi di una più alta comunione d’intenti. L’assoluta negatività così come la totale positività appaiono all’attualismo irreali perché privi del momento necessario del riconoscimento della negazione che diviene affermazione.127
Proprio all’interno del contesto relativo alla problematica dell’autorità, Gentile distingue fra Legge fondamentale e leggi particolari, sembrando alludere ad un rapporto fra Costituzione e attuazione di questa mediante norme legislative. Orbene, egli sottolinea come di leggi, in termini generali, se ne danno due: una ed unica, la vera Legge; le altre infinitamente molteplici, leggi soltanto in virtù della prima. «Così, in uno Stato c’è una legge costitutiva, che conferisce a certi organi la facoltà di legiferare – sembrano quelle che oggi nel dibattito teorico-giuridico contemporaneo chiamiamo norme di
competenza, in quanto attributive di poteri e non regolatrici di norme
di condotta – e ci sono leggi particolari, in cui questa facoltà si spiega – e qui sembra alludersi alle norme di condotta emanate in virtù dei poteri riconosciuti dalle norme sopra citate.»128 Le seconde possono
126 B. Croce, Filosofia della pratica. Economica ed etica, Laterza, Bari 1909. 127 Il tema conduce in modo diretto alla problematica della legge ingiusta quale
prodotto dello Stato, tema che verrà affrontato più avanti. Se lo Stato afferma una volontà non conforme alla vera idea di legge quale posizione deve assumere il cittadino?
andare incontro ad abolizione ma lo Stato permane, e deve permanere, altrimenti nessun valore avrebbe la promulgazione così come la abrogazione. Orbene, allo stesso modo, in una società tutte le norme particolari presuppongono la norma statutaria di cui l’autorità è rivestita nella sua capacità di dettar regole. Tale unica Legge da cui traggono vita e sostanza le leggi particolari è la raffigurazione della
vita dello spirito, la legge della morale che in ogni istante della vita da
origine ad un dovere sempre nuovo e continuamente inadempiuto. Alla base della società, insomma, vi è la morale che richiede una costante attuazione, nel rispetto delle leggi frutto del processo dialettico di affermazione dello spirito nella situazione storica. L’autorità si rivela presente anche nel foro interno della persona giacché «tutte le autorità si fondano nell’autorità ond’è rivestito dentro ciascuno di noi, nel seno dello spirito, che è il proprio essere di ciascuno di noi, lo stesso soggetto spirituale, la universale persona, e il vero sovrano onde ogni stato è attivo. Questo soggetto è quello infatti che impone tutte le leggi, e tutte le fa riconoscere»129. L’individuo trae la consapevolezza della
propria inerenza al contesto sociale grazie al permanere della Legge Fondamentale, vera fonte della più intima disciplina. Le singole leggi particolari, suscettibili di trasgressione, non scalfiscono il senso di obbedienza che è, ad un tempo, cosciente volontà di appartenenza al Noi comune.130 Dinanzi alla prospettiva di un’obbedienza assoluta,
dovuta prescindendo da ogni valutazione contenutistica, la filosofia gentiliana sembra trovare punti di intreccio importanti con la tradizione positivistica. La configurazione, infatti, di una Legge superiore, valida in ogni momento, che impone il rispetto legale anche dinanzi alla ingiustizia di una singola legge specifica, postula le basi per l’affermazione, all’interno del sistema, di una concezione assimilabile al c.d. legalismo etico. In questo modo, seguendo Troncarelli,
129 G. Gentile, I Fondamenti, op. cit., p. 79. 130
«l’assoluto spiritualismo di Gentile si traduce in una delle più radicali espressioni di positivismo: il legalismo etico, che reputa sempre giusto ciò che è comandato, si congiunge infatti con il positivismo giuridico, secondo cui una legge è tale perché valida»131.