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4 «Un archivio a cielo aperto»: le iscrizioni della Cattedrale

8. La Romanitas pisana

La maestosità e l’accentuato decorativismo del Duomo di Pisa, peculiare all’altezza cronologica durante il quale è stato realizzato, ci stupisce. Ad uno sguardo generale questa cattedrale sembra imprezziosita da raffinati merletti, che si rivelano, ad un’osservazione attenta ed analitica decorazioni e sculture architettoniche provenienti da un altro spazio-tempo e non dal medioevo pisano. In questo periodo storico era consuetudine reimpiegare i materiali da costruzione di edifici in disuso, sia semplici conci che pregiate decorazioni architettoniche venivano incluse nei nuovi edifici. Pisa non fece eccezione, anzi primeggia nella selezione dei materiali antichi più belli da inserire nella propria cattedrale, presenti soprattutto nella parte più antica dell’edificio, quale l’abside, e disposti alle sommità. Ma da dove provengono? Qual’era il luogo di approvigionamento di tali materiali? Ci sono significati specifici legati all’utilizzo di questi materiali? Analizziamo le risposte degli studiosi.

Uno dei problemi di non facile soluzione che riguardano il duomo pisano è l’individuazione della provenienza dei manufatti di età classica reimpiegati nella struttura. L’analisi dettagliata di tali manufatti, insieme ad accurate misurazioni, hanno prodotto confronti determinanti. Di tali studi si è occupata prevalentemente Tedeschi Grisanti165, la quale, nelle sue pubblicazioni, riesce ad individuare sia i riferimenti antichi di alcuni pezzi di età classica incastonati nel duomo, che spesso la loro provenienza. Così ha potuto dimostrare che i pezzi figurati più significativi

165 TEDESCHI GRISANTI, G., I reimpieghi, in "La Cattedrale di Pisa”, a cura di Gabriella

Garzella; Antonino Caleca; Marco Collareta. Foto di Irene Taddei, San Miniato, Cassa di Risparmio di San Miniato; Pisa, Pacini, 2014, pp. 121-128. TEDESCHI GRISANTI, G. Dalle Terme di Caracalla capitelli reimpiegati nel duomo di Pisa,

«Rendiconti. Accademia Nazionale dei Lincei, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche»,

n. 9, Ser. 1, 1990, [S.l.], [s.n.], 1990, pp. 161-185.

TEDESCHI GRISANTI, G., Disiecta membra del Portico di Ottavia, in San Paolo fuori le Mura e

nel duomo di Pisa, in «Bollettino dei musei e gallerie pontificie», vol. XIX, Città del Vaticano,

Tipografia Vaticana, 1999.

TEDESCHI GRISANTI, G., Materiali antichi reimpiegati nel duomo di Pisa, in “Il Duomo di Pisa” a cura di Adriano Peroni, Modena, Panini, 1995.

TEDESCHI GRISANTI, G., Menadi romane sul duomo di Pisa, «Rendiconti. Accademia Nazionale dei Lincei, Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche», n. 9, Ser. 18, 2007, [S.l.],

[s.n.], pp. 97-118.

TEDESCHI GRISANTI, G., Note sul grifone del Duomo di Pisa, in «Bollettino storico pisano», n.65, 1996, Pisa, Pacini, pp. 189-193.

60 provenivano direttamente da Roma e sono stati inseriti in punti salienti della costruzione.

Altra domanda alla quale gli studiosi sono riusciti a dare una risposta ampiamente condivisa nel panorama scientifico è la motivazione per la quale i committenti e gli artisti pisani hanno scelto di inserire un così elevato numero di reimpieghi provenienti da Roma, sia sotto forma di decorazione architettonica che di epigrafi. A tal proposito Scalia negli anni settanta ha parlato di romanitas pisana, concetto ripreso più volte in studi successivi166. Durante gli anni della costruzione della cattedrale si andava potenziando sempre più il legame tra Pisa e la Chiesa di Roma, il quale affondava le sue radici nella legenda, poi confermata dagli studiosi, dello sbarco di San Pietro sul litorale pisano, che fondò la prima comunità cristiana in terra italica, e si rafforza alla luce dei successi della città marinara sul Mediterraneo da cui ne scaturisce un confronto ideale con la potenza di Roma antica, dominatrice sul mondo. Di questo ipotetico paragone sono ricchi i due componimenti poetici che celebrano, il primo, l’assalto alle città africante di al- Mahdiya e Zawila nel 1087, e il secondo, la maggiore spedizione contro i Musulmani compiuta nel 1113-1115 nelle isole Baleari167. Infatti leggiamo che ritorna in entrambi il richiamo alle imprese dei Romani antichi contro Cartagine. Il Carmen de victoria Pisanorum cita: Inclitorum Pisanorum scriptutus istoriam, /

antiquorum Romanorum renovo memoriam: / nam extendit modo Pisa laudem admirabilem / quam recepit olim Roma vincendo Cartaginem168.

