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I MATERIALI DEI PARAMENTI MURARI ESTERNI DEL DUOMO

1. Storiografia sui litotip

Dopo aver analizzato le questioni storico-artistiche che riguardano la fondazione e la costruzione del Duomo di Pisa riteniamo che sia necessario volgere la nostra attenzione all’analisi dello studio dei materiali con cui è stata costruita. Per numerosi decenni gli storici dell’arte hanno ritenuto superfluo porre attenzione ai materiali da costruzione, quasi la materia fosse un mero pretesto per comunicare una forma e svolgere una funzione; uniche categorie delle quali valesse la pena indagare. La questione materica tuttavia non poteva essere esclusa dai dibattiti sulla metodologia del restauro, infatti i due grandi esponenti di tale discussione del XIX secolo, Viollet-le-Duc e Ruskin, la pongono al centro dei loro interessi. Se per l’architetto francese il restauro doveva essere di ripristino di una data unità di stile alla quale la materia si doveva sacrificare, per il poeta Ruskin la materia dell’opera d’arte è la sede in cui si attua il concetto di autenticità354

. Ma nonostante questi presupposti l’attenzione alla materialità del Duomo di Pisa è sempre stata scarsa, non intravedendo le potenzialità di queste informazioni. Il

354 Riportiamo qui una considerazione spietata di Ruskin nei confronti del restauro di ripristino e

più in generale sul restauro, nell’ottica della naturale vita organica di un’opera d’arte come creatura che nasce e inevitailmente muore.

«Non parliamo di restauro. Si tratta di menzigna dal principio alla fine. Si può fare la copia di un edificio come la si può fare di un cadavere: la copia può avere dentro di sé la struttura dei vecchi muri, come il calco di un viso può averne lo scheletro; ma in nessuno dei due casi riesco a vedere con quale vantaggio; e non mi interessa. Ma il vecchio edificio è distrutto, e in questo caso in modo più definitivo e irrimediabile che se fosse sprofondato in un mucchio di polvere, o se fosse stato fuso in una massa di argilla: è più quello che si è riusciti a racimolare della desolazione di Ninive di quello che si potrà mai mettere insieme dopo la ricostruzione di Milano»

RUSKIN, J., Le sette lampade dell’architettura,(1849), ed. italiana a cura di R. DI STEFANO, Milano, 1988. Citazione da MARAMOTTI POLITI, A. L., Ruskin fra architettura e restauro, in “La Materia Del Restauro”, Quaderni Del Dipartimento Di Conservazione Delle Risorse Architettoniche E Ambientali, 15-16, Milano, Angeli, 1989, pp. 139.

111 primo di cui abbiamo testimonianza che ha guardato la cattedrale sotto questo aspetto è il naturalista Giovanni Targioni Tozzetti che nei suoi Viaggi in Italia alla metà del XVIII sec. si sofferma sull’identificazione dei litotipi dei paramenti murari del duomo e la successiva analisi dei luoghi di provenienza degli stessi355. Di certo dobbiamo considerare che lo studioso abbia fatto determinate considerazioni solo dall’analisi autoptica dei materiali e da successivi confronti con i litotipi presenti nell’entroterra pisano che lui percorrerà nei suoi viaggi. Da questa data tanta strada è stata fatta; sopratutto è nata la moderna geologia e si sono sviluppate nuove tecniche di analisi dei materiali. Per quanto riguarda il duomo pisano solo negli anni ’90 del XX secolo esso è stato approfonditamente studiato con le dovute analisi per identificare i litotipi impiegati, le zone geografiche di estrazione, la composizione mineralogica e le relative tipologie di degrado, le metodologie di estrazione e lavorazione dei conci, le tecniche di messa in opera. Dati questi presupporti, in parte ancora oggetto di studi, è possibile approfondire la ricerca, collegando queste conoscienze a quelle prettamente storico-artistiche e archeologiche, in una visione interdisciplinare, per approdare alla definizione, ad esempio, delle vie e i metodi di trasporto dei materiali, le tipologie di reimpiego e il valore che esso aveva per i pisani, le fasi costruttive e quindi le metodologie di sviluppo del cantiere messe in atto. Sono queste le linee di principio che muovono gli interventi e gli studi degli ultimi anni. Infatti nel cantiere di restauro dell’abside del Duomo di Pisa (2012-2016), oltre alle normali applicazioni di restauro, era previsto un team di esperti archeologi e geologi per analizzare i litotipi e le malte di giunzione tra i conci al fine di identificare le unità stratigrafiche murarie (USM) e quindi una successiva definizione delle fasi del cantiere di costruzione dell’abside356

.

