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Calogero e la dimensione processuale della norma

Capitolo IV: La visione del diritto Il problema della norma giuridica e

2. L’idea del “voluto” e il problema della norma

2.4. Calogero e la dimensione processuale della norma

Nella dottrina filosofica di Guido Calogero la tematizzazione del concetto di norma giuridica e delle sue caratteristiche essenziali non

trova una precisa collocazione teorica. Ciononostante può risultare fruttuoso soffermarsi, a grandi linee, sulle ricerche di carattere logico portate avanti dall’autore per dedurne alcuni elementi di rilievo per una definizione, quantomeno prossimale, del concetto del diritto e di norma.

A differenza di altri autori idealistici Calogero concentra i suoi studi giuridici, anziché su temi quali l’ambito gius-pubblicistico o il diritto penale, sul problema della logica del giudizio e dei criteri intepretativi e, per questa via, si inserisce nell’importante dibattito sui concetti giuridici. I suoi referenti principali che costituiscono lo sfondo teorico delle sue riflessioni sono, fra gli altri, Emilio Betti, Salvatore Pugliatti, Arturo Carlo Jemolo.

Calogero denuncia infatti – e qui si dimostra la distanza dell’autore rispetto agli orientamenti di altri “colleghi” – un errore cruciale nei maestri dell’idealismo giuridico e cioè quello di essersi soffermati quasi esclusivamente sul problematico rapporto fra diritto e libertà tralasciando quasi esclusivamente i legami fra diritto e giustizia. L’idealismo italiano, insomma, ha innalzato il concetto di libertà interpretando, però, il concetto di giustizia in termini puramente empirici. Quale la ragione di questo divorzio? L’errore risiede, per Calogero, nella distinzione fra libertà assoluta e libertà particolari,

declinate al plurale.343 Come si insinua il problema della giustizia fra

tali due concetti di libertà? Il problema risiede nel fatto che l’idealismo ha diffidato, a qualunque costo, di cercare una soluzione per la determinazione di una costruzione teorica che fondasse adeguatamente la legge morale e, quando tale tentativo è stato esperito, il risultato si è caratterizzato per aver disegnato la legge morale stessa in stretta connessione con la dimensione la sfera della libertà che altro

343 A. Pinazzi, Attualismo e problema giuridico, op. cit., p. 212.; si veda altresì G. Sasso, Calogero e Croce, La libertà, le libertà, la giustizia, in Filosofia e

idealismo. III. De Ruggiero, Calogero, Scaravelli, Bibliopolis, Napoli 1997, pp.

non è, per utilizzare le parole di Calogero, l’universale potere umano

di porre e togliere ogni determinazione e con ciò rispettare o svalutare ogni norma. L’incognita, insomma, risiede nella svalutazione

idealistica del “principio di alterità”. Una volta recuperata la dimensione della pluralità di individui e fatto coincidere il principio etico con quello dell’altruismo, la giustizia finisce per identificarsi con il riconoscimento dell’altrui libertà e quindi come auto-limitazione della propria. La distanza da Gentile, prima della stesura di Genesi e

struttura della società, e da Maggiore, è patente. La dimensione

dell’alter assume qui un ruolo veramente cruciale, diviene la

condizione stessa dell’azione morale. 344

Ovviamente la distanza da Gentile non deve far pensare ad una netta cesura. Anzi, la derivazione dall’idealismo attuale è da più parti espressamente dichiarata dallo stesso Calogero. Da considerare, altresì, il fatto che Calogero entrerà in contatto col pensatore di Castelvetrano molto più tardi rispetto ad altri autori - come Maggiore, Spirito o Volpicelli. Egli farà la conoscenza di Gentile quando avrà già strutturato in via essenzialmente definitiva il suo sistema filosofico e consumato, inoltre, la sua esperienza politica.

Il legame più intenso e fruttifero si rivelò quello nei confronti di Ugo Spirito, ritenuto da Calogero maggiormente aperto alla discussione e permeato da un più chiaro liberalismo. Calogero ricorda infatti come le discussioni in materia di libertà e politica nonché quelle su temi gnoselogici e ontologici si dimostrassero molto più convincenti rispetto alle riflessioni teoriche col filosofo trapanese.345

344 A. Pinazzi, Attualismo e problema giuridico, op. cit.

345 L’affinità non si fermerà qui. Calogero arriverà a rivendicare una vera e propria affinità intellettuale tra il libro La vita come ricerca e il volume La scuola dell’uomo. Così come altri temi di connessione potremmo rintracciarli all’interno della figura del giudice come educatore.Cfr. U. Spirito, La vita come ricerca, Sansoni, Firenze 1948; G. Calogero, La scuola dell’uomo, Diabasis, Reggio Emilia, 2003.

