• Non ci sono risultati.

Un’alternativa alle due scuole: Ugo Spirito

Capitolo II: Il pensiero giuridico gentiliano nel suo sviluppo: da “

3. Un’alternativa alle due scuole: Ugo Spirito

L’eredità delle riflessioni di Giovanni Gentile sono state accolte in modo piuttosto diseguale all’interno della tradizione filosofica attualistica: alcuni autori, tuttavia, emergono come dominanti. Ugo Spirito ha dedicato al problema del diritto penale buona parte dei suoi impegni di studioso230. Più nello specifico l’interesse di Spirito per la

materia giuridica si concentra nell’arco di tempo che va dal 1923 al 1932 benché l’interesse per questo genere di indagini permei tutta la produzione letteraria del pensatore.231 Dobbiamo subito rilevare che il

rapporto di Spirito con la tradizione del positivismo si situa in modo sicuramente diverso rispetto alla posizione di Gentile.232 Egli pur

dichiarandosi, dal punto di vista filosofico, attualista, sul piano dell’indagine giuridica si caratterizza per il non rigettare ma anzi considerare cariche di validità le tesi del positivismo. È possibile rendere queste opposte tendenze coerenti e coesistenti fra loro?

230 T. Mazzone, «Ugo Spirito: un maestro per la storia del diritto penale italiano», in: A. Russo, P. Gregoretti (a cura di), "Ugo Spirito. Filosofo, giurista, economista e la recezione dell'attualismo a Trieste". Atti Convegno (Trieste, 27- 29 novembre 1995), EUT Edizioni Università di Trieste, Trieste, 2000, pp. 199- 208; G. Vassalli, «Il modello penale di Ugo Spirito», in: A. Russo, P. Gregoretti (a cura di), "Ugo Spirito. Filosofo, giurista, economista e la recezione dell'attualismo a Trieste". Atti Convegno (Trieste, 27-29 novembre 1995), EUT Edizioni Università di Trieste, Trieste, 2000, pp. 392-412; A. A. Calvi, «Ugo

Spirito e la riforma penale italiana», in: A. Russo - P. Gregoretti(a cura di), "Ugo

Spirito. Filosofo, giurista, economista e la recezione dell'attualismo a Trieste". Atti Convegno (Trieste, 27-29 novembre 1995), EUT Edizioni Università di Trieste, Trieste, 2000, pp. 64-65; Ibid., Ugo spirito criminalista (riflessioni sulla

terza edizioni de la “Storia del diritto penale italiano” in “Quaderni fiorentini

per la storia del pensiero giuridico moderno”, 1974-1975, p. 801 ss.; G. Marini, La “Storia del diritto penale italiano” di Ugo Spirito, in “Filosofia”, 1975, p. 71 ss.; A. Guzzo, A. Marchetti, Il diritto penale nel pensiero di Ugo Spirito, in “Rivista internazionale di filosofia del diritto”, 1965, p. 518 ss.; Il nuovo diritto e

la nuova economia in Ugo Spirito, ibid., 1966, p. 851 ss.; M. A. Cattaneo, La filosofia del diritto penale di Ugo Spirito, in Il pensiero di Ugo Spirito, Atti del

convegno internazionale su Il pensiero di Ugo Spirito, Roma 1987, Ist. della Enciclopedia italiana, Roma 1990, vol. I.

231 A. Russo, U. Spirito: dal positivismo all’antiscienza, Guerini, Milano 1999, p. 56.

Filosoficamente, secondo Spirito, non è possibile ridurre il positivismo a pura negatività dialettica dell’idealismo, a mero movimento di

reazione, che vorrebbe dire svalutare l’idealismo stesso: se a ciò si

aggiungono le dichiarazioni, contenute nelle Memorie di un

incosciente233 per cui il positivismo è «affermazione di concretezza e di

storicismo» allora la considerazione della scuola positiva come mero fenomeno di risposta ad opposte tendenze risulta chiaramente insoddisfacente. Nei fatti, secondo l’autore, il positivismo è stato il vero motore del secolo rivoluzionario, andando ben oltre la sua stessa definizione storica. Gli stessi movimenti anti-positivisti, nonostante le indubbie verità che andavano obiettando, non erano riusciti a far crollare la fede nei postulati della scuola positiva. È soltanto con l’avvento del movimento idealistico, nella sua piena compiutezza, che i presupposti teorici del positivismo iniziarono a vacillare e mostrare le crepe più evidenti: cionondimeno la fede in alcune insopprimibili esigenze sono state mantenute e, per certi versi, rinate con altre finalità.234 D’altro canto è importante notare che le stesse posizioni