166

SCALIA, G., “Romanitas” pisana tra XI e XII secolo. Le iscrizioni romane del Duomo e la

statua del console Rodolfo, in «Studi medievali», ser. III, 13 (1972), pp. 791-843.

167 Riguardo la spedizione delle Baleari la fonte principale è: Liber maiolichinus de gestis Pisanorum illustribus: poema della guerra balearica secondo il cod. pisano Roncioni, Carlo

Calisse, Laurentius Veronensis, Enrico (Deacon, Chaplain of Pietro II, Archbishop of Pisa.), Michele Amari, Forzani e c, tip. del Senato, 1904.

Riguardo le vittorie africane dei pisani vedi SCALIA, G., Il Carme pisano sull’impresa contro i

Saraceni del 1087, in “Studi di filologia romanza offerti a Silvio Pellegrini”,Padova, Liviana, 1971,

pp. 565-628. 168

ASCANI, V., Prede-reliquie-memorie d’Oltremare e la loro ricezione nella Toscana romanica, in “Medioevo Mediterraneo: l’Occidente, Bisanzio e l’Islam”, a cura di A.C. Quintavalle, Milano 2007, («I Convegni di Parma», 7), pp. 637-657.

Ringrazio l’amica Alessandra Ardagna per avermi fornito questa versione: “Nello scrivere la storia dei celebri Pisani, rinnovo la memoria degli antichi Romani: infatti, ora Pisa ha esteso la lode mirabile che un tempo Roma ottenne vincendo Cartagine”

61 È in questo contesto storico che dobbiamo considerare il gran numero di manufatti di età classica reimpiegati per la costruzione del duomo, disposti sia all’interno sia inseriti nel paramento murario con finalità sia strutturale che decorativa. Questo materiale all’esterno si concentra nella zona absidale e nel raggio visuale di via Santa Maria, percorso principale di accesso alla piazza. L’uso di tali materiali si caricava di un nuovo significato: mostrare agli occhi del mondo la continuità tra Pisa e Roma antica169.

Anche le vicende politiche che segnarono la storia della città hanno lasciato traccia su questo edificio, proprio per la forte valenza civile che connotava la sua costruzione. Il grifo islamico issato su una colonnina al culmine del frontone del capocroce, predato nelle varie incursioni pisane in terra islamica, reinterpretato in chiave cristiana, sembra la polena del naviglio della metafora evangelica menzionata in precedenza, all’interno di un programma iconografico più vasto composto da rimandi tra le varie sculture presenti sulla parete orientale della cattedrale170. Proprio la posizione, così centrale, non permette di essere occupata da un oggetto di carattere puramente decorativo. Questo aspetto così singolare è stato approfondito da Ascani nei primi anni del 2000, concludendo che l’opera dovette essere sistemata lì intorno al 1118, al tempo della consacrazione del sottostante altare maggiore e dopo la spedizione e il saccheggio di Palma di Maiorca, probabile luogo di provenienza171. Ora portiamo il nostro sguardo verso l’analisi dei pezzi di reimpiego più pregiati e significativi incastonati in questo

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GARZELLA, G., “Istius ecclesie primordia”. IL contesto storico della fondazione, in “La Cattedrale di Pisa”, a cura di Gabriella Garzella; Antonino Caleca; Marco Collareta. Fotodi Irene Taddei, San Miniato, Cassa di Risparmio di San Miniato; Pisa, Pacini, 2014, pp. 15-23.

170

BARACCHINI, C.,, Il Camposanto, la piazza del Duomo e la città di Pisa, in "Economia della Cultura" 2/2008, pp. 267-274.

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ASCANI, V., Prede-reliquie-memorie d’Oltremare e la loro ricezione nella Toscana romanica, in “Medioevo Mediterraneo: l’Occidente, Bisanzio e l’Islam”, a cura di A.C. Quintavalle, Milano 2007, («I Convegni di Parma», 7), pp. 637-657.

62 grande monumento, partendo dall’interno della cattedrale, seguendo le attribuzioni e identificazioni della Tedeschi Grisanti172.

