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VERSO UN NUOVO DIRITTO ALL’ABORTO.

2. Il ruolo del padre del concepito.

Volendo riflettere ora, sul ruolo del padre del concepito, si ricordi che la legge n. 194, cita l’uomo solo all’art.5, laddove prevede la sua eventuale partecipazione, previo consenso della gestante, alla consulenza preliminare, presso il consultorio o il medico di fiducia149. Si tratta di una soluzione, che si allinea alle altre discipline nazionali in materia di interruzione volontaria di gravidanza, non sempre recepita in modo pacifico. Partendo da un esempio molto risalente, si ricordi la vicenda inglese del 1978, che vede coinvolto il cittadino britannico William Paton. Quest’ultimo scopre che sua moglie, non desirando diventare madre, ha deciso di intraprendere una regolare interruzione volontaria di gravidanza, presso il British Pregnancy Advisory

149Si ricordi a tal proposito il tentativo del gruppo democristiano, in sede di

discussione parlamentare, di inserire un emendamento che prevedesse l’obbligo di coinvolgere il padre nella consulenza, laddove “la donna fosse coniugata e convivente e non ostassero gravi ragioni con il marito di lei”. Ancora, il Movimento sociale chiedeva che, laddove la donna non fosse coniugata venisse obbligatoriamente ascoltato il parere di chi ne attestasse la paternità.

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Service. Si rivolge quindi all’autorità giudiziaria, per ottenere un’ingiunzione inibitoria da far valere nei confronti dei responsabili della clinica, affinché venga bloccata la procedura abortiva. Il tribunale risponde prontamente, nel giro di una settimana, respingendo la richiesta dell’uomo e affermando che il marito non gode di alcun diritto, né nel sistema di common law né di equity, tale da impedire la richiesta di aborto della moglie e il conseguente intervento dei medici. Ancora, guardando alla situazione italiana, nel 1988 la Corte Costituzionale, viene adita nel corso di un giudizio civile per risarcimento danni, instaurato da Giovanni Boso, nei confronti della moglie Ornella Bassi. L’uomo si dichiara leso nel suo diritto alla paternità, dalla decisione della moglie di interrompere la gravidanza. Ora, il giudice a quo, solleva questione di legittimità dell’art. 5 della legge n. 194/ 1978, in riferimento agli articoli 29 e 30 della Costituzione. A suo avviso, la norma impugnata nella parte in cui non riconosce rilevanza alla volontà del padre del concepito e marito della donna, violerebbe il principio di uguaglianza dei coniugi, posto alla base del matrimonio dagli art. 29 e 30 Cost150.

La richiesta del giudice non è un unicum, si inserisce in un dibattito dottrinale151, che mira a valorizzare il ruolo del padre

150La preoccupazione dei potenziali padri sembra riguardare esclusivamente

i figli concepiti all’interno del matrimonio. Sul punto, si veda P. VERONESI, Il corpo e la Costituzione. Concretezza dei “casi” e astrattezza della norma, cit., p. 125.

151A favore di un maggior coinvolgimento del padre del concepito, si

leggano le dichiarazioni di Giuliano Amato, in

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1988/06/05/le- critiche-di-amato-sull-aborto-scatenano.html,

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1992/12/27/amat o-rilancia-la-battaglia-contro-aborto.html. Sulla stessa linea, a sostegno

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del concepito nella vicenda abortiva - sulla base dell’uguaglianza tra i coniugi o del dovere di unità familiare - e richiede che l’accesso all’IVG sia subordinato al consenso di entrambi i genitori.

Ora, sorvolando sulla radice fortemente misogina di tali argomentazioni, questo genere di pretese appare, comunque, fortemente criticabile e apre a scenari pericolosi, per due ragioni. Sostenere che il semplice legame matrimoniale, tra donna e padre del concepito, renda in qualche modo la volontà della donna incompleta e valicabile, non potrebbe estendersi oltre i confini della vicenda abortiva, e condurre, in futuro, a non sanzionare penalmente la violenza sessuale, se perpetrata nel matrimonio? E ancora, se invece è il puro stato di gravidanza, a limitare l’autodeterminazione femminile e a rendere necessario l’intervento del padre del concepito, anche se non richiesto, come escludere allora che anche il padre stupratore152, non faccia ipoteticamente valere i suoi diritti sul concepito? Ritorna prepotente, l’astrazione del concepito dal corpo materno. Se il concepito infatti, è una persona, esterna al corpo della gestante ed esposta ai gesti pericolosi di una donna immatura e nemica, il

però, della necessità della partecipazione maschile per la tutela dell’unità matrimoniale, si veda P. NUVOLONE, A. LANZI, Gravidanza (interruzione della), cit., p. 36. In senso contrario R. ROMBOLI, Il consenso del non avente diritto, in Foro italiano, I, 1988, p. 2113 ss., a giudizio del quale “il tema della posizione del marito nel caso di aborto volontario della moglie è stato, come si è detto, strumentalizzato e usato come un grimaldello nel tentativo di scardinare la legge 194”, ancora a sostegno dell’intervento del padre solo su richiesta della donna si veda J. LUTHER, Le vie del padre non sono finite, in Giur. Cost., I, 1988.