Anzi, nonostante la derivazione attualistica sia esplicitamente dichiarata, Calogero dimostra una comunanza sicuramente maggiore nei confronti di Croce. Malgrado il tentativo di Calogero stesso di “codificare” questa vicinanza, essa verrà rigettata dal filosofo napoletano mediante la dichiarazione di esplicite riserve e considerazioni critiche. Bolognini ha, non a caso, giustamente sottolineato come, nonostante le divergenze fra Calogero e il pensatore siciliano siano importanti, la derivazione della teoria filosofica di quello dall’attualismo risulta ad ogni modo evidente nella univoca concezione antilogicista delle loro filosofie.346

L’opera più importante di Calogero, dov’egli condensa le riflessioni più originali ed acute del suoi intero itinerario filosofico è il testo La

logica del giudice e il suo controllo in Cassazione347 che vede la luce

nel 1937. Il libro è strutturato in due parti: la prima, di stampo maggiormente filosofico, prende ad oggetto i temi della logica del processo e della competenza della Suprema Corte; la seconda, di carattere più tecnico, esamina le principali questioni procedurali interne al giudizio di cassazione. La prima parte è a sua volta distinta in due sezioni: la prima concernente la critica del giudizio cassazionale come sillogistico e puramente formale; la seconda il problema del giudicare giurisprudenziale nel senso di giudizio storico.

Già nelle prime riflessioni Calogero tematizza una questione che si rivelerà cruciale all’interno dello sviluppo della trattazione. La massima giuridica della Cassazione assume un senso laddove viene posta in stretta connessione non soltanto col contenuto del giudizio ma anche con il fatto concreto che viene ad essere giudicato: non si può dare interpretazione della norma che esuli dal caso concreto. La ripresa

346 S. Bolognini, Alle radici della teoria dell’argomentazione giuridica. Il pensiero

di Guido Calogero in rapporto alle odierne epistemologie e metodologie del diritto, I.S.U. Università Cattolica, Milano 1987.

347 G. Calogero, La logica del giudice e il suo controllo in Cassazione, CEDAM, Padova 1964.

delle concezioni idealistiche è evidente. La conseguenza è che la decisione della cassazione non può limitarsi al verdetto sul vizio

logico. L’errore fondamentale della dottrina sul giudizio cassazionale è

quello di interpretare il sillogismo giudiziale in termini di pura logica aristotelica.

L’irruzione del contenuto all’interno del giudizio logico riesce a scardinarne le basi fondanti. Nell’effettivo, secondo Calogero, ci troviamo nella situazione paradossale per cui il provvedimento giurisdizionale che dovrebbe essere in grado di dimostrare l’illogicità di un’altra sentenza si rivela, esso stesso, contraddittorio. La via, secondo l’autore, per risolvere il problema deve rintracciarsi nella logica puramente formale del controllo della sentenza. Interessante notare come su questo tema Calogero prenda nettamente le distanze dal procedere filosofico tipicamente gentiliano, mettendo subito in chiaro come, secondo lui, il problema deve essere risolto prescindendo da configurazioni astratte e pre-costituite di filosofia della logica, rimanendo all’interno del campo giuridico e affrontando il tema per le peculiarità teoriche che presenta rispetto all’interesse dei giuristi. Egli, pertanto, compie una chiara dichiarazione d’intenti dal punto di vista metodologico: il diritto va compreso attraverso il diritto; l’idea che un approccio speculativo, dal punto di vista filosofico, possa rivelarsi fruttuoso, all’interno delle problematiche della dogmatica giuridica e della giurisprudenza, deve essere subito ridimensionato. Non è necessario cercare di imbastire la struttura di una discussione giuridica, anche ad alta impostazione teorica, con astratte prefigurazioni filosofiche giacché si rivelerebbero inadeguate rispetto alla specificità dell’oggetto che, in quanto tale, deve essere rispettato.

