DELLA CORTE EDU E NUOVI SPUNTI DEL COMITATO EUROPEO DEI DIRITTI SOCIALI.
3. Ancora sull’effettività: l’orientamento del Comitato
Europeo dei diritti sociali e il parallelismo con la giurisprudenza della Corte EDU.
Si è visto come, in conformità anche a quanto stabilito dai giudici di Lussemburgo nel caso Grogan, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, abbia rintracciato nell’effettivo accesso al servizio legale di IVG, la soluzione possibile di tenuta, anche per sistemi normativi fortemente restrittivi. Incentrato sul rispetto dell’art. 8 CEDU, questo modus operandi della Corte pare aver acquistato una certa stabilità.
Ora, come già constatato per le Corti nazionali, i temi eticamente e scientificamente controversi, danno luogo a una qualche forma di contaminazione reciproca. Se si guarda poi, alla giurisprudenza delle Corti EDU e di Giustizia e all’orientamento del Comitato Europeo dei diritti sociali, emerge come una qualche forma di interferenza sia riscontrabile anche a livello sovranazionale, seppure tra organi con funzioni diverse.
Come si è analizzato nel capitolo II, il Comitato Europeo dei diritti sociali si è pronunciato due volte sull’effettiva applicazione della legge n. 194/1978 nel sistema italiano, in
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occasione di due reclami collettivi, IPPF EN contro Italia (n. 87/2012)e CGIL c. Italia (n.91/2013). Senza ripercorrere quanto già rilevato, va premesso che le richieste dei ricorrenti, anche nel secondo reclamo, in cui si sono fatte valere - per la prima volta - le lesioni dei diritti dei lavoratori non obiettori, non mirino a contestare la scelta dell’ordinamento di tutelare la libertà di coscienza del personale sanitario; si propongono semmai di sottolineare, come l’esercizio massiccio dell’obiezione da parte di tale categoria di soggetti, si traduca in un pericolo per la salute delle gestanti e in una discriminazione tanto per le donne, quanto per il personale sanitario non obiettore. Ora, il Comitato, prima di rilevare tutta una serie di violazioni della Carta Sociale Europea130 riprende nel ricorso CGIL c. Italia, quanto già affermato inIPPF EN, e cioè che l’attuazione della Carta richiede agli Stati aderenti di porre in essere misure operative tali da dare piena attuazione ai diritti in essa contenuti. E ancora: “la fornitura dei servizi d’interruzione di gravidanza deve essere organizzata in modo tale da garantire che siano soddisfatte le necessità delle pazienti che desiderano avere accesso a questi servizi. Ciò significa, che devono essere adottate misure adeguate per garantire la disponibilità di medici e di personale paramedico non-obiettore quando e ove si richiede loro di fornire servizi d’interruzione di gravidanza, considerando il fatto che il numero ed i tempi delle richieste di aborto non possono essere previsti in anticipo”. Il CEDS ricorda anche quanto sostenuto dal Comitato
130 Si ricordi che nel ricorso CGIL c. Italia, il CEDS ha ritenuto violati: l’art.
11, diritto alla salute, da solo o combinato con l’Articolo E, divieto di discriminazione; art. 1, diritto al lavoro; art. 2, diritto ad eque condizioni di lavoro; art. 3, diritto alla sicurezza e all’igiene sul lavoro; art. 26, diritto alla dignità sul lavoro, singolarmente o in combinato disposto all’Articolo E, divieto di discriminazione.
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Nazionale per la Bioetica, e cioè che la tutela anche se prevista per legge, dell’obiezione di coscienza, non dovrebbe comunque limitare o ostacolare l’esercizio dei diritti garantiti per legge. Nelle argomentazioni del CEDS, non si nasconde però, un invito allo Stato italiano a ripensare la possibilità di obiezione di coscienza del personale sanitario; il Comitato infatti, riconosce che l’art. 9, comma 4 delle legge n.194 realizza un giusto bilanciamento tra il dovere delle strutture preposte di garantire alle donne, in “ogni caso”, il servizio di IVG, e il diritto del personale medico sanitario a esercitare l’obiezione di coscienza. Il Comitato allora, esorta lo Stato italiano a porre in essere misure che rendano concreto ed effettivo l’accesso al servizio di IVG, al fine di evitare le conseguenti violazioni della Carta sociale; tale invito non sembra così diverso da quanto chiede la Corte EDU alle Alte Parti contraenti, e cioè una “garanzia procedurale”131 del diritto all’interruzione di gravidanza. Quello tra gli organismi sovranazionali, sembra proprio essere un processo di contaminazione e reciproca influenza, che si spera muova anche in altre direzioni oltre che in quella dell’effettività del diritto. In entrambi i ricorsi infatti, il CEDS ha rilevato come lo stato di gravidanza o il sesso, il luogo di residenza e la condizione socio economica, possano integrare gli indici di una discriminazione aggravata per alcune gestanti. Potrebbe essere lo stimolo giusto allora, per la Corte di Strasburgo, per iniziare a leggere la
131 Per un approfondimento si veda L. BUSATTA, Diritti individuali e
intervento pubblico nell’interruzione volontaria di gravidanza: percorsi e soluzioni per la gestione del dibattito in una prospettiva comparata, in M. D’AMICO, B. LIBERALI (a cura di), Procreazione medicalmente assistita e interruzione volontaria della gravidanza: problematiche applicative e prospettive future, cit., p. 151 ss.
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casistica in materia di interruzione della gravidanza anche alla luce dell’art. 14 CEDU.
Ora, se la portata delle decisioni della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, è nota, è opportuno chiedersi che valore abbiano invece, i “moniti” del CEDS.
In particolare, il Comitato europeo per i diritti sociali- composto da quindici esperti eletti dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa- nasce per vigilare sul rispetto e per favorire la realizzazione, da parte degli Stati contraenti, dei diritti riconosciuti dalla Carta sociale europea e dalla Carta sociale europea riveduta. Tale funzione di controllo prevede due tipi di attività: una di recepimento dei ricorsi (dal 1995 anche sotto forma di reclami collettivi), e una di raccolta e valutazione dei rapporti annuali che gli Stati contraenti sono impegnati a fornire. Le decisioni del CEDS sui rapporti degli Stati, denominate “conclusioni”, sono pubblicate annualmente. Le decisioni in merito ai reclami collettivi, che rilevino violazioni della Carta Sociale, confluiscono invece in un rapporto del CEDS, inviato al Comitato dei Ministri. Emerge quindi, come la funzione del CEDS, sia più di natura politica che giurisdizionale. E’ chiaro allora, che le sue decisioni nell’ordinamento interno, abbiano una incidenza nettamente inferiore rispetto alle sentenze della Corte di Strasburgo. E questo anche laddove esse confluiscano in una risoluzione o raccomandazione da parte del Comitato dei
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Ministri, seppure in tal caso tale misura diventi politicamente più significativa132.
Ciò non toglie che, guardando all’ordinamento dal punto di vista interno, l’accertamento delle violazioni della Carta, come verificatosi nelle due decisioni in merito alla legge n.194/1978, corrisponde a un mancato rispetto degli obblighi, assunti dall’Italia in sede internazionale, e si configura pertanto come una lesione dell’art. 117, primo comma, Cost.133
4. Whole Woman’s Health v. Hellerstedt: se l’effettività