152E’ nota la vicenda di Michèle Chevalier, avvenuta in Francia nel 1971.

Rimasta incinta in seguito ad uno stupro, la giovane donna abortì con l’aiuto di sua madre. Le due furono denunciate dallo stupratore, per procurato aborto. Per un approfondimento si veda G. GALEOTTI, Storia dell’aborto, cit., p. 109.

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dovere del padre non può che essere quello di proteggere il proprio figlio. Tutto giustissimo fino a qui, peccato aver dimenticato che la gravidanza «non è una questione di competenze, è una questione di sovranità territoriale. Il corpo delle donne appartiene alle donne, a ciascuna di loro, e non c’è diritto di ingerenza umanitaria che possa violare questa sovranità personale fino a che la creatura che cresce dentro il corpo materno non se ne sia staccata…madre e nascituro sono in un modo altrimenti impensabile, due e tutt’uno. Senza questa ammissione, l’habeas corpus non esiste, se non come diritto dei maschi per i maschi»153.

Ora, va aggiunto comunque, che la Corte Costituzionale ha riconosciuto che il solo e unico corpo coinvolto nella gravidanza è quello femminile. Nel dichiarare, infatti, manifestamente inammissibile la questione sollevata dal giudice remittente nel caso Boso, ha sottolineato come l’assunzione finale di responsabilità nella vicenda abortiva, e questo per scelta politico- legislativa insindacabile, sia stata posta sulla gestante, il che è ragionevole, se si considera “l’incidenza se non esclusiva sicuramente prevalente, dello stato gravidico sulla sua salute sia fisica che psichica”.

Tale orientamento è confermato dai giudici dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo154. Dopo aver esperito tutti i rimedi interni, previsti nel sistema italiano, il ricorrente, infatti, ha richiesto ai giudici di Strasburgo di riconoscere che la legge n. 194/1978 nella misura in cui, non prevede alcuna partecipazione del padre

153A. SOFRI, Contro Giuliano. Noi uomini, le donne e l’aborto, cit., p. 27. 154Corte Europea dei diritti dell’Uomo, Boso c. Italia, ricorso n. 50490/99,

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del concepito, se non eventuale e su consenso della gestante, alla decisione di interrompere la gravidanza, viola gli articoli 2 (diritto alla vita), 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 12 (diritto al matrimonio)155.

La Corte esclude, in primis, che ci sia stata una violazione dell’art. 2 CEDU, essendo l’IVG della signora Bassi avvenuta nel rispetto della legislazione nazionale sull’aborto. In merito poi, alla violazione dell’art. 8 CEDU, laddove impone il rispetto della vita privata e familiare di ciascuno, i giudici ritengono che non possa essere interpretato in modo così ampio, da ricomprendere anche, un diritto del potenziale padre del concepito a essere consultato, in caso di aborto richiesto dalla moglie, ed eventualmente a ricorrere ad un giudice, laddove tale scelta non sia da lui condivisa. Questo inciderebbe sui diritti della donna, che rimane, l’unica persona direttamente e primariamente coinvolta nella gravidanza, e di conseguenza, anche, nella sua prosecuzione o interruzione. Se l’aborto non costituisce quindi, un’interferenza nella vita familiare, allora non vi è alcuna violazione, nemmeno dell’art. 12 CEDU.

Non si intende negare la tragedia privata del partner, che venga escluso dalla decisione della propria compagna o privato di una paternità che desidera fortemente, ma appunto, si tratta di un ambito privato, che appartiene all’uomo ed eventualmente alla coppia, di sicuro non all’ordinamento. Riconoscere una qualche forma di tutela allo stress psichico, in cui potrebbe versare il

155Art. 12 CEDU. Diritto al matrimonio. A partire dall’età minima per

contrarre matrimonio, l’uomo e la donna hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia secondo le leggi nazionali che regolano l’esercizio di tale diritto.

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padre del concepito ex art. 32 Cost., non può in alcun modo condurre a coartare la volontà della gestante, pena la violazione dello stesso art. 32 Cost. - laddove prevede il fondamentale principio del consenso ai trattamenti sanitari - e dell’art. 13 Cost. La soluzione pensata dal legislatore del’ 78, all’articolo 5, si presenta quindi come un bilanciamento equo, tra la volontà della gestante e la paternità potenziale dell’uomo. D’altronde se nella coppia «esiste un rapporto di affetto, di stima reciproca e di confidenza, se cioè la coppia esiste in quanto tale e non come somma di due soggetti, non è immaginabile che una scelta così importante e così drammatica…venga presa dalla donna in solitudine, senza consigliarsi o parlarne»156 al compagno.