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Labelling theory: la teoria dell’etichettamento

3. Paradigmi criminologici

3.4 Labelling theory: la teoria dell’etichettamento

In seno alla rinuncia della prospettiva correzionale della devianza si colloca anche la labelling theory, ovvero la teoria dell’etichettamento che si richiama alla corrente filosofica e sociologica dell’interazionismo simbolico e che trova in Lemert74 e

Becker75 i suoi principali esponenti.

Il labelling approach, sviluppatosi a inizio degli anni 60, parte dalla considerazione secondo cui si può comprendere la devianza solo alla luce dei meccanismi istituzionali che la definiscono come tale: le istanze e le norme di controllo sociale pertanto vengono analizzate nella loro funzione costitutiva nei confronti della devianza.76

Essendo definita dalle istanze del controllo sociale, la devianza viene prodotta attraverso l’interazione simbolica; il deviante e la devianza non sono punti di partenza bensì punti di arrivo.

La condotta criminosa non è un dato oggettivo da spiegare ma è una “realtà sociale precostituita rispetto all’esperienza conoscitiva e pratica”77e si costruisce

invero nell’interazione.

73 MATZA D., Come si diventa devianti, in FONTANA M.E., CADARIO V., op. cit., pag. 103. 74 CHARLES LEMERT (1932-) sociologo e scienziato sociale statunitense.

75 HOWARD SAUL BECKER (1928-) sociologo statunitense che ha fornito un grande contributo alla

sociologia della devianza, alla sociologia dell’arte e alla sociologia della musica.

76 CIARPI M., TURRINI VITA R., op. cit., pag. 45. 77 FONTANA M.E., CADARIO V., op. cit., pag. 103.

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L’assunto fondamentale di questo approccio trova conferma in quello che viene definito il “Teorema di Thomas”78 secondo cui le definizioni dei fenomeni sociali

hanno un effetto costitutivo nei confronti delle proprie conseguenze: “se si definiscono situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze”.79

Se non definiamo qualcosa in un determinato modo quindi, ciò assumerà le caratteristiche che gli abbiamo precedentemente attribuito.

Nella teoria dell’etichettamento si sposta dunque il baricentro del problema sociologico; ciò che è interessante studiare, quando si parla di devianza, non sono le cause della stessa, bensì la definizione del suo concetto, vale a dire l’identificazione dei processi che portano alla costruzione sociale della figura criminale.

Tra i teorici dell’etichettamento un ruolo significativo è assunto proprio dalla posizione di Lemert, il quale si sofferma, nella sua analisi, sullo studio dei meccanismi del controllo sociale.

Nella sua opera, il sociologo osserva che se in passato la maggior parte dei contributi classici come quelli di Durkheim, Parsons o Merton si erano principalmente interessati all’analisi sull’eziologia della devianza e sui suoi differenti tassi all’interno della società, negli ultimi decenni si è fatta strada un nuovo tipo di sociologia della devianza che attribuisce maggior importanza alla interazione simbolica e al controllo sociale.80

Lemert cita alcuni apporti come quelli di Erikson, Becker e Goffman81, che hanno in particolar modo contribuito all’elaborazione di nuovi concetti come quelli di degradazione, mortificazione e di stigma utili ai fini di una maggior comprensione della realtà sociale82.

78 WILLIAM THOMAS (1863-1947) sociologo statunitense, fu a capo della Scuola di Chicago fino al

1918, quando fu costretto a dimettersi per lasciare il posto a Robert Park.

79 THOMAS W., Social Behaviour and Personality in FONTANA M.E., CADARIO V., op. cit., pag.

103.

80 LEMERT E. M., Social Patology, in FONTANA M.E., CADARIO V., op. cit., pag. 104.

81 ERVIN GOFFMAN (1922-1982) sociologo e scrittore canadese. Il suo principale contributo è la

sua formulazione sull’interazionismo simbolico ed è considerato uno dei sociologi americani più influenti del XX secolo.

82Applicata allo studio della devianza, il processo di stigmatizzazione, così come interpretato da

Goffman, vede la devianza come uno status che si attribuisce/etichetta ad un determinato individuo sulla base di una specifica condotta da lui compiuta, considerata appunto deviante.

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Secondo Lemert tali nozioni “hanno contribuito a dimostrare come le agenzie e le istituzioni apparentemente organizzate in vista di compiti assistenziali e rieeducativi, riabilitativi e terapeutici, diano forma e significato alla devianza, e giungano a stabilizzarla come devianza secondaria”.83

La nozione più significativa introdotta da Lemert è quella legata alla distinzione tra devianza primaria e devianza secondaria.

La deviazione primaria si verifica nel momento in cui l’individuo e la sua condotta rimangono all’ombra, e non sono oggetto di pubblica stigmatizzazione o etichettamento da parte della società.

Questa ha implicazioni solo marginali per lo status e la struttura psichica della persona interessata poiché “non provoca nel protagonista riorganizzazioni simboliche del proprio sé, né l’assegnazione stabile ad un ruolo deviante”.84

La deviazione secondaria invece, è associata allo stigma sociale e consiste nel “comportamento deviante o nei ruoli basati su di esso, che diviene mezzo di difesa, di attacco o di adattamento nei confronti dei problemi manifesti o non manifesti, creati dalla reazione della società”.85

In altri termini la devianza diventa un mezzo di difesa, di attacco o di adattamento messo in atto nei confronti di una serie di problemi presenti e creati dal contesto sociale stesso e agita non solo direttamente dal soggetto definito deviante.

Se la condotta criminale viene così definita, per comprendere meglio i meccanismi devianti, il momento centrale di analisi diventa quello definitorio di suddetti meccanismi: non si va più alla ricerca delle loro cause bensì dei processi che sono alla base della loro formazione.

Suddetto processo fa sì che il porre in essere una condotta definita criminale, renda automaticamente il soggetto che l’ha compiuta “deviante” agli occhi della società.

Il consolidarsi del processo di stigmatizzazione porta, se non interrotto, ad un’interiorizzazione automatica dello stigma da parte della persona etichettata appunto come “deviante”, la quale non disilluderà quelle aspettative di criminale che la società gli ha in qualche modo introiettato.

83 LEMERT E. M., Social Patology, in FONTANA M.E., CADARIO V., op. cit., pag. 104.

84 SALVINI A., Introduzione a Lemert E. Devianza, problemi sociali e forme di controllo in

FONTANA M.E., CADARIO V., op. cit., pag. 105.

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