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Analisi diretta di porzioni campione

I MATERIALI DEI PARAMENTI MURARI ESTERNI DEL DUOMO

4. Analisi diretta di porzioni campione

Avendo acquisito numerose informazioni storiche e scientifiche sulla natura dei paramenti murari della Cattedrale di Pisa ci sembra doveroso da parte nostra, per non incappare in quella antica critica che Targioni Tozzetti muoveva ai “naturalisti da tavolino”, verificare tali nozioni sull’oggetto stesso del nostro studio. Riteniamo che il momento del confronto diretto con l’opera d’arte sia cruciale per l’avanzamento degli studi, in quanto metodologicamente permette di correggere numerosi errori commessi e lasciare che sia l’opera a raccontarsi. Certo questa verifica ha bisogno di un occhio attento e istruito, ma tantomeno non è esente da errori, per cui anche queste informazioni raccolte dall’interrogazione del monumento devono essere incrociate con quelle degli studi precedenti. Durante il nostro percorso, oltre ad aver riscontrato la carenza di ricerche e studi specifici sulla materialità del Duomo di Pisa, abbiamo rilevato anche la completa assenza di pubblicazioni di mappature dei litotipi concio per concio. È sembrata priorità individuare ed elencare quali fossero i litotipi impiegati ma non dove essi fossero collocati fisicamente. Forse gli ultimi studi, ancora inediti, sono tesi a colmare tale deficienza, ma nel fratempo possiamo personalmente accennare al completamento di questa lacuna con il nostro studio. In questo paragrafo presentiamo una selezione di immagini di parti del paramento murario del duomo, attentamente scelti per la loro particolarità, analizzati personalemente con attenzione al singolo elemento murario. L’obbiettivo è quello di proporre un elaborato grafico che evidenzi quali sono i litotipi, dove sono collocati e ipotizzare se determinate collocazioni hanno un particolare significato simbolico o eventualmente collegarli agli studi precenenti437.

Le porzioni dell’imponente monumento da noi selezionate sono sostanzialemente sette, tra gli snodi architettonici più significativi, scelti partendo dall’abside come antico nucleo di costruzione, per concludersi in facciata, in un ideale giro attorno alla cattedrale legato allo sviluppo cronologico del cantiere:

437 Pensiamo ai numerosi reimpieghi che si incontrano nell’analisi delle murature e tutti gli studi

136 1. Abside maggiore, terzo ordine, porzione del loggiato praticabile in

corrispondenza della III, IV, e V colonna a sud, (Tav. I);

2. Abside maggiore, secondo ordine, porzione del loggiato praticabile in corrispondenza della V, VI, e VII colonna a sud, (Tav. II);

3. Abside maggiore, secondo ordine, porzione del loggiato praticabile in corrispondenza della VIII, IX, X colonna a sud, (Tav. III);

4. Coro, prospetto est, primo ordine, III arcata da sud, (Tav. IV);

5. Transetto nord, prospetto ovest, primo ordine, III e IV arcata da sud, (Tav. V);

6. Corpo longitudinale, prospetto sud, primo ordine, V e VI arcata da ovest, (Tav. VI);

7. Facciata, primo ordine, I arcata da nord, (Tav. VII).

Le Tav. I, II, e III fanno parte del prospetto visibile da via Santa Maria, il più scenografico e il più antico, concluso probabilmente mentre il grande architetto Buscheto era ancora in vita438. Sono porzioni interessanti dal punto di vista materico proprio perché qui si concentrano i numerosi reimpieghi pregiati come le colonne di porfido rosso antico e quella di breccia africana439. La Tav. IV rientra nella porzione del coro più manomessa dopo l’incendio del 1595 perché presenta l’apertura delle finestre, così come la Tav. V, oltre che matericamente essere una parte costituita prevalentemente da un diverso litotipo quale il calcare selcifero, poco riscontrato nelle tavole precedenti e in altre zone del duomo. La Tav. VI rappresenta una porzione di paramento murario che testimonia uno snodo cruciale nelle vicende costruttive quale l’allungamento della navata ad ovest e l’apertura del nuovo cantiere rainaldiano440. È interessante la lettura stratigrafica di questi litotipi in quanto si evince fortemente la discontinuità muraria e i numerosi restauri succedutisi nei secoli. In conclusione la Tav. VII si sofferma su una

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BELLI BARSALI, I., s.v. Buscheto, in DBI, XV, 1972, pp. 497-499.