La filosofia gentiliana viene recuperata nel momento in cui Calogero si trova ad affrontare, invece, il secondo tema. Con le parole di Calogero: «ogni logica […] in quanto considerazione di un pensiero perciò

delimitato nelle sue funzioni e nei suoi limiti, è sempre superata dallo stesso pensiero considerante, che per determinare quei limiti deve poter guardare oltre: ed è quindi per ciò medesimo infirmata nella sua universalità, ossia privata di filosofica assolutezza».348 Il riferimento a

Gentile è evidente, così come è chiaro il rinvio alla distinzione fra volere e voluto, tra atto e fatto, tra pensiero pensante e pensiero pensato.

Cosa deve essere espunto, quindi, dal giudizio giuridico? Non la logica in generale, ma la logica aristotelica, la logica che toglie ogni rilevanza al contenuto per preoccuparsi esclusivamente del rigore formale. Si deve ritenere che esista una logica del diritto, ben lontana dalla tradizionale logica formale, la quale risulta essere strettamente correlata col procedere stesso del giudizio. Si tratta di studiare la coerenza del giudizio, cercando di capire se, nella sua dinamica di sviluppo, sia o meno riconducibile alla logica formale; se il processo mentale della giurisdizione possa essere ricondotto nel binario del sillogismo.

L’operazione propriamente logica, sottolinea Calogero, risiede nella stabilità delle premesse, ciò che il procedere sillogistico non può riuscire mai veramente a conseguire. Ora, tali premesse possono derivare dalle conclusioni di un sillogismo antecedente, ma tale processo può essere ripetuto all’infinito, tal ché risulta impossibile stabilire un vero punto conclusivo. Il sillogismo non riesce a trovare stabilità in un solido punto di partenza. La logica sillogistica, nella sua pura formalità, non è altro che un procedimento e l’opinione di Calogero, in questo senso è fortemente critica: «chi non saprebbe fare quello che il giudice dovrebbe fare? Non solo il più candido dei professori di logica scolastica quale continuava ad insegnarsi anche in Italia prima della riforma Gentile, ma addirittura l’ultimo dei mortali, e

magari una scimmia o un cane con cui si riuscisse ad intendersi».349 Il

ruolo del giudice subisce un ribaltamento fondamentale: compito del giudice non è quello di derivare delle conclusioni da delle premesse, ma risiede proprio nel formulare queste stesse premesse. È necessario superare una logica puramente deduttiva a favore di una logica

determinativa, positiva. Ciò che avviene è un ribaltamento del

procedimento deduttivo nel senso che il procedimento del giudice rimane di carattere sillogistico, tuttavia, anziché attuare una deduzione da premesse già esistenti, il giudice deve impegnarsi nella

formulazione di queste stesse premesse ed applicare un giudizio

sussuntivo per certi versi già delineato. Egli non potrà, quindi, esimersi dal giudizio di fatto oltre che da quello di diritto. Il giudizio si rivela, in questo modo, unico. È doveroso, tuttavia, distinguere il giudizio di fatto da quello di diritto per capire come il facto si sussume nel jure. Tra fatto e diritto si dà quella distinzione per cui il fatto è sempre particolare mentre il diritto è universale. L’errore che viene solitamente commesso risiede nell’elevare, mediante un processo di astrazione che prenda in considerazione il caso tipico, una questione di fatto ad una sfera di universalità che non le appartiene. In questo modo si solleva al grado di universale ciò che per sua natura è particolare. Calogero cerca, così, di prendere le distanze da eventuali esiti astratti che la sua posizione potrebbe far scaturire: ma è possibile considerare il procedere logico della Cassazione da un punto di vista esclusivamente formale? Ora, per rispondere a questa domanda è necessario considerare, in primo luogo, l’irrompere del fatto nel giudizio cassazionale e l’assenza di una logica formale, cioè a dire aristotelica, nel procedere del giudizio di cassazione. Calogero, da questo punto di vista, risulta netto e reciso: non è possibile un puro controllo logico da

parte della Cassazione.

