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Durante la mia esperienza di tirocinio ho anche avuto modo di seguire la mia tutor a Roma i giorni 21 22 e 23 maggio 2015 in occasione della terza edizione della Biennale dello Spazio Pubblico, tenutasi presso la facoltà di architettura dell’Università degli studi di Roma 3.

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incontri tra professionisti, workshop e seminari promossi da Pubbliche Amministrazioni, Università e Associazioni di cittadini con lo scopo di mettere a confronto esperienze, problemi e buone pratiche nel settore dell’architettura del paesaggio e della riqualificazione di aree urbane.

I focus tematici di questa edizione si sono indirizzati principalmente attorno ai temi della “strada”, della “rigenerazione urbana” e della “città diseguale”.

Per quanto riguarda il primo focus sono state condotte, in linea con le edizioni precedenti, una serie di riflessioni volte ad analizzare la strada come lo spazio pubblico che occupa la massima superficie delle nostre città e che presenta una straordinaria sovrapposizione di funzioni: dalla mobilità al collegamento fino alla possibilità di porsi come garanzia di una maggior socialità.

Essa in altri termini rappresenta un grande elemento connettivo dell’esperienza urbana.

Lo spazio pubblico rappresenta inoltre un fattore determinante della rigenerazione urbana allo scopo di ottenere città più belle, inclusive e sostenibili.

A tal proposito gli argomenti al centro di questo focus tematico hanno riguardato soprattutto la fruizione pubblica degli spazi archeologici, i nuovi usi di complessi e immobili dismessi e l’uso funzionale degli spazi degradati entro cui rientra a pieno titolo la mission dell’associazione “Araba Fenice”.

Per quanto attiene invece il tema della città diseguale, le principali osservazioni condotte hanno messo in evidenza come l’economia della globalizzazione e la crescente urbanizzazione abbiano portato masse sempre più consistenti di popolazione a vivere nelle grandi aree metropolitane.

L’acutizzarsi della crisi economica inoltre da un lato ha ridotto la capacità degli Stati di sostenere le politiche di welfare, mentre dall’altro lato ha aumentato ulteriormente la distanza tra pesi ricchi e poveri, generando forti flussi migratori che hanno reso contigue le periferie urbane.

Personalmente ho avuto la possibilità di assistere ad alcuni workshop e seminari uno dei quali è stato coordinato anche dalla mia tutor con il titolo di “Sicurezza

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Attraverso i diversi interventi dei partecipanti sono emerse diverse conclusioni che riporto in breve.

Le politiche di sicurezza e prevenzione sono entrate nell’ultimo ventennio a far parte definitivamente delle politiche pubbliche.

Se le politiche urbane promosse nel nostro paese avevano, sino a quel momento, come principali obiettivi la coesione sociale, la riduzione delle disuguaglianze e la riqualificazione urbana (ed erano prevalentemente legate ad interventi su problemi di carattere economico e sociale), a partire dai primi anni novanta si è verificato un processo di cambiamento che ha visto “il tema della sicurezza assumere un ruolo di maggior centralità nella tematizzazione delle sfide urbane”.

L’obiettivo di questo specifico workshop è stato proprio quello di avviare una riflessione sulle politiche urbane, le logiche securitarie, i processi di inclusione sociale e i rapporti con il territorio.

Ciò ha permesso di ripensare la città e le sue dinamiche di ordine e sicurezza, di descrivere la realtà urbana in perenne trasformazione, di analizzare il contributo e le dinamiche attivate dalle risorse provenienti da coloro che compongono la rete degli attori della comunità e di approfondire la conoscenza dei fenomeni sociali e della marginalità.

In occasione di questo seminario sono stati svolti, nella prima sessione, una serie di interventi molto interessanti sulle trasformazioni della sicurezza e della città e sulla criminalità dei quartieri.

Proprio in riferimento a quest’ultimo aspetto, particolarmente interessante mi è sembrato l’intervento di Giovanni Sabatino, sociologo e maresciallo dei Carabinieri.

