OSTRUZIONISMO LEGALE?
4. CGIL c Italia: la decisione del Comitato Europeo dei diritti sociali.
L’obiezione di “massa”68 del personale sanitario, è stata portata all’attenzione del Comitato Europeo dei Diritti Sociali (CEDS), per mezzo di un reclamo collettivo69 della Confederazione Generale Italiana del lavoro. Quest’ultima ritiene che l’esercizio dell’obiezione di coscienza del personale medico e paramedico, ai sensi dell’art.9 della legge n.194/1978, comporti una serie di violazioni delle disposizioni della Carta sociale europea. In particolare, con riferimento ai seguenti articoli:
- Art. 11, diritto alla salute, da solo o combinato con l’Art. E, divieto di discriminazione.
- Art. 1, diritto al lavoro; art. 2, diritto ad eque condizioni di lavoro; art. 3, diritto alla sicurezza e all’igiene sul lavoro; art. 26,
68 L. VIOLA, Obiezione di coscienza di “massa” e diritto amministrativo, in
www.federalismi.it, 2014, 10, http://federalismi.it/nv14/articolo- documento.cfm?artid=24987.
69 Con il protocollo addizionale alla Carta Sociale Europea del 1995 (ETS
N.158, articolo 3), è stata attribuita, alle organizzazioni nazionali e internazionali non governative, la possibilità di far valere violazioni dei diritti tutelati dalla Carta sociale da parte degli stati contraenti, per mezzo di una particolare procedura nota appunto come reclamo collettivo.
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diritto alla dignità sul lavoro; singolarmente o in combinato disposto all’Articolo E, divieto di discriminazione.
Per la prima volta quindi, si fanno valere anche violazioni dei diritti dei lavoratori non obiettori. Due anni prima infatti70, il Comitato si era già occupato della problematica applicazione della legge n. 194, soffermandosi sulle ricadute di tale situazione nella sfera soggettiva delle donne. Con la decisione richiamata, pubblicata in data 11 aprile 2016, il CEDS accoglie il ricorso della Cgil e conferma quanto affermato in precedenza: la massiccia presenza di obiettori nelle strutture pubbliche, ostacola il diritto di accesso di molte gestanti all’IVG, costringendole a lunghe attese, viaggi alla ricerca di un non obiettore o nel peggiore dei casi all’aborto clandestino, come fa sospettare purtroppo l’aumento degli aborti “spontanei”71. Davanti al CEDS, infatti, a seguito della proposizione del reclamo, anche altre organizzazioni hanno offerto le loro osservazioni. Tra queste l’AEID, Associazione italiana per l’educazione demografica, rileva che rispetto al 1980 il numero di aborti spontanei è salito da 50.000 a 73.000. Questo aumento potrebbe nascondere, viste le difficoltà incontrate da alcune gestanti nell’accedere al servizio legale di IVG, un ricorso agli aborti “fai da te”, con un evidente rischio per la salute della donne. Grazie al Web, è diventato più semplice rintracciare e acquistare farmaci
70 Si tratta del reclamo n.87/2014, Internation Planned Parenthood
federation European Network c. Italia (IPPF EN c. Italy).
71 Sull’aumento degli aborti “fai da te” e sull’uso del Cytotec, antiulcera
usato come farmaco abortivo, si veda il servizio realizzato da “Presa diretta” per la Rai, e trasmesso il 17 gennaio 2016. In particolare l’intervista al Professor Bruno Mozzanega, ginecologo e docente presso l'Università di Padova, http://www.presadiretta.rai.it/dl/portali/site/puntata/ContentItem- b40f86c5-99dd-4464-8d4b-36c47c3e3350.html.
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abortivi, o ottenere informazioni su quali farmaci tradizionali utilizzare per procurare un effetto abortivo. Tranne casi limite in cui le emorragie della donna siano tali da non lasciare alcun dubbio72, per il medico che si ritrovi ad assistere la gestante in un aborto spontaneo, stabilire se esso è naturale o indotto non è semplice. Ci troveremmo davanti a un vero e proprio ritorno dell’aborto clandestino sotto una veste nuova, con il tradimento drammatico delle intenzioni del legislatore del ‘7873. Questa realtà non trova nessun tipo di valutazione nella Relazione annuale del Ministero della Salute per l’attuazione della legge n.194. A detta del Governo gli aborti sono in costante diminuzione e il servizio di IVG è comunque uniformemente garantito sul territorio, nonostante l’alta percentuale di obiettori di coscienza. Tali osservazioni, esposte in sede di ricorso non si ritengono sufficienti a confutare le prove della CGIL e delle associazioni intervenute in suo favore, AIED, LAIGA, Associazione Luca Coscioni. Si aggiunga che, le misure adottate dal Governo italiano dal 2014, a seguito del reclamo IPPF EN c. Italy, per colmare le lacune dell’organizzazione sanitaria in materia, non bastano a detta del CEDS, ad assicurare l’accesso all’interruzione di gravidanza, di tutte le donne sull’intero
72 A dimostrazione della diffusione di tale farmaco e dei suoi rischi:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/03/04/aborto-17enne-compra-online- farmaco-per-interrompere-gravidanza-rischia-morire/1475316/.