ASCANI, V., SCALIA, G., Buscheto, s.v., in “Enciclopedia dell’arte medievale”, IV, Roma 1993, pp. 18-20.

439 Per approfondimenti rimando al paragrafo sui reimpieghi presente in questo studio. 440 Vedi passim.

137 porzione di facciata rilevante per la presenza delle epigrafi di fondazione, del Vescovo Guido e di Buscheto441.

Per eseguire gli elaborati grafici abbiamo deciso di partire dalla produzione di immagini ad alta risoluzione per le quali è stato opportuno eliminare le aberrazioni prospettiche derivate dal punto di osservazione ad altezza d’uomo oltre che necessariamente ravvicinate per impedimenti logistici. Una volta regolata la prospettiva, abbiamo ottenuto così una valida base grafica sulla quale segnare in loco i litotipi constatati. La nostra indagine si è basata su un’analisi macroscopica, esclusivamente autoptica, dei litotipi: partendo dalle pubblicazioni di settore studiate, abbiamo cercato di rintracciare sul monumento i litotipi da essi precedentemente individuati, anche con il supporto di analisi scientifiche. In seguito abbiamo diglitalizzato le informazioni rilevate attraverso il sofrware Photoshop creando una legenda associando ad ogni litotipo un colore distintivo.

Nella nostra indagine, tuttavia, non è stato possibile mappare a tappeto tutto quello che abbiamo osservato nelle porzioni selezionate. Il dato più rilevante è che non abbiamo ritenuto proficuo mappare i capitelli incontrati sia perché spesso troppo distanti dalla nostra osservazione ma soprattutto, presentando una superficie lavorata e quindi soggetta ad elevato degrado, era impossibile definire la tipologia di lititipo o, perlomeno, saremmo andati incontro ad un elevato grado di incertezza. Anche per i capitelli recentemente restaurati abbiamo preferito evitare una mappatura in quanto tanti presentavano un esteso strato di ossalato di calcio giallastro, che non è stato rimosso dalla pulitura chimica il quale ci impediva di identificare il materiale di cui erano fatti. Si aggiunge che nei secoli i capitelli sono stati freuqntemente sostituiti causa forte degrado, rendendo così poco determinabile l’origine dell’approvigionamento del materiale e il secolo di realizzazione; elementi questi che abbiamo tenuto fortemente in considerazione e che ci hanno persuaso maggiormente a tralasciare, come impostazione metodologica, la loro analisi materica. Così come i capitelli, anche per altre parti non ci è stato possibile procedere alla mappatura; stiamo parlando di alcune cornici per le quali sono valide le stesse considerazioni fatte per i capitelli, oltre

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138 che di alcune superfici ricoperte di ossalato di calcio che crea una patina giallastra che non lascia intravedere con precisione la texture del materiale. Infine ci sono tutte quelle porzioni fortemente degradate, ricoperte di croste nere e soggette a disgregazione superficiale.

Procediamo ora all’analisi e descrizione dettagliata delle singole tavole.

Tavola I. In questo elaborato vediamo la III, IV, e V colonna del loggiato

praticabile del terzo ordine dell’abside maggiore. Le due cornici che delimitano la nostra porzione sono state identificate come marmo delle Alpi Apuane, recentemente restaurate, hanno una superficie chiara ed uniforme; tuttavia non escludiamo che si possa trattare di una sostituzione durante i vari restauri. Il soffitto presenta la caratteristica alternanza bicroma di marmo del Monte Pisano e calcare nero, dimostrazione dell’attenzione posta nel realizzare anche parti non immediatamente visibili. Il setto murario interno è realizzato quasi del tutto con Panchina, salvo sporadici inserti di calcare nero. Le due colonne laterali presentano un corpo di marmo del Monte Pisano ed un inserto in alto di marmo delle Alpi Apuane, soluzione fantasiosa per recuperare probabilmente delle colonne di dimensioni non adeguate forse provenienti da un altro sito o per riparare i danni post incendio del 1595442. La colonna centrale è di porfido rosso antico, palesemente di reimpiego sia per la provenienza del materiale, sia perché presenta un capitello di dimensioni diverse rispetto al diametro della colonna443. Anche il capitello è un elemento di reimpiego che abbiamo preferito non mappare per le ragioni sopra esposte, così come i due laterali che, oltre a presentare patine di ossalato, potrebbero anche essere sostituzioni moderne.