Nella sua esposizione lo studioso conia una nuova teoria che definisce “Intelligence di marciapiede” ovvero intende promuovere un suo tentativo di reinterpretazione sociologica della sua esperienza operativa di carabiniere in alcuni quartieri cittadini.

Egli asserisce che il così detto “criminale” non è un mostro, bensì un soggetto

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razionale che agisce pertanto secondo una propria logica ben definita.

Se il crimine è una produzione sociale allora questo non può essere contenuto attraverso leggi coercitive in ambito securitario.

Il sociologo si mostra contrario alle pene detentive, ovviamente se evitabili, sostenendo l’idea secondo cui il carcere stia diventando sempre più un’università del crimine in cui il detenuto ha la reale possibilità di incrementare ulteriormente le proprie tecniche di delinquenza.

Nella seconda sessione del workshop sono state presentate invece una serie di buone pratiche e di esperienze condotte in tutta Italia a partire da Roma, Venezia e Padova, Palermo e Milano.

Si tratta di interventi che provengono da percorsi interdisciplinari differenti che coinvolgono urbanisti, sociologi e operatori del sociale e che, in qualche modo, sono stati in grado di creare concretamente un collegamento tra le realtà urbane della marginalità, del carcere e delle periferie con enti e servizi sociali preposti sul territorio.

L’auspicio di questa sessione è stata proprio quella, a partire dalle presentazioni delle pratiche esistenti, di facilitare lo scambio di percorsi di crescita responsabile e partecipata ai processi di governance così come a quelli di riqualificazione ambientale ed urbana.

In occasione di questo workshop è stata inoltre presentata dalla mia tutor l’esperienza viareggina di “Araba Fenice” che è stata annoverata tra una delle migliori pratiche esistenti sul territorio nazionale.

La descrizione delle buone pratiche cui ho assistito è stata particolarmente interessante.

Le diverse esperienze portate alla luce mostrano infatti come sul territorio nazionale esistano, seppur in maniera limitata, persone che operano concretamente nel sociale, cercando, nonostante la scarsità di risorse a disposizione, di attivare progetti e percorsi che possano favorire il reinserimento dell’”escluso” nella società.

Accanto all’esperienza di “Araba Fenice” per esempio, una delle buone pratiche che maggiormente si avvicina a quella viareggina è stata quella condotta a Novate Milanese.

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Il Progetto A.R.I.A., come ha spiegato il responsabile Marcello Balestrieri, ha come obiettivo principale quello di favorire l’inclusione sociale dei giovani che provengono da percorsi di detenzione, tramite l’accesso alle misure alternative al carcere, con azioni concrete per creare sicurezza sociale e solidarietà anche su un tema complesso come quello del carcere.

L’intervento prevede la ristrutturazione di un appartamento, svolta da alcuni giovani in misura alternativa di detenzione che svolgeranno i lavori con una funzione formativa; si tratta di un percorso didattico finalizzato all’apprendimento e alla responsabilizzazione del detenuto.357

Tale azione oltre ad offrire importanti opportunità di reinserimento sociale assume un importante valore simbolico di giustizia riparativa e di sensibilizzazione alla comunità locale: in un’ottica restituiva i condannati rimettono alla comunità offesa (vittima) un bene riparato.

Il Progetto prevede inoltre l’utilizzo di un secondo appartamento che sarà messo a disposizione di altri giovani in misura alternativa.

Seppur con linee guida differenti, anche l’associazione “Araba Fenice” opera nel versante della giustizia riparativa e restituiva promuovendo un reinserimento non solo lavorativo, ma anche sociale e comunitario dei giovani detenuti verso la riscoperta di un nuovo senso civico.

In definitiva anche la Biennale dello Spazio Pubblico ha rappresentato un ulteriore bagaglio culturale che ha permesso di incrementare e arricchire ulteriormente il mio percorso formativo.

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