73 Tale rischio grava ancor più sulle cittadine extracomunitarie. Queste
ultime, presenti in numero maggiore sul territorio italiano rispetto a trent’anni fa, versano di solito nelle condizioni economiche e sociali più problematiche e potrebbero essere le prime vittime del ritorno della clandestinità. Il sospetto aumenta se si guarda ai dati della Relazione annuale del Ministero della giustizia sull’attuazione della legge n.194, prevista ex art. 16 legge n.194. Si osserva infatti che gli di aborti illegali ex art. 18 e 19 delle legge n.194 coinvolgono per il 60,2% cittadini stranieri, pur rappresentando essi solo l’8,3% della popolazione residente in Italia.
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territorio nazionale.74 Il pericolo a cui è esposta la salute delle gestanti persiste, la violazione con riguardo all’art. 11 appare riconfermata, sia da sola che congiuntamente all’ art. E, divieto di discriminazione.
La prima disparità di trattamento si rinviene tra donne e uomini che chiedono l’accesso a un qualsiasi servizio sanitario e donne in stato di gravidanza che richiedano l’IVG, nel senso chesolo queste ultime vanno incontro ad incertezze sul dove, come e quando dell’intervento, la discriminazione è legata quindi allo stato o al genere. Non solo, anche il fattore territoriale ha un certo peso: essendo la percentuale di obiettori di coscienza, alla luce dei dati dello stesso Ministero della Salute, molto più alta al Sud, una gestante meridionale va presumibilmente incontro a un periodo di attesa più lungo rispetto a una settentrionale, a meno che non richieda l’intervento in un’altra regione o in un altro Stato75. Da ultimo, la condizione socio-economica costituisce ulteriore fonte di disparità, posto che è ragionevole immaginare che una donna che viva una condizione economica agiata, non abbia particolari difficoltà ad affrontare un eventuale viaggio per l’intervento o a cercare una soluzione alternativa all’aborto legale, con l’aiuto di medici conniventi.
74 Come misure del Ministero finalizzate a valutare l’effettiva applicazione
della legge n.194 si ricordino in particolare: nel mese di giugno 2013 l’istituzione di un “Tavolo” incaricato di effettuare il monitoraggio del servizio alla luce dell’alta percentuale di obiettori di coscienza; il finanziamento di un corso di formazione per funzionari regionali incaricati di vigilare sulla reale applicazione della legge n.194.
75 L’associazione LAIGA parla in merito di un fenomeno specifico: il
“turismo abortivo”. Le donne sono coinvolte in spostamenti non solo da una Regione all’altra ma anche da uno Stato all’altro. In particolare, le “emigrazioni” andrebbero dall’Italia verso i centri sanitari francesi, svizzeri, inglesi.
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Va contemplata poi, secondo il Comitato, l’eventualità che alcune donne possano incorrere in una discriminazione “multipla”. In generale, si parla di discriminazione “multipla” o “aggravata” ogniqualvolta singoli fattori discriminatori si sovrappongono, determinando un peso significativo su un soggetto che già vive una condizione di fragilità. Laddove la gestante, di per sé in uno stato di vulnerabilità, si ritrovi ad attendere lunghi periodi per accedere all’ IVG per via del suo stesso stato di gravidanza, della zona in cui vive e delle scarse risorse economiche di cui dispone, tale situazione integra una discriminazione aggravata.76
Tuttavia, le donne non sono le uniche soggette discriminate dall’esercizio massiccio dell’obiezione di coscienza del personale sanitario. Secondo l’ istante, e in questo si riscontra il punto innovativo della richiesta, l’applicazione della legge n.194, è affidata infatti al lavoro di pochi specialisti non obiettori. Per
76 Si tratta di una categoria utilizzata spesso dagli organismi internazionali
che promuovono l’uguaglianza sostanziale. La rintracciamo, sempre in materia di IVG, nell’attività del CEDAW, Comitato per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazioni contro le donne. All’esito della sua cinquantesima sessione, nel 2011, il Comitato ha rilevato una violazione degli obblighi internazionali assunti dal Perù, per non aver consentito ad una ragazza minorenne, in condizione di emarginazione sociale ed economica e vittima di violenza sessuale, di interrompere la gravidanza, nonostante il tentativo di suicidio della giovane donna. La legislazione del Perù in materia di IVG è molto restrittiva, l’aborto è considerato un delitto anche in caso di stupro, ammesso solo in caso di pericolo per la vita o per la salute della gestante. La negazione dell’aborto, secondo il CEDAW, integra in tal caso una forma di discriminazione “aggravata” o multipla. I tre elementi, età, sesso, e povertà della gestante, che disgiunti tra loro, possono da soli essere causa di discriminazione, si cumulano originando un ulteriore gravame su un soggetto che già di per sé versa in una condizione di vulnerabilità. Nello specifico, a detta del Comitato, la concorrenza dei tre fattori ha dato luogo a una discriminazione “significativamente superiore” (anche se non diversa) rispetto a quella in cui sarebbe andata incontro una donna adulta nel tentativo di accedere all’interruzione volontaria di gravidanza o un minorenne maschio che richiedesse un’operazione.