Nello specifico sono importanti da rilevare i tre capitelli con aquile e fulmini spogliati dalle terme di Caracalla e riposizionati su tre colonne all’interno del Duomo. Anche il fregio con delfini, conchiglie e tridenti, proveniente dalla basilica di Nettuno dietro il Pantheon, è stato ricollocato come transenna presbiteriale fino al 1300, mentre i due capitelli corinzi del Portico di Ottavia sono stati risisitemati su due colonne all’interno della cattedrale173

. Osservando l’esterno, invece, il paramento murario è ricco di pezzi dell’antichità romana, soprattutto verso il coro. Essi, a partire dal basso, indicano un percorso ascensionale figurato culminante con il rilievo con auriga trionfante nel tamburo della cupola. L’abside della cattedrale presenta il maggior numero di capitelli e colonne recuperati da edifici di epoche precedenti. Infatti su quarantadue capitelli disposti su tre livelli, ventiquattro appartengono all’età romana174

. Tra questi l’unico capitello figurato è il quarto del terzo livello partendo da destra, su una colonnina di spoglio, integrata in marmo bianco per raggiungere l’altezza necessaria. Oltre ai capitelli troviamo anche una varietà di blocchi marmorei, residui di trabeazioni, situate all’esterno di tutti i portali del duomo. Così è possibile vedere il soffitto degli architravi, ruotati di 90°, espediente utile ad evidenziare la fascia decorata che originariamente doveva situarsi nell’intradosso dell’architrave. Tra questi possiamo menzionarne due: quello posto sulla Porta dei Canonici e l’architrave della Porta di San Ranieri, di cui però solo la metà sinistra è considerata antica secondo gli storici dell’arte medievale, mentre gli archeologi ne evidenziano soltanto la differenza di maestranze, ma operanti entrambe nella metà del II sec d.C. Spesso ai materiali antichi, oltre ad essere reimpiegati, veniva

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TEDESCHI GRISANTI, G., I reimpieghi, in "La Cattedrale di Pisa”, a cura di Gabriella Garzella; Antonino Caleca; Marco Collareta. Foto di Irene Taddei, San Miniato, Cassa di Risparmio di San Miniato; Pisa, Pacini, 2014, pp. 121-128.

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TEDESCHI GRISANTI, G., Materiali antichi reimpiegati nel duomo di Pisa, in “Il Duomo di Pisa” a cura di Adriano Peroni, Modena, Panini, 1995.

174 TEDESCHI GRISANTI, G., I reimpieghi, in "La Cattedrale di Pisa”, a cura di Gabriella

Garzella; Antonino Caleca; Marco Collareta. Foto di Irene Taddei, San Miniato, Cassa di Risparmio di San Miniato; Pisa, Pacini, 2014, pp. 121-128.

63 attribuita una nuova rilettura, come nel caso del rilievo funebre tardoantico raffiguarante due navi dirette verso un faro, inserito nei pressi del presbiterio175. A

prima vista sembrerebbe una normale scena di genere legata al mesiere del marinaio, ma in questo rilievo, a differenza di altre scene simili, i marinai indicano qualcosa d’avanti a loro, transitando verso il faro. La chiave interpretativa di questa rappresentazione ci viene offerta da un’altra scena simile di un mosaico pavimentale di una tomba ostiense che presenta un’iscrizione, databile al III secolo d.C., la quale spiega “questo è il porto di pace”, esplicitazione che rimanda a sua volta ad un altro esempio in cui una legenda in greco ci dice aorata (invisibili), riferendosi alla luce invisibile, guida per l’aldilà. Nel caso pisano il bassorilievo è stato disposto in verticale, così i marinai che dirigono la barca indicano qualcosa di invisibile verso l’alto, richiamando la luce divina, guida delle navi e giustificandone così il reimpiego. Su queste basi Ascani ne conclude che l’intento dei committenti, attraverso il reimpiego di questi materiali pagani, era il richiamo cristiano dell’allegoria della navicula ecclesie176

.

Particolare interesse è necessario rivolgerlo ai colonnati di granito. La navata maggiore è composta da colonne monolitiche cavate appositamente per questa destinazione, mentre i sostegni delle navatelle e del transetto sono in parte elementi antichi reimpiegati. Le colonne monolitiche non sono reimpieghi ma furono cavate appositamente nelle cave di Vallebuia, nel versante meridionale del Monte Capanne, all’Isola d’Elba177. Furono trasferite via mare al Porto Pisano e, dopo aver risalito il fiume furono trainate da buoi fino al cantiere. Furono erette dall’architetto Busketo la cui grandiosità, legata proprio al suo grande ingegno nel recuperare queste colonne dalle profondità marine e nell’issarle, ci è ricordata

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ASCANI, V., La cattedrale come prodotto culturale: il Duomo di Pisa in “La pietra e le pietre la cattedrale: fondazione di una conferenze in occasione del 950° anniversario della fondazione della Cattedrale di Pisa”, Opera Della Primaziale Pisana, Pisa, Pacini, 2015, pp. 49-89.