Considerato ciò, come affrontare la dinamica dei rapporti fra giudizio di diritto e giudizio di fatto? Il fatto sarebbe il reale, il diritto l’ideale. Il fatto la sfera dell’essere, il diritto la sfera del possibile. Il fatto come ciò che è e il diritto come ciò che dovrebbe essere. Tale distinzione sembra condurci, in modo diretto, verso la distinzione fra jus conditum e jus condendum. È qui che la lezione gentiliana sembra farsi evidente: la distinzione e la netta scissione fra queste due sfere è in realtà soltanto apparente: conditum e condendum non hanno affatto nature diverse, tant’è vero, nota Calogero, che il diritto prima di divenire

conditum è esso stesso condendo; così come il condendum non sarebbe

mai percepito, realmente, come tale se su di esso non spingesse una volontà che mirerebbe alla sua realizzazione fattuale e concreta. Alla stregua dell’insegnamento gentiliano il diritto si configura, qui, come volontà voluta e fattasi legge. Un altro aspetto sostanziale che Calogero sottolinea è che il diritto non esiste per sé solo ma in quanto ora condendum e ora condito: è una critica ad ogni concezione che interpreti il diritto in modo statico, come entità sussistente di per sé. È questo il punto nodale che ci aiuta a capire quale concetto di norma giuridica presupponga Calogero nelle sue riflessioni. Egli configura il concetto di norma, implicitamente, in termini processuali: egli non concepisce la norma giuridica come alcunché di statico e determinato, ma come un perpetuo movimento di sviluppo che parte dalla fase di costruzione della legge alla sua filiazione definitiva mediante la

promulgazione. Tuttavia, egli non assume come rilevanti le sole

disposizioni risultanti dall’esito finale del processo ma ritiene, in un certo qual modo, che la giuridicità sia intrinseca nel processo di affermazione normativa con cui una disposizione prende avvio fin dall’atto della sua nascita. In questo senso, la distinzione fra iure

condito e iure condendum, valida per i giuristi dogmatici, ad un occhio

nella sua unitarietà – nella sua attuosità – contiene in sé entrambi i momenti così come la volontà contiene non scissi né separati, ma uniti nell’arco del medesimo processo, volere e voluto. Come vediamo, quindi, il senso di unitarietà che pervade la dimensione della giuridicità lascia suggerire una visione il più possibile non frammentaria della norma e caratterizzata da un monismo integrale che si innesti in tutte le fasi della sua esistenza prescrittiva: dalla nascita e alla sua produzione, dallo sviluppo alla sua esecuzione, fino alla (eventuale) definitiva abrogazione.

Dal punto di vista teorico il giudizio giuridico che compie il giudice, appare, a Calogero, analogo all’attività che deve svolgere lo storico.350

Qual è, secondo Calogero, l’elemento che accomuna il giudice allo storico? Innanzitutto entrambi non “universaleggiano” ma ricostruiscono fatti. Esattamente come lo storico, il giudice ha di fronte sé prove, documenti, testimonianze da utilizzare ai fini di un’adeguata ricostruzione del fatto. L’accertamento probatorio appare dunque molto simile alla rielaborazione storiografica. Tale elemento di comunanza pare tuttavia invalidato da due circostanze: da una parte, per i limiti

procedurali che il giudice è tenuto a rispettare nel suo operare;

dall’altra, per il motivo che il giudice è spesso portato a esaminare il fatto tralasciando alcuni dettagli e soffermandosi su altri, che possono risultare maggiormente utili per un’adeguata sussunzione all’interno della fattispecie legale; mentre lo storico, com’è chiaro, è tenuto ad una

ricostruzione totale. L’assemblaggio storico del giudice, potremmo

dire, sintetizzando, è funzionale ad esigenze processuali.

Quali sono i criteri di orientamento seguiti dai due operatori? Il giudice per la ricostruzione del fatto segue il codice, lo storico si attiene al

350 C. Nitsch, Il giudice e la legge. Consolidamento e crisi di un paradigma nella

criterio dell’umano interesse; però – e qui si innesta un elemento di similitudine – proprio come il giudice, lo storico si rapporta al fatto nella sua prima rappresentazione documentale da cui dovrà far scaturire la ricostruzione dello stesso. Abbiamo visto in Spirito l’archetipo del giudice come amico, confidente, consigliere; benché questa idea non sia rintracciabile in Calogero, ciò nondimeno, il modello di un giudice che nel vagliare si impegni in una valutazione globale in cui venga fatto rientrare tutto ciò che può assumere concreto interesse è certamente rintracciabile.

