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Durante la mia esperienza di tirocinio ho avuto la possibilità di svolgere alcuni colloqui con i ragazzi volontari i quali si sono mostrati disponibili nel raccontarmi la loro storia, i loro vissuti passati e le motivazioni che li hanno portati a conoscere “Araba Fenice” e ad operare all’interno dell’associazione stessa.

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Il caso in questione riguarda S. ragazzo marocchino di 24 anni originario di Marrakech.

S. ha vissuto in Marocco con la sua famiglia fino all’età di 14 anni.

Il nucleo familiare è composto dai genitori, due fratelli e tre sorelle tutti più grandi di lui che tutt’ora vivono a Marrakech.

Il ragazzo, all’età di 14 anni, decide tuttavia di partire da solo e si trasferisce in Spagna dove, per via della sua giovane età, viene immediatamente portato in una Comunità per ragazzi dove vive per circa 4 anni.

A Madrid il ragazzo ottiene un regolare permesso di soggiorno, comincia a studiare lo spagnolo e l’italiano e, all’età di 16 anni, comincia a svolgere qualche attività lavorativa.

Lavora per qualche mese in una ditta asfaltatrice e comincia a seguire alcuni corsi professionali di meccanica e giardinaggio con conseguenti diplomi.

Essendo molto bravo a giocare a calcio, il ragazzo entra in una squadra juniores del Real Madrid, ma solo per poco tempo poiché, avendo 18 anni, si ritiene che sia già in età troppo avanzata per intraprendere una carriera da professionista.

Dopo 4 anni di permanenza in Spagna, il giovane decide di trasferirsi in Italia dove vivono alcuni suoi amici marocchini; va prima a Roma, poi a Firenze fino a stabilirsi definitivamente a Viareggio, dove vive tutt’ora.

Differentemente dalla sua permanenza in Spagna, S. afferma di non aver mai lavorato in Italia poiché, dopo pochi mesi dal suo trasferimento a Viareggio, viene arrestato per spaccio di sostanze stupefacenti.

Il ragazzo infatti, comincia a frequentare a Viareggio un gruppo di spacciatori che detenevano delle precedenti condanne per uso di sostanze; durante il suo arresto tuttavia, S. sostiene (anche tutt’ora) di essere stato incastrato poiché lui non stava spacciando.

Afferma infatti di essersi solo trovato in un brutto giro di amicizie.

Gli viene assegnato un avvocato d’ufficio e, a causa della sua scarsa conoscenza dell’italiano e su consiglio dell’avvocato stesso, il ragazzo decide di patteggiare e viene condannato con una pena detentiva di 2 anni e 8 mesi.

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S. descrive la sua permanenza in carcere come un periodo lungo, estenuante e degradante a livello personale ed emotivo: afferma di essere stato sostenuto ed aiutato in particolar modo dal Cappellano della struttura carceraria con cui ha instaurato un ottimo rapporto di fiducia.

Stringe legami con alcuni detenuti e descrive anche positivo il rapporto con le assistenti sociali dell’UEPE che lo seguivano costantemente anche per via della sua giovane età.

Il ragazzo sostiene di aver svolto semestralmente alcuni lavoretti che hanno costituito, a detta sua, “l’unica occasione per sentirsi vivo”.

Dopo aver scontato la propria pena, S. esce dal carcere e torna a vivere a Viareggio, dove viene ospitato da una famiglia italiana conosciuta prima del suo arresto.

Non molto tempo dopo tuttavia, il giovane si trova di nuovo nei guai con la legge e viene arrestato una seconda volta.

Differentemente dalla prima incarcerazione tuttavia, S. afferma, in quest’ultimo caso, di essere colpevole per il reato di spaccio cui è stato nuovamente condannato.

Viene ricondotto in carcere a Lucca e poi trasferito a Livorno dopo uno scontro con un altro detenuto.

Il giovane descrive la sua seconda esperienza in carcere in maniera ancora più negativa, afferma di essere stato male non solo emotivamente ma anche fisicamente.

S. infatti spiega che dopo la prima condanna, scontata senza aver avuto colpe, non è riuscito a trovare, fuori dal carcere, una rete istituzionale (e anche formale) in grado di sostenerlo e di accompagnarlo nel suo percorso di reinserimento sociale e lavorativo.

Per questo motivo l’unica soluzione che a lui sembrava possibile, era quella di delinquere e di spacciare realmente per riuscire ad ottenere qualche entrata economica a causa dell’estrema difficoltà riscontrata nel trovare un’occupazione.

Lo stesso vissuto si ripresenta ciclicamente una terza volta, quando il ragazzo, finito di scontare la sua seconda pena detentiva (1 anno), viene arrestato e condannato nuovamente per spaccio.

Questa volta però non viene prevista l’incarcerazione; il giudice infatti, su richiesta dell’avvocato e grazie alla disponibilità di “Araba Fenice” ad accogliere S.,

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dispone l’applicazione di una misura alternativa alla detenzione.

Il ragazzo viene condannato per un anno agli arresti domiciliari con possibilità di uscire di casa 3 volte a settimana per poter svolgere servizi di comunità presso l’associazione viareggina.

Grazie alla disposizione del giudice, il ragazzo ha cominciato a conoscere l’associazione e a svolgere regolarmente il proprio servizio di comunità insieme agli altri volontari cui sono state previste anche per loro alcune misure alternative alla detenzione.

S. afferma di aver già avuto in passato alcuni contatti, seppur parziali, con l’associazione quando, tra la prima e la seconda condanna, si recava a giocare a calcetto presso il parco “La fenice” nel quartiere del Varignano, dove si incontrava con alcuni suoi amici.

Ormai è quasi passato un anno da quando S. presta servizio come volontario presso l’associazione, tra due mesi avrà terminato il periodo di arresti domiciliari e avrà la possibilità, sempre con il sostegno della ONLUS, di poter trovare lavoro magari attraverso un suo inserimento nella Cooperativa.

S. afferma di essere riuscito a trovare un “Araba Fenice”, nei suoi operatori e nei ragazzi volontari, una rete di sostegno e di supporto che gli ha permesso di riorganizzare la propria vita e di evitare di cadere nuovamente nella recidiva.

L’associazione pertanto è riuscita, come vuole la sua missione, ad operare negli interstizi della marginalità sociale affiancandosi ai servizi istituzionali presenti sul territorio, per poter avviare per S. ma anche per altri ragazzi nella sua stessa situazione, un percorso reale di reinserimento socio-lavorativo.