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questi soggetti, garantire un trattamento medico previsto dalla legge comporta notevoli svantaggi professionali: effettuare le IVG spesso da soli senza il sostegno di altro personale sanitario, focalizzare la propria attività sugli aborti senza poter effettuare altre procedure per le quali sono stati formati con conseguente rallentamento sulle possibilità di avanzamento di carriera, carico di lavoro sproporzionato, frequenti spostamenti in altri punti della Regione, conformemente a quella mobilità del personale sanitario prevista dall’art.977. Il Comitato, alla luce del vasto materiale probatorio fornito dalla CGIL e dell’insufficiente confutazione del Governo italiano, ritiene che sia possibile rilevare una disparità di trattamento tra medici obiettori e non obiettori.
Se infatti, una discriminazione si rinviene ogni qualvolta c’è una differenza nel trattamento di persone che versino in situazioni analoghe e comparabili, si ritiene che la posizione di specialisti obiettori e non, sia omogenea; pertanto le maggiori difficoltà incontrate nello svolgimento di un trattamento sanitario garantito
77 Si riportano qui le testimonianze rese da medici non obiettori a LAIGA,
intervenuta come parte terza nell’istanza IPPF EN c. Italia, e pubblicate in “ Note sull’applicazione della legge 194/1978 in Italia”, utilizzate dalla CGIL a supporto delle proprie argomentazioni: “Per l’applicazione della Legge 194, i ginecologi non-obiettori sono spesso gli unici a dover svolgere molteplici mansioni ed attività, tra cui a volte quelle di anestesisti, assistenti e di altro personale che ha sollevato obiezione di coscienza "; "Non è raro che durante un intervento, se l'assistente non è presente, è il medico stesso a dover porre il paziente sul tavolo operatorio, o se l'anestesista è assente, il ginecologo non obiettore procede ugualmente senza il suo aiuto, sottoponendosi pertanto ad un notevole stress supplementare ed assumendosi una notevole responsabilità. "; "Quasi subito tutti hanno sollevato obiezione di coscienza. Eravamo rimasti solo in due non obiettori, senza anestesista e pertanto il carico di lavoro crebbe a dismisura ed in modo sproporzionato. Non potevo andare ai convegni, non potevo avere tempo libero o fare altro: ero solo, l’unico a praticare interruzioni di gravidanza. Sono andato avanti per anni – senza di me il servizio sarebbe stato chiuso – ma ora sento che si tratta di un onere insostenibile".
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dai non obiettori, costituisce una discriminazione per cui non esiste giustificazione ragionevole e oggettiva. Si considera violato l’art. 1 della Carta Sociale europea, tale disposizione tutela il diritto del lavoratore a guadagnarsi la vita per mezzo di un’attività liberamente intrapresa, a tal fine in capo agli Stati, sorge l’obbligazione positiva di eliminare ogni forma di discriminazione tra lavoratori (art. 1, parte II, par. 2). Non solo, lo Stato italiano, a detta del Comitato, non ha rispettato un ulteriore obbligo: porre in essere misure preventive, di formazione o sensibilizzazione, mirate a proteggere il personale non obiettore da molestie morali, laddove esse siano probabili, quali possono essere il carico di lavoro eccessivo o l’impossibilità di avanzamento di carriera. Per tale motivo, si ritiene violato l’art. 26 che afferma la dignità di tutti i lavoratori. Il dibattito sull’interruzione volontaria di gravidanza è destinato quindi ad ampliarsi. Non si tratta più di occuparsi della dignità del concepito, della salute e dell’autodeterminazione della donna, o almeno non solo; ci si interroga sul quomodo di tali bilanciamenti, sulla natura pubblica del servizio di interruzione volontaria di gravidanza, sugli oneri legati alla professione sanitaria. Sembra doverosa quindi, una riflessione che miri a valorizzare e a dare il giusto peso a ciascuna nuova e vecchia voce coinvolta nella vicenda abortiva.