Tavola II. Anche in questo caso la cornice in alto, elemento di giunzione con la precendente sezione analizzata, e la cornice di decorazione del frontone degli archi sono di marmo delle Alpi Apuane pur valendo lo stesso ragionamento fatto in precedenza sulla probabilità che si tratti di sostituzioni recenti. Il prospetto frontale degli archi presenta la caratteristica alternanza bicroma tra marmo del

442 Si veda in questo lavoro il paragrafo sulla ricostruzione post incendio del 1595. 443

139 Monte Pisano e calcare nero. Tra l’imposta degli archi e le mensole sono inseriti gli abachi tutti e tre fatti di marmo del Monte Pisano, così come la mensola sinistra; la mensola destra è sicuramente un reimpiego di marmo delle Alpi Apuane presentanso una decorazione a fiori lobati insolita nelle altre mensole; la mensola sinistra è un reimpiego di marmo orientale del quale non è possibile sapere la precisa provenienza senza analisi specifiche444. Anche in questo caso abbiamo tralasciato la mappatura dei capitelli, così come del paramento murario di fondo in quanto è ricoperto da uno spesso strato protettivo di ossalato di calcio che rende difficile l’analisi macroscopica del materiale litologico, fatta salva una striscia palesemente più scura di calcare nero. Le due colonne tortili laterali sono di calcare nero, di cui la destra integrata in alto marmo del Monte Pisano a causa probabilmente dei danni provocati dall’incendio cinquecentesco445

. Del paramento murario basso abbiamo identificato con certezza la cornice fatta di marmo del Monte Pisano e due sottili fasce decorative di serpentinite, anche se fortemente integrate.

Tavola III. Essendo questa tavola una porzione dell’abside maggiore

immediatamente consecutiva alla precedente analizzata, gli elementi architettonici in continuità sono realizzati con gli stessi litotipi. Rileviamo in questo caso che le mensole sono tutte e tre di marmo del Monte Pisano, le colonne laterali sono fatte di granito misio, un marmo antico, mentre la colonna centrale è fatta di breccia africana. Un’importante elemento da rilevare è la presenza della finestra, da noi segnata come restauro, risalente alla ricostruzione post incendio del 1595, che ha modificato l’aspetto del prospetto esterno dell’abside maggiore446

.

Tavola IV. Con questa immagine ci spostiamo ora verso il coro, al primo

ordine dove troviamo come elemento predominante l’apertura di due nuove finestre, risalenti alle modifiche interne della sagrestia post incendio del XVI secolo. Finestra arquata, realizzata con marmi colorati, i cui conci dell’arco non

444 Vedi paragrafo sui reimpieghi. 445

Guarda paragrafo sul’incendio.

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Abbiamo approfondito la questione delle finestre nel paragrafo dedicato alla ricostruzione post incendio del 1595.

140 presentano il solito intradosso liscio ma segmentato, restituendo un arco poligonale. Tale elemento depone a favore di un rimaneggiamento frettoloso, sicuramente non coevo alla costruzione e perciò realizzato con materiali che possono variare anche tanto rispetto agli originali, pur essendo presenti negli archivi documenti di richiesta di materiale a determinate cave per finalizzare la ricostruzione seicentesca, ma che non ci garantiscono che il materiale pervenuto sia stato impiegato esattametne per questa zona. Resta quindi una necessaria incertezza nel collegamento tra le notizie delle fonti e il materiale del monumento. Per tale motivo abbiamo identificato la zona come restauro, così come la finestra in basso di larghezza identica alla precedente ma più corta. Collegata all’apertura delle finestre e soggetta a successive integrazioni e manomissinoni è la lunetta immediatamente soprastante la finestra seicentesca che presenta intarsi policromi tra il bianco, il verde e il rosso. Il suo aspetto, così omogeneo e compatto lascia pensare a recenti integrazioni che abbiano riprtato l’unità di lettura dell’intarsio. Purtroppo per noi non è possibile procedere ad una mappatura con la sola analisi macroscopica e quindi abbiamo identificato anche questa zona come restauro. Il cornicione dell’arco maggiore è realizzato in marmo delle Alpi Apuane, mentre l’arco interno e il paramento murario soprastante sono fatti di calcare nero come una fascia orizontale vicino alla finestra minore. Rilevante è la scritta “ITRA”, presente sul paramento murario in basso, che ci riferisce la natura di reimpiego di questo concio, la cui grana è simile ad altri tre contigui. È probabile che questi conci, dalla forma fortemente irregolare, abbiamo la stessa origine e addirittura provengano dalla stessa architettura ma, se per il primo, marchiato dall’epigrafe, è possibile una ricostruzione ed uno studio specifico, per gli altri che non presentano segni visibili non è possibile lo stesso trattamento e lo stesso grado di certezza che si tratti di reimpiego.