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TARGIONI TOZZETTI, G., Relazioni D'alcuni Viaggi Fatti in Diverse Parti Della Toscana

per Osservare Le Produzioni Naturali, E Gli Antichi Monumenti Di Essa Dal Dottor Gio. Targioni Tozzetti, Tomo Primo [- Duodecimo, Ed Ultimo], Stamperia Di S.A.S, Firenze, 1768.

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MONTEVECCHI N., SUTTER A., Il restauro dell’abside del Duomo di Pisa. Un cantiere per

la conoscenza e la conservazione, in “La Cattedrale di Pisa”, a cura di Gabriella Garzella;

Antonino Caleca; Marco Collareta. Fotodi Irene Taddei, San Miniato, Cassa di Risparmio di San Miniato; Pisa, Pacini, 2014, pp. 271-279.

112 Giovanni Targioni Tozzetti apre il secondo tomo della sua opera con una “digressione sopra i marmi antichi che sono in opera nelle fabbriche di Pisa” dove si stupisce della concentrazione delle pietre “forestiere” e ne spiega la presenza, oltre che motivare l’interesse dello studio: “(…) gli antichi Pisani potentissimi in mare, nelle tante conquiste che fecero, ebbero sempre la mira di portar seco trall’altra preda, colonne, ed altri pezzi di marmo lavorato, per ornamento della loro Patria. Siccome le cave della maggior parte di quelle pietre, sono in paesi sottoposti al dominio Ottomano, e presentemente sono smesse, ne segue, che le pietre estratte dagli antichi, sono ormai divenute preziosi cimeli, e meritano la considerazione del Naturalista, non meno che dell’Antiquario. Quindi mi lusingo, che non sia per esser discaro a’ lettori, se riferirò loro quel tanto, che ho osservato sopra le più ragardevoli Pietre Antiche (cioè delle quali o non si sa dove fosse la cava, o ella è resa esausta, o sivvero vietata) che in Pisa si conservano, tanto più, che tal descrizione contribuirà ad intendere qalche passo d’antichi scrittori, e scoprirà qualche abbaglio de’ moderni”357. Per pietre antiche intende quelle pietre delle quali non si conosce il luogo di estrazione o la stessa fosse interrotta per diversi motivi e precisa che il suo studio potesse essere utile per interpretare meglio le fonti documentarie e correggere errori dei contemporanei. Emerge così una precisa coscienza del perché sia utile indagare i litotipi delle costruzioni. Targioni Tozzetti individua puntualmente il litotipo presente in maggioranza, quale il marmo dei Monti Pisani, definendone l’aspetto, la tecnica di lavorazione e le tipologie di degrado connesse alla grana della pietra, in relazione con il più pregiato marmo di Carrara, del quale però non sembra rinvenire blocchi sui paramenti murari.

“La maggiore, è più considerevole parte delle Pietre, di cui è costruita quella sontuosa Basilica, si è Marmo bianco di Monte Pisano. Certamente ve ne sono pezzi grandissimi, e ben lavorati a scalpello, che agevolmente mostrano la loro tessitura ed il colore. (…) Il Marmo di Monte Pisano non è tutto similare, ed uniforme nella grana, e nel colore, come il Bianco di Carrara, ma è in gran parte di natura di Mistio; poiché in questi lastroni, si vedono le macchie; e linee irregolari,

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TARGIONI TOZZETTI, G., Relazioni D'alcuni Viaggi Fatti in Diverse Parti Della Toscana

per Osservare Le Produzioni Naturali, E Gli Antichi Monumenti Di Essa Dal Dottor Gio. Targioni Tozzetti, Tomo Secondo, Stamperia Di S.A.S, Firenze, 1768, p. 2.

113 dove giallognole, dove pallide, dove rosse di vari gradi, dove verdi dilavate, e dove più bianche, che non è ll fondo. (…) Notar conviene che, questi Marmi bianchi perdono il candore, più sollecitamente che quelli di Carrara, e prendono facilmente il giallo, a cagione della polvere che vi si appastra sopra, ed anche il nericcio, a cagione di certi minutissimi Licheni, che vi nascono sopra”358

