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Il problema dell’obiezione di coscienza in altri ordinamenti: il caso Doogan e Wood nel Regno Unito.

OSTRUZIONISMO LEGALE?

2. L’art 9 nella giurisprudenza penale e amministrativa: un’interpretazione restrittiva.

2.2 Il problema dell’obiezione di coscienza in altri ordinamenti: il caso Doogan e Wood nel Regno Unito.

Un’analisi che miri ad isolare le anomalie di una legge e della sua applicazione, e a superarle laddove possibile, non può prescindere da uno sguardo all’esperienza di altri ordinamenti. Così come in Italia, intorno all’obiezione di coscienza si è aperto un dibattito giurisprudenziale, lo stesso è accaduto nel Regno Unito.

L’Abortion Act viene introdotto nel 1967, nel tentativo di rispondere ad esigenze diverse: quella di giustizia sociale delle donne appartenenti ai ceti medio-bassi, sulle quali gravava maggiormente il rischio di reato d’aborto56 e quella delle associazioni professionali, in particolar modo quella medica, che voleva escludere la responsabilità penale per gli aborti terapeutici 57 . Tutelare i reproductive rights e l’autodeterminazione della donna non era il primo obiettivo di Westminster; anzi, l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza viene subordinato all’esistenza di condizioni cliniche tassative58. Spetta a due medici accertarne la fondatezza e

56 Il reato di aborto era contemplato agli art. 58 e 59 dell’Offences against

the Person Act, del 1861, ancora in vigore ad oggi in Irlanda.

57 In quegli anni si diffondevano le prime ricerche scientifiche sulle gravi

malformazioni, causate al feto, dalla rosolia e dalle terapie a base di talidomide in gravidanza. I medici volevano scongiurare di essere incriminati per aborto terapeutico.

58 A seguito poi dell’entrata in vigore nel 1990 dello Human Fertilisation

and Embriology Act l’aborto è consentito entro le ventiquattro settimane in quattro ipotesi, laddove dalla prosecuzione della gravidanza possa derivare: 1) rischio per la vita della gestante 2) rischio per la salute fisica e psichica della gestante o dei figli che ha già 3) rischio di un danno grave e permanente per la salute fisica e psichica della donna 4) rischio di gravi malformazioni fisiche e mentali del feto da cui possa derivare una grave disabilità.

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valutare, se e quanto, la richiesta della donna sia influenzata dal contesto e dall’ambiente in cui vive. Le somiglianze con il modello italiano sono innegabili: il proposito di risolvere l’emergenza dell’aborto clandestino, la natura di extrema ratio dell’IVG, la centralità della consulenza, l’affidamento della procedura abortiva al personale sanitario del National Health Service (NHS)59, la possibilità per quest’ultimo di astenersi dall’intervento avvalendosi di una clausola di coscienza60. Su tale permesso la Corte Suprema è intervenuta in più occasioni, escludendo il personale amministrativo delle strutture sanitarie dagli aventi diritto all’esercizio dell’obiezione di coscienza61. Nonostante ad oggi in Gran Bretagna, l’obiezione di coscienza del personale sanitario non rappresenti un problema di dimensioni consistenti, essendo obiettore solo il 10% degli aventi diritto, i giudici della Corte suprema, con la sentenza Greater Glasgow Health Board v Doogan, emessa nel 2014, hanno riaffermato la lettura restrittiva dell’art. 4 dell’Abortion Act. Il caso in esame vede coinvolte due ostetriche del NHS, entrambe cattoliche praticanti e obiettrici, assunte dall’ospedale di

59 Anche il sistema sanitario britannico è un sistema sanitario universalistico,

tuttavia la qualità dei servizi offerti non è tra le migliori d’Europa. Per uno

sguardo generale si legga

http://www.lastampa.it/2015/10/20/scienza/benessere/dovete-

sapere/meglio-non-andare-a-curarsi-in-gran-bretagna-ecco-le-falle-del- loro-sistema-sanitario UaCf4VeGoL5zc3VxblTP1J/pagina.html.

60 Tutto il personale sanitario, non solo quello medico, può avvalersi della

clausola di coscienza, ex art. 4, a meno che l’IVG non sia necessaria a prevenire un danno grave e permanente alla salute fisica e mentale della donna, o a salvare la sua vita.

61Infatti il verbo “partecipate” va inteso: “in its ordinary and natural

meaning referred to actually taking part in treatment administred in a hospital or other approved place […] for the purpose of terminating a pregnancy” si veda la pronuncia Janaway, R (on the application of) v Salford Area Health Authority, 1988, UKHL 17.

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Glasgow tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio degli anni Novanta. Per le due donne era sempre stato possibile astenersi da ogni attività inerente alla pratica abortiva ma, con la riorganizzazione del reparto e la nuova suddivisone delle mansioni, si sarebbe registrato un incremento delle IVG con la consequenziale impossibilità per le ostetriche di mantenersi del tutto estranee agli interventi interruttivi. A tale mutamento di condizione, le due donne rispondono prima con un reclamo alla struttura, in cui sostengono che il loro diritto di obiezione di coscienza è tale da includere ogni attività di supervisione e / o sostegno e assistenza alle pazienti durante tutto il processo di interruzione della gravidanza, e successivamente, con l’impugnazione del provvedimento di rigetto della loro istanza da parte dell’ente ospedaliero. E’ l’occasione per la Corte di precisare nuovamente che la lettura del verbo partecipate dell’art. 4 dell’Abortion Act non può essere estensiva. E’ difficile, a detta dei giudici, immaginare che il Parlamento intendesse estendere l’obiezione di coscienza, a quelle attività ancillari e non direttamente indirizzate all’intervento abortivo, scrivono infatti: “Partecipate in my views means taking part in a hands on capacity”, partecipare all’intervento significa “metterci le mani”, prenderne parte attiva. Il contributo della Corte Suprema, simile peraltro a quello della giurisprudenza italiana, rappresenta, in un’ottica pluralista, un bilanciamento ragionevole tra la libertà di coscienza del personale sanitario e l’applicazione della legge.

Assicurarne l’effettività, in questo caso, è funzionale non solo alla generale esigenza di tenuta del sistema normativo, ma soprattutto al diritto di ogni donna di decidere della propria

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maternità nella piena libertà e sicurezza. In tal senso, è rilevante quanto ha stabilito l’Ordine nazionale dei medici e il Royal College of Obstetrician and Gynaecolgist nelle linee guida per l’IVG. Consci delle difficoltà a cui la gestante può andare incontro, non potendo preventivamente sapere se il medico a cui si rivolge è o meno obiettore, laddove lo fosse, egli è tenuto a indirizzare la paziente ad un collega non obiettore. Un protocollo su cui quantomeno sarebbe opportuno riflettere, considerate le peregrinationes, che donne e coppie italiane, spesso sono costrette a compiere alla ricerca di un specialista non obiettore62.

3. Quanti sono gli obiettori? Quando l’obiezione diventa