Un altro elemento, però, avvicina il giudizio de jure all’ambito della storiografia: come il giudizio storico (fattuale) è l’accertamento del fatto voluto da un soggetto “comune”, il giudizio giuridico è l’accertamento del fatto voluto dal legislatore. Tuttavia, a differenza del giudizio storico che ha ad oggetto una volontà diretta, il giudizio di

diritto ha ad oggetto una volontà indiretta e cioè una volontà che

desidera una determinata azione.

Su questo punto si innesta una critica importante sia nei confronti di Croce che di Gentile.

Al momento della questione di diritto il giudice si solleva, soverchiandolo, dal ruolo di storico. In questa fase dove il giudice interroga idealmente il legislatore “per porsi nella sua stessa situazione” il suo lavoro viene a sconfinare rispetto al mero operare storiografico. Il giudice, in questo modo, secondo Calogero, diviene a

sua volta legislatore. Non potendo quest’ultimo ipotizzare tutti i casi

tipici riconducibili alla fattispecie generale, è il giudice che assume il compito di riconduzione di questi all’interno della norma legale, assumendo a tutti gli effetti la veste di legislatore. Il giudice si fa, in un certo modo, esegeta dello spirito del legislatore, interpretando come verosimile una decisione non avvenuta e «si può quindi concludere che la più precisa maniera di distinguere quando il giudice risponde alla

questio facti e quando risponde alla questio juris è quella di vedere quando, nel processo di cognizione, egli fa soltanto storia, e quando fa, insieme, storia e più che storia».351 Ancora una volta, abbiamo elementi

di indubbio interesse per ricostruire la presupposta idea del “giuridico” che Calogero implicitamente propone: il modello di una norma giuridica che assume rilievo nella sua processualità e che, pertanto, grazie allo sviluppo emerneutico, determina una fluida determinazione dei soggetti che quella norma si trovano a produrre ed applicare: ruoli non definiti, ma sempre liquidi, ed intrinsecamente correlati ai tipici attributi strutturali della norma giuridica. Il fatto che la realtà giuridica abbia fra le sue qualità fondamentali proprio la dimensione della

dinamicità ci è confermato da una stessa definizione che Calogero

propone all’interno di un saggio pubblicato nel 1939 dalla Rivista

internazionale di filosofia del diritto, La libertà e il diritto,352 dove, tra

gli altri elementi, quali doverosità e dimensione di obbligatorietà, spicca proprio il momento processuale: l’esperienza giuridica è, secondo il filosofo, «un complesso di atti di intervento nella libertà altrui, costituito tanto dall’enunciazione di un dovere, che a tale libertà incombe, di limitarsi in un certo modo, quanto dall’avvertimento di ciò che contro di essa dovrà o potrà esser compiuto se essa non obbedirà a tale obbligo di limitazione, quanto, infine, dall’eventuale messa in atto di queste ultime minacce d’intervento»353.

Sempre sul fronte di una rielaborazione delle caratteristiche concettuali che l’autore qui trattato propone con riguardo al tema della regola giuridica, riflessioni interessanti – che, in questo caso, toccano la problematica della coercizione – Calogero compie all’interno delle

Lezioni di filosofia, nel volume dedicato alla filosofia pratica,

denominato Etica, giuridica, politica, pubblicato nel 1946.354 Il saggio

351 G. Calogero, La logica del giudice e il suo controllo, op. cit. 352 G. Calogero, La libertà e il diritto, Fratelli Bocca, Milano 1939. 353 Ibidem, p. 15.

che assume per noi maggiore interesse è Persuasione e coercizione355

dove l’autore si impegna – con lo scopo di mettere in luce i presupposti che fondano la genesi della giuridicità – in un tentativo di chiarificazione e differenziazione speculativa dei due termini citati, al fine di sottolineare come la distinzione fra dimensione persuasiva e coercitiva non possa essere semplicisticamente ridotta a quella fra intervento verbale ed intervento fisico, fra agire attraverso la parola e agire con la forza degli arti per costringere il corpo. Chi non sa – fa notare Calogero - «che una battuta sulla spalla di chi ascolta, una pressione esercitata dalla mano sulla sua mano, può essere di gran lunga meno “coercitiva” e più “persuasiva” dell’influenza esercitata