. Non sappiamo se il “giallo” che caratterizza il degrado possa essere riferito in realtà a patine di ossalati dervianti da pellicole di protezione degradate, tuttora visibili anche dopo le operazioni di restauro o, come ci riferisce, polvere depositata. Un altro litotipo individuato è il granito dell’Isola d’Elba di cui sono fatte le colonne monolitiche interne al duomo e parte delle colonne esterne. Targioni Tozzetti individua il luogo di estrazione e da una descrizione dell’aspetto, riferendoci che tanti hanno scambiato questo granito per Orientale. “(…) Delle innumerevoli colonne, delle quali è sostentato, e adornato questo sontuoso Edifizio, la maggior parte sono di Granito minuto dell’Isola dell’Elba, e del Giglio. Egli ha il fondo biancastro, composto di minutissimi pezzetti di materia Saligna, simile al Quarzo, (…) bianca che tende al bigio: ed è tutto quanto seminato foltamente di minutissime macchie nere (…). Fin del tempo de’ Romani si cavava questa sorta di Pietra dell’Isola dell’Elba, del Giglio, e di Sardegna: anzi molto Granito, che si crede Orientale, è di questi luoghi”359

.

Passa poi a parlarci del Granito Orientale, analizzando per lo più le colonne, ritenute pezzi esemplari e mettendole in relazione agli obelischi egiziani, luogo di provenienza di questi graniti: “(…) Molte sono in quella chiesa le Colonne, sì grandi, che piccole; di Granito Orientale; inendo di quello così più comunemente detto; che ha il fondo tra il bianco, e il cenerino, e le macchie nere. (…) Parecchie colonne del Duomo di Pisa sono di Graniti rosso, altrimenti detto di Cipro, ma che veramente si traeva dall’Egitto superiore, e dalle Montagne dell’Etiopia, e questo è quello del quale sono fatti gli obelischi, e la maggior parte delle tante stupende

358 TARGIONI TOZZETTI, G., Relazioni D'alcuni Viaggi Fatti in Diverse Parti Della Toscana per Osservare Le Produzioni Naturali, E Gli Antichi Monumenti Di Essa Dal Dottor Gio. Targioni Tozzetti, Tomo Secondo, Stamperia Di S.A.S, Firenze, 1768, p. 2-3.

359 TARGIONI TOZZETTI, G., Relazioni D'alcuni Viaggi Fatti in Diverse Parti Della Toscana per Osservare Le Produzioni Naturali, E Gli Antichi Monumenti Di Essa Dal Dottor Gio. Targioni Tozzetti, Tomo Secondo, Stamperia Di S.A.S, Firenze, 1768, p. 4.

114 fabbriche degli Egiziani. Egli ha macchie nere, ma il fondo di doppia grana, cioè di pezzuoli trasparenti quasi come il Cristallo, ed altri rossi lucenti cristallini, che tutti sfaldano in lamine”360

.

Al naturalista, dalla vista acuta e dalla profonda conoscenza dei testi antichi, non può sfuggire un dettaglio certamente rilevante quale un diffuso degrado superficiale dei conci e delle colonne che analizza: una decoesione superficiale che immediatamente attribuisce al fuoco dell’incendio del 1595. Questa nota è una testimonianza sia di quanto quell’incendio sia stato devastante, che un fotogramma dello stato di degrado nel XVIII secolo: “(…) Di tutte queste grandi Colonne di Pisa di granito, sì nostrale, che Orientale, niuna ve ne ha pulita e lustrante; anzi esse tutte sono rozze; e scabrose, e saligne, e fanno ben conoscere la falda della loro grana. Si può forse credere, che molte fossero già lustrate, ma siano state dipoi guaste dal terribile Incendio, che danneggiò questa Chiesa il dì 25 ottobre 1595”361

.

Per concludere questa digressione sui marmi del Duomo di Pisa ci sembra affascinante come Targioni Tozzetti tenga a sottolineare “l’originalità” dei materiali che descrive in contrasto all’ipotesi che questi vengano confusi come semplici stucchi o smalti: “(…) Tutte queste specie di Graniti sì sopra descritte, sono vere verissime Pietre, così formate dalla natura, non già Parte, o specie di Stucchi, e Smalti manufatti dagli Antichi, come senza fondamento veruno si sono sognati certi Naturalisti a Tavolino”362

. Egli si scaglia contro i naturalisti a “tavolino”, coloro avvezzi a fare ipotesi non verificate in loco, elevando così il valore delle sue considerazioni derivate da una’analisi diretta; in più si può dedurre quale potesse essere la meraviglia di trovarsi di fronte a veri materiali naturali rispetto all’abitudine contemporanea di far sembrare laterizi come marmi

360 TARGIONI TOZZETTI, G., Relazioni D'alcuni Viaggi Fatti in Diverse Parti Della Toscana per Osservare Le Produzioni Naturali, E Gli Antichi Monumenti Di Essa Dal Dottor Gio. Targioni Tozzetti, Tomo Secondo, Stamperia Di S.A.S, Firenze, 1768, p. 7-9.