Tavola V. Analisi della porzione del transetto dove prevale l’impiego di

calcari neri, nello specifico probabilmente si tratta di calcare a’ palombini, raramente riscontrato altrove. Siamo in una zona del duomo poco visibile, trattandosi del transetto nord, a breve distanza dal Camposanto monumentale, quindi cessa il costante reimpiego di conci per lasciare spazio ad una costruzione molto più regolare sia per quanto riguarda le tipologie di litotipi impegati, che per

141 la forma stessa dei conci. Il calcare a’ palombini appena messo in opera è di un colore scuro ma che subisce un processo di alterazione superficiale per la quale perde gradazioni nel tempo ed acquista sfumature tra il giallastro ed il grigio. Per cui allo stato attuale risulta un paramento murario disomogeneo con conci tra il giallastro ed il grigio scuro ma che non doveva apparire tale ai contemporanei della messa in opera. Le lesene, una fascia orizontale del setto murario, la parte superiore della muratura interna all’arco sinistro, le cornici degli archi sono di marmo del Monte Pisano con intermezzi di conci più scuri di calcare nero. Non è stato possibile identificare i litotipi impeiegati per realizzare la losanga nell’arcata destra per il degrado dei materiali e la presenza di una patina superficiale scura che ne altera la cromia. Anche in questa porzione è presente una finestra aperta post incendio, ma a nostro parere probabilmente realizzata in una fase di rimanegiamenti successivi rispetto alla realizzazione della finestra evidenzata nella Tav. IV447.

Tavola VI. Siamo nella prozione di paramento esterno della navata

principale su cui è evidente il cambio di cantiere e maestranza dovuto al prolungamento della navata verso est448. Non c’è ancora unanimità tra gli studiosi riguardo la riapertura del cantiere per tale allungamento, quiandi non è possibile definire con certezza quanto tempo intercorre tra la messa in opera dell’arco destro e quello sinistro449. È evidente tuttavia la discontinuità materica e metodologica tra i due cantieri. Nella nostra analisi è necessario immediatamente identificare e quindi escludere i restauri per delinerare al meglio le porzioni originarie. Secondo la nostra osservazione i due quinti della parte superiore di entrambe le arcate sono ricostruiti con restauri integrativi dei quali non ci è

447

Per chiarire questa ipotesi sarebbe necessario rivedere i dati presenti in archivio che Casini ha scrupolosamente analizzato ma non con uno sguardo selettivo nei confronti delle aperture delle finestre. Rimandiamo questo approfondimento ad un’asupicabile studio futuro.

448

Vedi passim.

449 Secondo noi è verosimile la tesi di Ascani che data la riapertura del cantiere post Concilio del

1135. ASCANI V., La cattedrale come prodotto culturale: il Duomo di Pisa, in “La pietra e le pietre la fondazione di una cattedrale: conferenze in occasione del 950° anniversario della fondazione della Cattedrale di Pisa”, Opera Della Primaziale Pisana, Pisa, Pacini, 2015, pp.47-88.

