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L’origine del diritto

Capitolo II: Il pensiero giuridico gentiliano nel suo sviluppo: da “

3. L’origine del diritto

Abbiamo affermato che lo scopo della speculazione gentiliana, nel suo caratterizzarsi come filosofia giuridica, è la ricerca e l’indagine di ciò che costituisce l’origine del diritto, la fonte sostanziale della dinamica giuridica.

Orbene, Gentile ci dice che principio produttivo del diritto è la forza. Ma una forza diversa rispetto a quella concepita da Baruch Spinoza e, dalla parte avversa, da Jean-Jacques Rousseau:132 essi infatti, in modo

diverso, pur evidenziando un elemento fondamentale per la comprensione della genesi del diritto erravano nel momento in cui cercavano di dare una definizione esaustiva al concetto di forza: il primo leggeva quest’ultima in una pura dimensione meccanicistica, movimento automatico che non poteva non condurre alla sopraffazione del più forte sul più debole (l’idea del pesce grande che mangia il pesce piccolo). Il secondo, invece, coglieva nel segno nel momento in cui veniva a dichiarare che dalla forza mai avrebbe potuto discendere

131 B. Troncarelli, Dialettica e logica sociale nella prospettiva della complessità.

Hegel, Croce, Gentile, Edizioni scientifiche italiane, Napoli 2006, p. 90. Secondo

l’autrice, peraltro, al di là della posizione gentiliana, è ogni teoria che radica i propri presupposti sul primato della prassi che «che incorre inevitabilmente, se è coerente con le proprie premesse, in una visione desostanzializzata e

formalistica quanto volontaristica del diritto: la quale altrettanto inevitabilmente

si rivela funzionale alle esigenze di conservazione dell’ordine costituito, giusto o ingiusto che sia». Cfr B. Troncarelli, Dialettica e logica sociale nella prospettiva

della complessità, op cit., p. 90. Della stessa autrice si veda, inoltre: B.

Troncarelli, Diritto e politica nella problematica del neo-idealismo italiano, In «Bruno Montanari (a cura di) “Spicchi di novecento”», Giappichelli, Torino 1998; Ibidem, Complessità dilemmatica. Logica, scienza e società in Giovanni

Gentile, Mimesis, Milano-Udine 2012.

alcun diritto, ma cadeva in errore nel momento in cui negava a questa dimensione qualsiasi sfera di idealità: «non è perciò una forza naturale, determinata obbiettivamente e senza intrinseca razionalità, ma è libera forza spirituale, la quale può realizzarsi solo attraverso una legge universale, e negando costantemente ogni particolarità.»133

In questo modo «la forza che è diritto è la forza interiore, l’attività o potenza dello spirito, nella sua intimità»134. Vediamo che Gentile

costruisce un concetto di forza che è, per certi versi, opposto al senso che le viene comunemente attribuito. La forza è parte ontologica rispetto alla formazione del diritto, un movimento inevitabile ai fini della sua nascita e del suo sviluppo. Gentile non allude alla violenza

empirica, all’imporsi del diritto nella sfera corporale dei soggetti

sottoposti al suo dominio. L’idea di forza che costruisce Gentile è lontana dal senso comune dei giuristi i quali compiono, nella quasi totalità dei casi, un’assimilazione fra forza e coattività nonché tra forza ed esteriorità. La forza che emerge dalle discussioni della scienza giuridica è la capacità attribuita al diritto di imporsi anche in

mancanza di un libero consenso. È il potere “magico” del diritto:

quello di farsi rispettare indipendentemente dall’adesione interna dell’individuo o del gruppo di individui che dovranno subire gli effetti obbliganti della stessa norma giuridica. In un certo modo, l’idea dominante nel ceto dei giuristi, fra i c.d. studiosi dogmatici, è quella di una concezione della forza che trae origine dall’idea kantiana e che trova corrispondenza nelle tipiche ricostruzioni concettuali del positivismo giuridico ottocentesco. La forza che assume rilievo, invece, per l’attualismo giuridico è la forza dal punto di vista filosofico epperò veramente concreto.135 L’idea di una forza che si imponga ab

133 G. Gentile, I Fondamenti, op. cit., p. 82 134 Ibidem.

135 Dobbiamo invero rilevare che tale concezione non è propria ed esclusiva dell’attualismo giuridico ma è generalmente accolta anche dai più variegati esponenti dell’idealismo. Cfr. F. Battaglia, Corso di filosofia del diritto, Soc. Ed.