176 ASCANI, V., Progettare a colori: la policromia ‘costitutiva’ nell’architettura gotica in Toscana, in “Il colore nel Medioevo. Arte, simbolo, tecnica, Pietra e colore:

conoscenza,conservazione e restauro della policromia”, (Atti delle giornate di studi Lucca 22-24 Novembre 2007), a cura di Andreuccetti P.A., Lazzareschi Cervelli I., Lucca 2009, pp. 47-70.

177 ASCANI, V., La cattedrale come prodotto culturale: il Duomo di Pisa in “La pietra e le pietre

la cattedrale: fondazione di una conferenze in occasione del 950° anniversario della fondazione della Cattedrale di Pisa”, Opera Della Primaziale Pisana, Pisa, Pacini, 2015, p. 68.

64 dall’epigrafe posta sulla stessa cattedrale178

. La scelta di adoperare enormi colonne monolitiche sicuramente non era tra le più semplici né le più economiche, per questo non può essere priva di significato. Infatti secondo Ascani tale inpegno ha sicuremente l’intento di evocare la grandiosità dell’architettura romana, di cui politicamente la città si sentiva erede e ne voleva rivivere i fasti, oltre a raccordare la costrzione alle supposte origini apostoliche della chiesa pisana179. Ciò era un’allusione alla costituzione della comunità cristiana pisana, la più antica d’Occidente, stando alla tradizione secondo la quale l’apostolo Pietro sbarcò nel Porto Pisano180.

Considerando la curiosità che l’elevato numero di reimpieghi suscitarono, era prevedibile che fossero sottoposti ad una serie di interpretazioni, spiegazioni e teorie che ne giustificassero l’inserimento e il loro significato storico e simbolico. Nel tempo gli studiosi hanno aperto un dibattito a riguardo sviluppando diverse linee di pensiero. Secondo alcuni questi frammenti antichi sarebbero inseriti per esibire testimonianze tangibili del passato romano di Pisa, mentre per altri esse esprimerebbero un giudizio negativo sull’antica Roma pagana su cui il Cristianesimo avrebbe riportato la sua vittoria. Nel tempo ha prevalso la linea interpretativa positiva, infatti Banti fa una acuta considerazione: se queste supposizioni di valore negativo fossero vere avrebbero potuto disporre diversamente e con più organizzazione questi frammenti, probabilmente mettendoli anche ben in vista181. Più probabilmente l’alta concentrazione di reperti antichi nella zona absidale dipende dal valore simbolico che gli si attribuisce, in accordo con la sacralità dell’edificio e il tipo di cultura dell’epoca fortemente cristianizzato. Questi frammenti testimoniavano sia la grandezza di

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Vedi il paragrafo dedicato alle epigrafi.

179

M.L. Ceccarelli Lemut - G. Garzella, Mirabilia Domini in pelago. Cristianizzazione, culti e

reliquie a Pisa, in “Dio, il mare e gli uomini” (Quaderni di storia religiosa, 15), Verona 2009, pp.

155-183.

180

ASCANI, V., La Basilica di San Piero a Grado: la memoria dell’apostolo Pietro alla foce

dell’Arno, in “Nel solco di Pietro: la Cattedrale di Pisa e la Basilica Vaticana”, a cura di Marco

Collareta, Synersea, Lucca, 2017, pp. 50-60. 181

BANTI, O., Le iscrizioni della Cattedrale, in “La Cattedrale di Pisa”, a cura di Gabriella Garzella; Antonino Caleca; Marco Collareta. Fotodi Irene Taddei, San Miniato, Cassa di Risparmio di San Miniato; Pisa, Pacini, 2014, pp. 111-120.

65 Roma che la sua fine, evidenziando la caducità delle imprese umane in contrasto con la grandezza del Regno di Cristo eretto sulle rovine degli imperi umani, interpretazione richiamata anche nell’illustrazione del sogno del re biblico Nabucodonosor fatta dal profeta Daniele182. Egli svelò al Re di conoscere il suo sogno e il significato: una statua si eregeva minacciosa davanti ad egli, la testa era fatta d’oro, il petto e le braccia d’argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe di ferro e i piedi argilla e ferro mescolati. Dalla montagna si stacca un masso che frantuma i fragili piedi della statua che poi si sbriciolò tutta, mentre la pietra rimase intatta e divenne una grande montagna che riempì l’intera regione. Il regno del re Nabucodonosor era la testa d’oro, dopo di lui sarebbero arrivati altri regni ma sempre più deboli. Al tempo del regno di ferro e di argilla il Dio del cielo farà sorgere un regno che non sarà mai distrutto e non sarà mai trasmesso ad altri popoli.

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