attualistiche verranno, con gli anni, sempre più mitigate fino ad essere definitivamente superate.235 Il rapporto fra idealismo (o attualismo) e

positivismo è quindi in Spirito costantemente in bilico. La stessa missione concettuale di applicare alle scienze sociali, quali economia e politica, i postulati della ricerca filosofica, rintracciandone i più adeguati proprio all’interno delle basi teoriche dell’attualismo, rivela una continua attenzione ai fatti, alla dimensione empirica, che Spirito non abbandonerà mai. La sua è una filosofia che pervade le questioni specifiche da lui direttamente trattate e che la si ricava dagli stessi intagli delle sue indagini settoriali. Spirito è quindi combattuto tra la necessità di dare alle proprie ricerche più solide basi filosofiche e

233 U. Spirito, Memorie di un incosciente, Rusconi, Milano 1977, p. 14. 234 U. Spirito, Memorie di un incosciente, op. cit., p. 14.

235 Per una ricostruzione del pensiero filosofico di Spirito nell’arco del suo sviluppo si veda M. Mustè, La filosofia dell’idealismo italiano, Carocci, Roma 2008.

l’esigenza di non abbandonare quegli elementi di novità che la tradizione filosofica era riuscita a trasmettere alle epoche future. Gentile è per Spirito il suo vero “padre filosofico”. Le stesse divergenze teoriche che inizieranno a manifestarsi a partire dalla pubblicazione dei Nuovi studi di diritto, economia, politica, nel 1929, per poi rendersi palesi con la pubblicazione de La vita come ricerca nel 1939236, non scalfiranno mai, in modo totale, il legame umano che

unirà i due pensatori per il resto delle loro esistenze.237 Insomma,

Spirito nell’attualismo cercherà i fondamenti teorici per l’unione fra scienza e filosofia, postulati che non riuscirà a rintracciare e che lo costringeranno perciò ad allontanarsene per cercare ulteriori orizzonti di ricerca.

Proprio l’intima relazione fra scienza e filosofia ha posto in letteratura importanti domande sulla definizione che l’approccio metodologico di Spirito potrebbe richiamare238: chi ha parlato di moralismo giuridico,

chi di deontologia politica o puro empirismo, chi, ancora, di vera e propria filosofia del diritto. La tecnica di indagine del Nostro autore rivela infatti un’indubbia peculiarità. Egli riesce a trattare figure emblematiche del diritto penale in concreto ma con modalità tipicamente filosofiche. Vivono, le sue ricerche, in una costante

236 «Il passaggio dall’attualismo ortodosso alle prime riserve critiche si venne affermando quasi insensibilmente e da principio senza vera consapevolezza. La prima esplicita differenziazione risale alla fondazione della rivista Nuovi studi di

diritto, economia e politica (1927-28) in cui cominciò a profilarsi la tesi

dell’identificazione di scienza e filosofia. Dopo di allora il processo della revisione critica si andò accentuando di anno in anno, mettendo capo all’espressione massima del distacco che è segnata da La vita come ricerca»; Cfr. U. Spirito, Giovanni Gentile, Sansoni editore, Firenze 1969, p. 8.

237 U. Spirito, Giovanni Gentile, op. cit.

238 T. Mazzone, «Ugo Spirito: un maestro per la storia del diritto penale italiano»,

op. cit., p. 199. Di analogo avviso è G. Vassalli, «Il modello penale di Ugo Spirito», op. cit., laddove dichiara «Premessa basilare per tutta la concezione

penalistica dello Spirito è l’affermazione del diritto penale come filosofia, in particolare come filosofia del reato e della pena», p. 399. Di analogo orientamento è un altro esponente dell’attualismo italiano G. Maggiore, Principi

di diritto penale, Zanichelli, Bologna 1951, la filosofia del diritto «aiuta la

giurisprudenza a vedere fino in fondo al diritto come coscienza della giustizia e del suo divenire», p. 48.

dialettica di analisi specifica dei fatti e inquadramento degli stessi in un orizzonte di senso più ampio, che continuamente lo trascendono. Spirito esercita una filosofia del diritto pienamente coerente ai presupposti teorici enunciati, che vedono la dicotomia fra teoria e prassi come puramente verbale e quindi, concretamente, irrilevante. Per questo motivo non può non darsi ricerca pratica che sia al contempo teorica e viceversa. Tale approccio, va detto, permarrà anche nel momento in cui il pensatore aretino si discosterà dalle istanze attualistiche e approderà alla concezione del problematicismo.239 Si può

a ragione dire, quindi, che Spirito affronta le problematiche del diritto penale all’interno di una generale consapevolezza della globalità della vita, analizzando in un’ottica filosofica le tipiche questioni ricorrenti nella scienza penalistica. È nell’ambito di queste osservazioni che l’autore affronta il conflitto storico fra scuola classica e scuola positiva.