extra nei confronti dei cittadini entra in collisione con una concezione non fattuale del diritto. È chiaro, infatti, che la possibilità di concepire

il diritto come strumento di imposizione incurante del riconoscimento dei consociati presuppone una precisa concezione gnoseologica: quella in forza della quale il diritto si presenta in termini di pura oggettività,

cosa esterna all’individuo a cui quest’ultimo può aderire oppure no; prodotto accidentale e disgiunto a cui il soggetto può confermare la

propria adesione, discrezionalmente. Insomma, un’idea opposta a quella sostenuta dall’attualismo che ricusa ogni possibilità di scissione fra soggetto e oggetto, in un orizzonte di monismo radicale. Il soggetto della legge, invece, è pure il soggetto della forza che la esegue. La legge non è un prius né un posterius della forza che rende effettiva, rispetto all’energia che la pone nella realtà. L’aspetto di esteriorità che assume sovente il diritto è in realtà destinato ad essere risolto nell’immanentizzazione dell’atto coattivo. La forza non è mai esterna dal punto di vista ontologico, ma sempre interna. È esterna solo laddove il processo spirituale non è pienamente compiuto.

Questa forza interiore è la forza autentica del diritto dove ogni astratta esteriorità si converte nell’interiorità dello spirito. La forza che si sente straniera, che si subisce come una necessità, come violenza, è forza che si naturalizza e quindi non vera; essa, però, non è percepita più come tale «se viene trasportata dalla natura in noi, dove essa effettivamente agisce».136 La stessa forza agisce nel rapporto educativo

«come potenza esterna; ma la stessa educazione si ha veramente quando l’esteriorità si risolve e il maestro […] diventa interno allo spirito dell’educando, in guisa che la forza dell’uno sia la forza propria

del Foro Italiano, Roma 1940.

136 G. Maggiore, op. cit., p. 236. «in tutta la vasta rete di d’interdipendenze spirituali la vita dello spirito importa l’appropriazione e l’interiorizzazione delle forze esterne, che a rigore, in quanto esterne, non valgono per lo spirito, ossia non agiscono, non esistono come forze». Cfr. G. Gentile, I Fondamenti, op. cit., p. 85.

del secondo»137. Allo stesso modo il diritto non godrà dell’alto

beneficio della sua forza spirituale laddove non venga fatto oggetto di un adeguato procedimento di affermazione interiore e quindi di riconoscimento.

Il problema del rapporto fra forza e legge è strettamente correlato al problema della coattività del diritto, tema che, tuttavia, verrà ripreso fra poco e che qui ci limiteremo solo ad accennare. Il filosofo siciliano ne I fondamenti distingue tra un aspetto interno ed un aspetto esterno della legge chiarendo che «l’azione della forza spirituale è interna (a

parte subiecti) se è nostra, esterna (a parte obiecti) se altrui. La

legittimità della prima sta appunto in ciò, che essa reca in sé l’attualità del soggetto, e quindi è celebrazione di libertà, di vera e propria attività spirituale – nella cui realtà consiste il supremo valore; laddove l’altra, in quanto esterna, si presenta bensì nell’interno della coscienza, al soggetto, ma, come estranea ad esso, e opposta alla sua realizzazione: è momento negativo, che il soggetto deve superare per realizzarsi».138

Conclude, conseguentemente, che l’attività spirituale conserva in sé due diverse facce: una esterna ed una interna. Orbene, la vera

esteriorità a cui bisogna guardare è l’interna negatività del volere,

fuori del quale è impossibile imbattersi in alcunché di positivo. La c.d.

coazione del diritto che è da concepire come forza esterna è tale

proprio in senso spirituale e, quindi, interiore. La forza della coazione, si sostanzi o meno in una imposizione di carattere fisico sarà nel dolore che è stato interno al soggetto.

Il diritto, nel moto propulsivo della sua attuazione, trova nella volontà la spinta verso la sua pratica realizzazione e la forza costituisce la linfa vitale che consente a tale moto di esprimersi nella sua piena vitalità. La rivisitazione, in chiave eversiva, della tradizionale nota della coattività porta Gentile ad attribuirle un contenuto molto distante

137 G. Gentile, I Fondamenti, op. cit., p. 84. 138 G. Gentile, I Fondamenti, op. cit., p. 85.

rispetto a quello solitamente attribuito dal singolo operatore del diritto. Proprio la lontananza di questo concetto da quello comunemente assunto dal giurista, implica un interrogativo sulla reale applicazione e sulla effettiva concretizzazione di questi principi che rischiano, in tal modo, di isolarsi nella loro costruzione teorica, senza offrire la possibilità di futuri sbocchi attuativi.