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Sulla base delle riflessioni appena esposte è possibile tentare di strutturare le modalità di lavoro attraverso cui opera la ONLUS.

Dal momento che il soggetto escluso, rispetto al quale siamo chiamati a rapportarci, occupa luoghi e spazi fisici e mentali che sono fuori dal contesto sociale dominante, è necessario favorire il suo ingresso all’interno delle società attraverso il coinvolgimento nelle attività previste dall’associazione.

Per poter concepire il soggetto escluso come un individuo attivo e presente nel tessuto sociale, è necessario operare un rovesciamento delle impostazioni valoriali del sistema stesso.

Questo comporta la necessità di realizzare un lavoro sinergico tra tutti i servizi predisposti sul territorio per poter costruire un percorso comunitario inclusivo ed efficace.

Per fare ciò è inoltre necessario un ripensamento del “target” attorno al quale impostare il lavoro; è cioè indispensabile partire dal margine della società e operare concretamente laddove vi sia il rischio che l’emarginato diventi escluso per poter prevenire che ciò avvenga.

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marginalità e il centro del sistema ed è proprio all’interno di questa dimensione che è possibile operare questo ribaltamento valoriale a favore del mondo dell’esclusione prima che quest’ultima si verifichi.

Già in passato l’associazione ha dimostrato di saper lavorare concretamente proprio negli interstizi della marginalità, cercando favorire un ricongiungimento uomo-ambiente attraverso le attività di riqualificazione ambientale di aree verdi e degradate.

Tutt’ora la ONLUS persegue questo intento anche con i ragazzi detenuti.

Nell’esperienza del laboratorio di “autoprogettazione” che ho avuto modo di osservare personalmente, le persone “escluse” vengono inserite in un contesto di relazioni costruttive in cui si valorizza la persona al di là del ruolo o dello status sociale di appartenenza.

La persona deve sentirsi inserita in un contesto di accoglienza e non di rifiuto, in un ambiente aperto e non giudicante; in questo modo sarà in grado di dare il meglio di sé mettendosi al servizio degli altri e della comunità in un clima di collaborazione e cooperazione.

Le dinamiche che si instaurano all’interno dell’équipe di lavoro offrono una nuova interpretazione dei fenomeni sociali che permette di avviare una costruzione dal basso, che dai margini della società si rivolge verso l’interno del sistema.

L’obiettivo principale di questa impostazione di lavoro diventa quella di rendere la persona protagonista del suo agire e di permettere all’individuo la possibilità di vivere questa esperienza nella maniera più dinamica possibile insieme a coloro che hanno avuto dei vissuti simili.

La condivisione delle proprie esperienze rappresenta un modo per creare sinergie e ottimi gruppi di lavoro che si impegnano costantemente nell’assolvimento delle proprie mansioni.

Io personalmente ho svolto attività di tutoraggio e di monitoraggio dei ragazzi detenuti che vengono presso la nostra associazione e ho notato come i diversi gruppi di lavoro, con il passare del tempo, siano diventati sempre più affiatati e efficienti nello svolgimento delle loro mansioni.

Il lavoro viene svolto con impegno e costanza e i ragazzi sono riusciti a creare, entro le attività loro assegnate, un clima di lavoro ottimale, basato sulla fiducia

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reciproca e il rispetto, valori che sono stati progressivamente acquisiti da parte di tutti anche se con qualche difficoltà.

La formazione dei gruppi di lavoro non è stata del tutto casuale ma è stata pensata in modo tale che le coppie di ragazzi potessero apprendere reciprocamente qualcosa dall’altro.

In altri termini abbiamo cercato di creare una complementarietà tra le coppie sia per poter sfruttare le capacità e le competenze di cui il singolo è dotato, sia per far sì che le “carenze” di uno potessero essere colmate dalle abilità dell’altro e viceversa.

In questo modo abbiamo cercato di stimolare e favorire la costruzione di un rapporto di confronto e di apprendimento reciproco tra i ragazzi che si è posto in essere solo dopo aver raggiunto un certo grado di fiducia nel prossimo.

Inizialmente non sono mancati i conflitti e i contrasti tra i diversi gruppi di lavoro, probabilmente generati dalla sussistenza di modelli valoriali, caratteriali e culturali dei diversi componenti, molto distanti gli uni dagli altri.

Ricostruendo le storie di vita dei diversi ragazzi infatti abbiamo osservato che, nonostante tutti avessero condiviso un’esperienza di incarcerazione più o meno lunga, ognuno di questi possedeva una storia pregressa caratterizzata da origini, provenienze diverse e di riflesso anche da modelli culturali, valoriali e caratteriali molto differenti fra loro.

Per poter gestire creativamente questi conflitti, abbiamo deciso di svolgere ogni mattina, a inizio lavoro, delle riunioni di équipe finalizzate a pianificare le attività previste per quello stesso giorno, in modo tale che potessero essere accolte positivamente da tutti.

Questa soluzione ha permesso, in un ambiente protetto, di generare un clima di lavoro più sereno e collaborativo e ha offerto ai ragazzi la possibilità di comprendere il reale significato di impegnarsi e lavorare a stretto contatto con il prossimo nell’ottica di un servizio preposto alla comunità.

L'associazione ha adottato una modalità di lavoro basata sull'autopromozione dei soggetti partecipanti.

I gruppi di lavoro hanno maturato al proprio interno le dinamiche del “progettare insieme” e i loro componenti si sentono protagonisti del “costruire insieme”: la rielaborazione dei sentimenti negativi ha permesso di incanalare rabbia e frustrazione

176 in percorsi costruttivi e non distruttivi.

Un ultimo aspetto, non meno significativo, che rientra a pieno titolo nella riflessione sulla metodologia di lavoro, riguarda proprio il rapporto generato dai gruppi di lavoro con lo spazio circostante.

Con spazio si intende il luogo in cui i ragazzi sono chiamati ad operare attraverso le opere di riqualificazione ambientale delle aree degradate e dei parchi.

Tuttavia lo spazio assume qui un significato superiore, ancora più rilevante nel momento in cui questo diventa di “proprietà” del gruppo di volontari; questi ultimi infatti, si sentono protagonisti in prima persona del loro agire nel momento in cui intervengono attivamente in quello spazio, modificandolo e strutturandolo a loro piacimento.

Questo modo di vivere il rapporto di relazione persona-ambiente risulta fondativo del metodo portato avanti da Araba Fenice in 10 anni di attività.

Le aree verdi degradate che vanno a riqualificare attraverso il loro lavoro non sono articolate in maniera rigorosa, non ci sono costruzioni e barriere che vengono imposte dall’esterno, si tratta appunto di un ambiente libero, vuoto, che può essere ri- definito in maniera creativa da chi lo vive in prima persona.

Ed è solo nel momento in cui i ragazzi si sentono co-proprietari di quello spazio che potranno produrre un agire sociale collettivo che sia costruttivo e non distruttivo, affinché produca sinergie e favorisca l’instaurarsi un clima collaborativo.

Lo spazio pertanto non si costituisce solo di elementi fisici, ma in questo senso ricomprende anche il clima, ovvero l’aria di socialità prodotta dai ragazzi stessi e che tutti noi respiriamo.