Nelle indagini in materia di diritto penale Spirito ricerca, in modo più esplicito rispetto a Gentile, una vera e propria alternativa alla visione dualistica che opponeva fin dalla seconda metà dell’Ottocento scuola giuridica e scuola sociologica. A detta dell’autore è necessario ricostruire su più solide fondamenta la scienza del diritto penale attraverso aggiornate basi filosofiche e speculative. È indispensabile rintracciare gli elementi di una possibile “terza scuola” che identifichi quelle componenti fondamentali perdute nella diatriba fra classicisti e positivisti, gli uni e gli altri oppositori senza argomentazioni adeguate. Spirito sottolinea come i fautori della scuola positiva abbiano ripetuto fino alla nausea che i classicisti fossero soliti guardare al fatto senza osservare il soggetto che delinque; mentre i classicisti hanno anch’essi ribadito in modo estenuante, strane teorie sul concetto di diritto e di ente giuridico o hanno “bizantineggiato” sui rapporti fra diritto e

sociologia o, ancora, hanno inneggiato “inni retorici” in onore del libero arbitrio. Insomma, si sono dimostrate, entrambe, ripetitive e inconcludenti dal punto di vista argomentativo.

Dove risiede il contrasto tra le due scuole? La scuola classica vive di una razionalità fuori e al di sopra del tempo. Il delitto si configura come semplice infrazione di una norma, consentendo una facile distinzione fra lecito ed illecito ma ignorando sia i motivi profondi che lo hanno originato sia le ragioni sociali e culturali che lo hanno

determinato. È un procedere all’insegna della pura esteriorità. Il

delinquente è semplicemente colui che, violando la norma, si pone al di fuori del consorzio sociale.

La scuola positiva, invece, guarda al “giuridico” in una dimensione di “attualità concreta”, cercando di studiare il delitto nella sua connessione con ragioni fisiche, psichiche, culturali e sociali del delinquente. Studia la personalità del reo fino a rintracciarne l’intera criminogenesi in una dialettica costante con i fattori ambientali. Se la scuola classica studia il delitto, la scuola positiva studia il delinquente. È qui che si rintraccia la predilezione, da parte di Spirito, per la scuola positiva. Lo studio del delitto nella concretezza storica, l’analisi del delitto in stretta connessione con la sfera dell’autore restituisce uno disegno più concreto, storicamente collocato. Non esiste mai il delitto di per sé, esiste il delitto commesso da qualcuno; la dimensione soggettiva fondendosi con l’oggettività dell’atto chiarisce i veri termini del problema e Spirito non si perita a definire questo tentativo una schietta «esigenza attualistica».240 Manca, tuttavia, alla scuola positiva

la comprensione spiritualistica del fenomeno: quest’ultimo rimane appiattito in quadro del tutto naturalistico. L’istanza attualistica fatta propria dal positivismo viene quindi immediatamente negata. Il delinquente viene, anche qui, ridotto a mero fatto, limitato, ancora, ad

elemento naturale. Ci si perde nell’interpretazione delle azioni empiriche lasciandosi sfuggire il momento spirituale e la conseguenza è l’eliminazione di ogni dimensione morale nel delitto così come nel delinquente. In tal guisa il criminale non è più il malfattore ma il disgraziato che deve essere curato provocando una totale sottrazione del valore morale al delitto. Il reo stesso si convince della sua anormalità perdendo – o mai raggiungendo - la consapevolezza della responsabilità del crimine.

