• Non ci sono risultati.

I limiti del bilanciamento in materia di interruzione volontaria di gravidanza.

VERSO UN NUOVO DIRITTO ALL’ABORTO.

1. I limiti del bilanciamento in materia di interruzione volontaria di gravidanza.

Dallo studio delle normative nazionali, emerge come la tendenza dei legislatori, sia stata quella di disciplinare l’interruzione volontaria di gravidanza avvalendosi della tecnica del bilanciamento. Se è vero, che tale strumento viene in aiuto dei giuristi ogni qualvolta c’è un conflitto tra diritti, ciò significa che, allora, anche nella vicenda abortiva devono essere state isolate due o più 140 situazioni meritevoli di tutela in posizione avversariale. Nello specifico: il diritto della gestante, declinato a seconda della natura impositiva o permissiva del sistema legislativo di riferimento, come diritto alla vita o alla salute fisica e pschica, o ancora alla privacy, e il diritto alla vita del concepito141.

In qualche modo quindi, il prodotto del concepimento viene estraniato dal corpo materno142 e considerato un soggetto

140 Esistono in dottrina pareri autorevoli, che rilevano nella vicenda abortiva,

una molteplicità di diritti. Norberto Bobbio ad esempio, ha sostenuto che nell’aborto confluiscano tre diritti diversi: il diritto fondamentale alla nascita del concepito, il diritto della donna a non essere sacrificata nella cura di figli che non vuole e il diritto delle società a non essere super popolate. Sul punto si veda G. NASCIMBENI, Intervista a Norberto Bobbio sull’aborto, in A. SOFRI, Contro Giuliano. Noi uomini, le donne e l’aborto, Palermo, 2008.

141 A sostegno invece del modello di conflitto di diritti nella vicenda abortiva,

si veda J.J. THOMPSON, Una difesa dell’aborto, in G. FERRANTI, S. MAFFETTONE (a cura di), Introduzione alla bioetica, Napoli, 1992.

142 In questo hanno sicuramente influito, seppure non in modo esclusivo, le

nuove tecniche di monitoraggio della gestazione che rendono il processo fisiologico di formazione e crescita del concepito, reale e visibile, seppure

113

autonomo, i cui diritti possono essere sacrificati solo in casi tassativi. Ora, questa visione e la soluzione del bilanciamento, hanno sicuramente il merito di aver permesso la depenalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza, assicurando, seppure con i limiti di effettività finora visti, un aborto sicuro alle donne che lo richiedano. Tuttavia, a parere di chi scrive, tale prospettiva, trascura un aspetto fondamentale, e cioè che tale conflitto non si gioca in un campo neutrale, ma nel corpo della gestante. Non si vuole con questa affermazione, sostenere la prevalenza quindi degli interessi della donna su quelli del concepito, ma sottolineare come, la prospettiva tradizionale abbia dimenticato che i soggetti coinvolti non vivono in due dimensioni distinte, ma coesistono all’interno di una relazione speciale: lo stato di gravidanza. Questa evidenza, porta a riflettere, inevitabilmente, sulla qualificazione dell’embrione come “persona”. Risulta difficile, infatti, pensare che possa essere individuata come vita personale, quella di un essere che sta dentro il corpo di un altro essere umano, dal quale dipende per il suo sostentamento e la sua graduale formazione. Forse sarebbe più opportuno allora, pensare al concepito come a una possibilità di vita, dotata di unicità biologica, la cui personalità passa inevitabilmente dall’accoglienza materna. E’ l’ospitalità consapevole della madre che eleva allora il concepito da entità biologica a persona, in quanto tale portatore di diritti. Ora, questa riflessione mira a mettere in discussione la costruzione della vicenda abortiva come conflitto di diritti tra gestante e concepito, e la conseguente soluzione individuata nel

mediato dal sapere medico. Sulla nuova dimensione pubblica dell’aborto, si rimanda al Capitolo I, paragrafo 3.

114

bilanciamento, sfociato nel caso specifico dell’ordinamento italiano, nella costruzione di un diritto all’aborto come extrema ratio. Non vuole però essere indifferente nei confronti dell’embrione o del feto, la cui natura umana, seppure non personale, è innegabile. Alla luce di questo, sembra condivisibile invece, la concezione gradualistica della vita del concepito, accolta dalle normative nazionali. Tale idea, infatti, «è coerente con una corretta concezione del processo riproduttivo; conferma il vissuto soggettivo della gravidanza, nel quale la scansione temporale ha sempre rivestito una grande importanza; salvaguardando la libertà e l’autonomia personale delle singole donne, senza negare il valore della vita fetale»143.