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TARGIONI TOZZETTI, G., Relazioni D'alcuni Viaggi Fatti in Diverse Parti Della Toscana

per Osservare Le Produzioni Naturali, E Gli Antichi Monumenti Di Essa Dal Dottor Gio. Targioni Tozzetti, Tomo Secondo, Stamperia Di S.A.S, Firenze, 1768, p. 11.

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TARGIONI TOZZETTI, G., Relazioni D'alcuni Viaggi Fatti in Diverse Parti Della Toscana

per Osservare Le Produzioni Naturali, E Gli Antichi Monumenti Di Essa Dal Dottor Gio. Targioni Tozzetti, Tomo Secondo, Stamperia Di S.A.S, Firenze, 1768, p. 12.

115 policromi pregiati, fatti attraverso stucchi, per cui non «vere verissime Pietre».

Attraverso l’analisi di questo importante testo settecentesco abbiamo parlato di marmi, pietre e graniti. Ci sembra opportuno, a questo punto darne una definizione specifica tesa a chiarire numerosi dubbi che per secoli ne hanno confuse le identificazioni.

La parola marmo ha etimologia greca e contiene il significato di luminoso, splendente; connotazioni che si riferiscono alla propietà di tale roccia di essere lucidabile in superficie. Nel passato quindi furono indicate come marmi tutte quelle rocce lucidabili e le altre, inceve, venivano definite come pietre. Questo criterio introduce numerosi elementi di confusione dato che la lucidabilità era propria di una tecnica di lavorazione del materiale, non una sua caratteristica intrinseca. Pertanto uno stesso litotipo poteva essere definito marmo o pietra a seconda del suo grado di lucidabilità363. Con l’introduzione della scala di Mohs che definisce la durezza di un materiale, i litotipi sono stati raggruppati per categorie di lavorabilità con attrezzi simili, portando ad un distinguo di marmi per le rocce più tenere e graniti per quelle più dure. Attualmente, per fare chiarezza, nella nomenclatura petrografica, con marmo si definisce una roccia di origine metamorfica costituita in grande prevalenza di calcite e/o dolomite364.

Le fondamentali catatteristiche chimico-fisiche dei marmi dipendono dai loro processi di formazione che permettono la creazione di rocce essenzialmente monomineraliche, a composizione chimica semplice; colore usualmente chiaro o bianco; porosità estremamente bassa di cui ne deriva un bassisismo coefficiente di imbibizione; alta resistenza al carico365.

La calcite non è particolarmente resistente agli attacchi chimici ed ha inoltre una

363 PIAZZA, M., SCARZELLA, A., MARAINI, A., FASOLO, V., s.v. Marmo, in “Enciclopedia Italiana”, 1934.

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PIAZZA, M., SCARZELLA, A., MARAINI, A., FASOLO, V., s.v. Marmo, in “Enciclopedia Italiana”, 1934.

Niveo de Marmore. L'uso artistico del marmo di Carrara dall'XI al XV secolo, a cura di E. Castelnuovo, cat. (Sarzana 1992), Genova 1992. pp. 27-51.

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FRANZINI, M., I marmi da La Spezia a Pisa, in “Niveo de Marmore. L'uso artistico del marmo di Carrara dall'XI al XV secolo”, a cura di E. Castelnuovo, cat. (Sarzana 1992), Genova, 1992, pp. 29-42.

116 fortisstima differenza di dilatazione termica e di elasticità nelle diverse direzione, tanto che, sottoposta ad una variazione di temperatura o di pressione idrostatica, si allunga in una direzione e si contrae in quella ad essa perpendicolare. Da ciò ne deriva la causa della scarsa resistenza del marmo all’aperto, soprattutto nelle condizioni ambientali delle grandi città di oggi caratterizzate da forte smog. Tuttavia esistono numerose varietà di marmi che presentano una resistenza estremamente variabile. Le due tipologie di degrado più frequenti, collegate tra loro sono la dissoluzione e la disgregazione366.

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Sarebbe molto interessante approfondire le cause di questi tipi di degrado dal punto di vista chimico e meccanico e conseguentemente analizzare i metodi messi in atto per arginare tali eventi, ma ciò esula dal nostro studio e rimandiamo tali approfondimenti in altre sedi.

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