Entrambe le scuole sono affette, quindi, da un inevitabile naturalismo. Dobbiamo riportare l’analisi del delitto e della normazione penale alla sua attualità storica, ricercando l’origine etica del diritto: qui abbiamo una assoluta assonanza con le parole di Gentile. Spirito ne effettua quasi un calco: «Per precisare il concetto di diritto occorre

considerare la dialettica propria di ogni processo spirituale nella duplicità dei suoi momenti di fatto e di fare, di astratto e concreto, di voluto e di volere»: sembra di leggere il Gentile de I Fondamenti. In

questa sede, tuttavia, il discorso di Spirito si distacca da quello del filosofo siciliano. In cerca dell’unità ma meno ossessionato dall’estenuante conquista dall’uno, del monismo radicale, Spirito evidenzia il dualismo tra diritto e morale: «il diritto rappresenta il momento astratto del processo etico concreto, e nel processo si risolve assumendo a sua volta concretezza. Concretezza che però non determina alcun annullamento come diritto, ma consiste proprio nel

vivere come diritto, vale a dire nell’essenza stessa del momento astratto che rappresenta. Il diritto possiede vita concreta nella sua

conformazione astratta.»241 L’autore vuol conferire al momento

giuridico un ruolo che ne valorizzi l’intrinseca astrattezza, collocandolo in una posizione intermedia e concedendogli la possibilità di una vita dove la stessa condizione di astrattezza

rappresenti la funzione e il fine ideale della sua posizione nel reale. La caratteristica primaria del diritto – la sua dimensione astratta – ne ritrae la destinazione, la mansione essenziale all’interno della dialettica spirituale e, pertanto, la sua necessità.

Chiarito ciò, Spirito ritorna, accogliendole solo in parte, alle tesi della scuola classica sostenendo l’immanenza della pena rispetto al concetto di diritto: la pena, in quanto etica, assume un ruolo pedagogico, distanziandosi nettamente dal ruolo curativo attribuitogli dalla scuola positiva. Il ruolo della pena non potrà che essere quello di promuovere la coscienza morale del reo. Dice Spirito: «punire significa instaurare

nella coscienza del reo un livello spirituale superiore, renderlo consapevole del suo errore, fargli riconoscere la superiorità del diritto da lui violato».242 Si ricordi che l’intento del filosofo non è solo teorico

ma anche pratico: si va in quegli anni avviando la discussione per la nascita del nuovo codice penale. Lo scopo rieducativo che viene attribuito alla pena appare come la cifra stilistica dei contributi teorici dell’autore. In forza della sua concezione squisitamente “etica” per Spirito la funzione della pena non può che sboccare in uno scopo educativo. Pur in una considerazione generale di carattere positivo, circa i contributi relativi ai rapporti fra pena e reato, nelle ricerche della scuola giuridica è necessario espungere ogni sopravanzo di astrattismo morale proprio della scuola stessa: non vi è nessun piano di trascendenza ma soltanto l’intimo legame fra giudice e giudicato così come estrema compenetrazione fra società, delinquente, giudice: una società che nel momento in cui giudica, quindi condanna, si auto- giudica, si auto-condanna, in una chiave di responsabilità universale.243

Al di là di queste prospettive di stampo spiccatamente idealistico, è chiaro che l’impostazione di Spirito vuole affidare alla sanzione penale

242 Ibidem, p. 31.

una tipica funzione di emenda244: il delinquente non è considerato fuori

della società, ma figlio, pur negativo epperò legittimo della stessa. La negatività del delinquente non deve essere sanata mediante opere di intimidazione a livello individuale o sociale ma mediante un’opera volta a elevare il delinquente al fine di riportarlo all’interno degli intarsi della struttura sociale. L’eliminazione del delinquente, nella prospettiva idealistica, altro non sarebbe che una sconfitta della società stessa.245 La difesa sociale assumerebbe contorni puramente effimeri se

non si considerasse la dimensione di carattere spirituale. L’attribuzione di uno scopo pedagogico alla sanzione penale fa sorgere la domanda del perché Spirito non considerasse adeguato il riferimento similare che compieva il codice Rocco con il concetto di “rieducazione”. Probabilmente la ragione fondamentale risiede in una questione terminologica. Il riferimento alla dimensione di rieducazione sembrava alludere, agli occhi del pensatore, ad una netta scissione fra individuo e società che per Spirito risultava inaccettabile: una sorta di cesura fra una società “buona” e un soggetto “malvagio” staccatosi dalla retta via a cui deve estrinsecamente essere ricondotto. L’esatto opposto dell’idea spiritiana per cui la società si pone sullo stesso livello del condannato, attraverso un processo di totale immedesimazione, una «società colpevole al pari del condannato, che punendo il delinquente punisce ed educa sé medesima».246 Ad ogni modo, al di là della

questione terminologica, il concetto che Spirito cercava di trasmettere si concentrava sulla intima immanenza fra le diverse componenti della società senza possibilità di un’arbitraria frattura che se empiricamente

244 Ibidem, p. 400.

245 «Si potrà pur credere di porre fuori della società il delinquente rinchiudendolo in un carcere o relegandolo in una colonia, ma la società dovrà sentirlo sempre come un suo elemento negativo di cui non si è veramente liberata e da cui cioè non si è veramente difesa», cfr. U. Spirito, Storia del diritto penale italiano, p. 113.

poteva risultare tangibile, ma da un punto di vista trascendentale costituiva un’anomalia.