142 possibile identificare il periodo perché le fonti sono vaghe450. I conci di questa porzione sono estremamente regolari sia nell’altezza che nella lunghezza e riportano una perfetta bicrnomia continua nelle due arcate, inoltre la superficie è molto meno deteriorata rispetto ad altre parti certamente originali, pur presentando patine di ossalato di calcio presenti maggiormente nell’arco destro. Anche gli intarsi sopra la finestra a sinistra e la losanga a destra riconfermano il restauro integrativo, presentando tasselli quasi perfettamente integri rispetto a parti simili in altre zone del duomo. Identificati i restauri, osserviamo che, partendo dal basso, si rileva una fascia continua di materiale molto scuro, che percorre in realtà tutto il giro della navata, che non ci è stato possibile identificare con precisione, e per questo abbiamo preferito non indicarlo nella tavola, ma ipotizziamo essere calcare nero messo in opera quando sono state rimosse le gradole e quindi non ancora alterate a grigio chiaro451. Sull’arcata destra i conci sono piccoli e regolari, in una successione stratigrafica riscontrabile nell’intera porzione esterna della navata, ma non sappiamo se quasta soluzione di continuità corrisponda a successive fasi di sviluppo di cantiere 452 . I materiali qui impiegati sono dei calcari neri, probabilmente fasce di selcifero e calcari a’ palombini. L’arcata sinistra, invece presenta una regolare alternanza di calcare nero e di marmo del Monte Pisano che rimarca la peculiare dicromia. Tuttavia le fasce di calcare nero non hanno un’altezza regolare come quelle superiori attribuite a restauri e inoltre presentano una distanza tra le fasce molto più ampia, anch’essa irregolare. Da ciò ne deduciamo che alla data di riapertura del cantiere si preferì rinunciare al reimpiego, cavando appositamente le pietre necessarie, decidendo di rimarcare l’ideale policromia buschetiana che, forse a ben vedere, non era mai stata presente su ogni superficie con regolarità. In questa tavola abbiamo preferito non mappare le lesene perché composte da conci probabilmente reimpiegati, di difficile identificazione, oltre che fortemente deteriorati.

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A tal proposito facciamo riferimento alla tesi di CASINI, C., I reatauri del Duomo di Pisa dal

1595 al 1981: tesi di laurea in Storia dell'architettura, relatore Giacinto Nudi, correlatore

Francesco Gurrieri, Università di Pisa, a.a. 1983-84.

451 Vedi ipassim.

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Tavola VII. Concludiamo il nostro ideale giro intorno al duomo analizando

la prima arcata nord della facciata, quella contenente le epigrafi celebrative di Buscheto, il Vescovo Guido e della fondazione della cattedrale453. La bicromia di calcare nero e di marmo del Monte Pisano, riscontrata all’inizio del cantiere rainaldiano, nella precedente tavola, è mantenuta ed esaltata anche in facciata. Essendo il forntespizio la virtuale presentazione del monumento, risulta degna di contenere, come l’abside quale zona più sacra, i reimpieghi pregiati, ed infatti riscontriamo la presenza di un marmo orientale antico oltre che le epigrafi, esemplari emblematici nella definizione stessa di materiali reimpiegati454. Infatti i marmi sono sicuramente antichi ma rimaneggiati nel Medioevo a scopi celebrativi, i quali sono esaltati nel valore dalla provenienza stessa del materiale455. Tuttavia abbiamo preferito non mappare le epigrafi per l’incertezza di provenienza dei materiali antichi, come i due grandi conci verticali ai lati delle stesse. Anche in questo caso abbiamo riscontrato la presenza di una estesa zona di restauro integrativo, difficile da datare, situata nella parte alta dell’arcone, dato che presenta una losanga completa di intarsi policromi non riscontrati in altre parti molto degradate. L’arco è completato da una fascia, in questo caso non bicroma ma solo di calcare nero. Dobbiamo evidenziare che la facciata è stata l’unica parte del duomo interamente mappata durante il restauro conclusosi in occasione del Giubileo del 2000. La mappatura, insieme a tutte le informazioni riguardo il restauro, è consultabile on-line nel database SICaR “Sistema Informativo per la documentazione georeferenziata in rete di Cantieri di Restauro”. Dal confronto deriva un sostanziale accordo con tale mappatura, la quale evidenzia nello specifico due fasce di calcare a’ palombini invece che calcare nero. Pur essendo tali informazioni open-source, ci duole constatare che ad oggi non sono stati pubblicati articoli sui risultati degli ultimi restauri della facciata.

453 Per approfondimenti rimando al paragrafo sulle epigrafi. 454

Si veda il paragrafo nel nostro sudio sui reimpieghi.

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