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Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, il carcere non è sempre esistito. Più precisamente la storia degli Istituti di pena come modalità punitive è relativamente recente e ha a che fare con il mondo della modernità giuridica.

Ciò non significa che in passato non esistessero luoghi di reclusione, ma solo che questi avevano scopi differenti dalla mera punizione del condannato prevista invece ai giorni nostri per un periodo di tempo più o meno lungo, commisurato all’entità del reato commesso.235

Il carcere come luogo di “nascondimento” per esempio, risale ai tempi dell’antica Roma, in cui il suo utilizzo era principalmente sotteso all’esigenza di mantenere in custodia i soggetti condannati all’esecuzione capitale.

Secondo i giuristi romani di diritto penale infatti, il carcere doveva essere riservato esclusivamente a quella che oggi verrebbe definita “custodia cautelare” e non avrebbe dovuto essere mai utilizzato come una mera punizione.236

Nell’antica Roma agli Istituti di pena veniva riservato un ruolo marginale poiché era radicata l’idea secondo cui l’interesse comune principale dovesse essere la vendetta, che esigeva primariamente la composizione in natura o in denaro e solo in secondo luogo, soprattutto nei casi più gravi, la morte del reo, la sua schiavitù o l’esilio.

235 MANCONI L., ANASTASIA S., CALDERONE V., RESTA F., Abolire il carcere, Chiarelettere

Editore, Milano, 2015, pag. 14.

236 Citazione di Ulpiano, giureconsulto romano il cui pensiero viene ripreso anche da Bartolo da

Sassoferrato nel XIV secolo all’interno del “Tractatus de carceribus” secondo cui il carcere è il

“locus securus et horribilis, repertus non ad poenam, sed ad delinquentium, vel debitorum custodiam” (Il carcere è un luogo sicuro e orribile, previsto non per la punizione ma per la

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Seppur non frequentemente dunque, l’utilizzo di questi luoghi era riservato a pochi soggetti, i quali rimanevano confinati, per un periodo limitato di tempo, all’interno di un “recinto”237 come quello che a Roma era ubicato sotto il

Campidoglio: il Carcere Mamertino.238

Le descrizioni del luogo e delle relazioni che si instauravano tra il condannato ed il carnefice, rivelavano una brutalità ed una violenza tale da non presupporre alcuno spiraglio di libertà per il soggetto recluso, il cui destino era obbligatoriamente legato alla sua morte.

Dagli scavi condotti al carcere Mamertino sono venuti alla luce solo due ambienti sovrapposti fra loro: le latumiae e il tullianum: il primo termine deriverebbe dalle Latomie di Siracusa che erano delle cave in cui erano custoditi i criminali; il tullianum invece, deriverebbe dal latino “tullus” che significa “polla d’acqua”.

Il primo ambiente serviva per la detenzione a scopo preventivo, in cui il detenuto era recluso in attesa della sentenza di condanna (o in rari casi di proscioglimento), nel secondo spazio invece venivano eseguite le condanne capitali oppure il reo veniva abbandonato e moriva di stenti.239

Secondo gli studi di Ulpiano, anche in epoca Medievale la pena veniva raramente scontata in carcere e anche le conclusioni di Rusche e Kirkheimer,240 mettono in evidenza come almeno nel primo Medioevo non fosse lasciato molto spazio per un sistema punitivo da parte dello Stato.

La rigida gerarchia sociale delle istituzioni feudali infatti riservava pochi momenti di conflittualità: o si obbediva al proprio signore, conformandosi agli obblighi da lui previsti, oppure ci si allontanava alla ricerca di maggior fortuna.

237 Etimologicamente la parola “carcere” deriva dal latino “carcer” il cui significato letterale è

appunto recinto. Altra interpretazione invece fa derivare il termine dall’etimo ebraico “carcar” che significa tumulare, sotterrare.

238 Il carcere Mamertino (Mamertinum) o di San Pietro è stato il primo vero e, per lungo tempo, unico

carcere a Roma, voluto, secondo le testimonianze di Tito Livio, dal quarto re di Roma Anco Marzio.

239 VIVIANI E., Energie ribelli. Un percorso teorico-pratico per una sociologia del cittadino: ovvero

la ricerca di un “linguaggio comune”, Edizioni ETS, Pisa, 2015, pag. 59.

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L’emergere di un primo interesse pubblico nei confronti delle modalità punitive si risolveva semplicemente nella trasformazione degli indennizzi pagati privatamente dal reo alla vittima.241

All’interno delle città medievali dunque, nessun individuo poteva sfuggire al controllo delle istituzioni che in quel periodo erano rappresentate sia dal potere feudale che da quello inquisitorio della Chiesa.

Quest’ultima adottava un sistema disciplinare che ruotava attorno all’assoluzione del peccato attraverso la confessione ed esercitava un potere sia carcerario che inquisitorio: di concessione di grazia o di esecuzione delle pene capitali.242

Anche se questo equilibrio iniziale cominciò a vacillare in seguito all’accentramento dei poteri verificatosi nel tardo Medioevo, si può comunque osservare come in quest’epoca il carcere, anche dato il suo scarso utilizzo, non veniva ancora percepito come luogo principale di esecuzione delle pene.

È solo con l’inizio dell’Età Moderna che la situazione comincia a modificarsi, soprattutto a seguito di una serie di fenomeni sociali analizzati dettagliatamente da Rusche e Kirkheimer nella loro opera.

Si abbandonano il risarcimento privato e le pene pecuniarie e, al posto delle punizioni corporali inflitte al condannato, si opta per la soluzione detentiva che consente, alla stregua dei principi illuministici, una maggior precisione nella corrispondenza fra reato e pena mediante l’introduzione delle prime forme di correzione e rieducazione del reo.243

241 PARENTE A., La chiesa in carcere, Ufficio Studi Dipartimento Amministrazione Penitenziaria -

Ministero della giustizia, Roma, 2007, pag. 50.

242 PAONE S., La città che esclude, in VIVIANI E., op. cit., pag 60.

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