La concezione della pena che emerge dalle pagine di Spirito è un nitido frutto dell’impostazione attualistica. L’impossibilità di scindere, se non in modo puramente empirico e quindi effimero, colui che commette il crimine e colui che lo giudica, così come l’assurdità di distinguere fra uno Stato che comanda e un cittadino che obbedisce porta Spirito a porre l’accento su un aspetto, quello etico-pedagogico della pena, che tutt’oggi mostra il suo ambito di interesse per le riflessioni penalistiche contemporanee. Certo, si potrebbe obiettare che Spirito guarda alla pena in un’ottica puramente unilaterale; osserva il problema della pena sotto un’unica lente, tralasciando quell’impostazione che, nel gergo penalistico, è invalsa come plurifunzionalità della pena,247 dove il

binomio prevenzione speciale-prevenzione generale fa da padrone. Ma è doveroso altresì notare che all’interno della funzione di prevenzione speciale si fa sovente rientrare la funzione tipicamente rieducativa e di emenda e che il compito generalpreventivo viene spesso ricondotto più che ad una funzione intimidativa ad una mansione di orientamento

positivo delle coscienze. È chiaro che ciascun autore darà peso

maggiore o minore all’uno piuttosto che all’altro scopo specifico come, allo stesso modo, un peso esattamente identico, ma rimane sempre una prospettiva ideologica dove l’una posizione non potrà mai prevalere sull’altra. Spirito, più semplicemente, non sembra inconsapevole delle possibili ulteriori funzioni che la sanzione penale potrebbe essere chiamata a svolgere; tuttavia, le fondamentali esigenze filosofiche, nella loro potenza inglobante, gli impongono una lettura del momento successivo alla violazione dove la fase emendativa e di

247 Rintracciamo in letteratura una tendenza a identificare le diverse funzioni della pena a seconda della fase che si prende in considerazione nello sviluppo dell’iter

elevazione della coscienza si staglino sopra le altre e rivelino la necessità per il reo di un ricongiungimento etico con lo Stato.

L’attenzione per la dimensione della sanzione penale porta Spirito a sferrare una corposa critica al sistema del c.d. “doppio binario”, prodotto teorico del nuovo Codice Rocco del 1930. Secondo il filosofo le misure di sicurezza devono essere assorbite all’interno della pena. Tale unione consente di generare un innalzamento del valore morale del sistema penale operando in una duplice direzione: innanzitutto, non si sottrae al delinquente il fondamentale diritto di essere punito e, oltre a ciò, il criminale verso cui si agisce attraverso le misure di sicurezza smette di credere di essere fatalmente destinato al male. È principalmente a favore del reo che si effettua una riduzione delle misure di sicurezza alle pene.

Ulteriori problematiche che il concetto pedagogico di pena porta con sé risiedono nel tema della pena prorogabile e in quello della pena di morte. Ora, la radicale esclusione di quest’ultima dal sistema delle pene risulta chiaro dai presupposti filosofici del Nostro autore: «Il principio del castigo, allora, si rivela nella sua effettiva opera di intimidazione rispetto al reo e insieme ai non rei, intimidazione portata agli estremi con il mantenimento della pena di morte, che ovviamente esclude ogni possibilità di guarigione e di recupero del delinquente»248.

L’esigenza di ricostruzione dell’unità viene, evidentemente, annientata all’origine laddove, come nella condanna a morte, l’individuo particolare venga distrutto nella sua empiricità, negando la necessaria dialettica fra universale e particolare.

Per quanto concerne l’altro tema accennato, la proposta di Spirito è quella di una pena prorogabile la quale cioè, pur essendo determinata al momento della pronuncia della sentenza, possa eventualmente essere aumentata in base all’effettivo livello di riabilitazione del condannato.

248 U. Spirito, La nuova legislazione penale sovietica, App. II alla 3a ed. della

Spirito riconosce tuttavia che tale modello potrebbe provocare alcuni