1.1 Il paradossale caso Vo c. Francia.

La tendenza, di legislatori e giudici, a trascurare la dimensione dell’accoglienza materna, non ha coinvolto, purtroppo, solo l’aborto volontario; nello specifico, si pensa alla sfortunata vicenda della Signora Vo144 . In una sala d’attesa di un ambulatorio ginecologico francese, pubblico, tra le tante donne ce ne sono due di origini vietnamita dal nome molto simile; una si chiama Thi-Nho Vo e l’altra Thi Thanh Van Vo. Ora, le due donne non versano nella stessa situazione clinica, sono rispettivamente una gestante al sesto mese di gravidanza e una donna, in età fertile, che richiede la rimozione dell’aspirale. Quando lo specialista, il Dottor G., pronuncia maldestramente il nome di quest’ultima, la gestante ritiene che sia il suo turno, si

143C. MANCINA, Oltre il femminismo. Le donne nella società pluralista,

Bologna, 2002, p. 101.

144Corte Europea dei diritti dell’Uomo, Vo c. Francia, ricorso n 53924/00,

115

reca quindi nella stanza del ginecologo e qui, non si sa bene come, il medico non si accorge dello stato di gravidanza avanzato della donna e le pratica una rimozione dell’aspirale, causandole la rottura delle acque. Ricoverata, la signora Vo è costretta ad abortire un feto sano di sei mesi, di sesso femminile. Dopo un iter giudiziario ondivago145, la Cassazione francese rigetta l’azione proposta dalla signora Vo di omicidio colposo, sul presupposto che il feto non potendo condurre vita autonoma, non è da considerarsi persona, di conseguenza le norme dell’omicidio non sono applicabili.

La donna ricorre quindi alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, lamentando che l’assenza, nella legislazione francese, di una norma penale, che prevenga e punisca condotte come quelle del dottor G., viola l’art. 2 della CEDU146, nella misura in cui esso tutela il diritto alla vita. I giudici di Strasburgo rigettano la richiesta della ricorrente stabilendo che, l’azione di danno in sede

145 In primo grado, il Tribunale di Lione, il 3 giugno 1996, assolve il Dottor

G. ritenendo che un feto di 20 settimane non abbia la capacità di vita autonoma e non rientri quindi nella nozione di persona umana ai sensi del codice penale francese. La Corte d’Appello condanna invece il medico perché “la scienza e il buon senso suggeriscono che la negligenza e l’omissione che causano la morte di un feto di 20-24 settimane in perfetta salute debbano essere classificate come omicidio colposo”. La Corte di Cassazione, il 30 giugno 1999 ribalta la sentenza d’appello, confermando il giudizio di primo grado.

146ARTICOLO 2, Diritto alla vita:

1. Il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge. Nessuno può essere intenzionalmente privato della vita, salvo che in esecuzione di una sentenza capitale pronunciata da un tribunale, nel caso in cui il reato sia punito dalla legge con tale pena.

2. La morte non si considera cagionata in violazione del presente articolo se è il risultato di un ricorso alla forza resosi assolutamente necessario: (a) per garantire la difesa di ogni persona contro la violenza illegale;

(b) per eseguire un arresto regolare o per impedire l’evasione di una persona regolarmente detenuta;

(c) per reprimere, in modo conforme alla legge, una sommossa o un’insurrezione.

116

amministrativa – non avanzata dalla gestante e ormai prescritta nel momento della sentenza della Corte EDU - rappresentava il rimedio giusto da esperire in tali casi, la vita del feto, quindi, non deve essere necessariamente tutelata dalla legge penale147. Ora, è chiaro, che nella sentenza della Corte, si nasconda un timore preciso: ammettere che il feto è meritevole di una tutela penale, quale quella dell’omicidio colposo, significa riconoscerne la personalità, delegittimando, da un lato, i sistemi legislativi che consentono l’interruzione volontaria di gravidanza e dall’altra, favorendo i sostenitori di un modello impositivo148. In qualche modo quindi, i giudici, sembrano riconoscere indirettamente, che nel conflitto tra gestante e concepito, quest’ultimo possa soccombere fino a quando non lo si consideri una persona. Aver guardato, alla vicenda dell’aborto, prima dal lato del concepito, e solo dopo da quello della madre, ignorando che i due fanno parte di una stessa relazione, comporta che un’interruzione di gravidanza subita e una provocata in qualche modo si equivalgono, perché in entrambe quello che viene meno, è la possibilità di vita di un’entità biologica, non qualificabile come persona. Il desiderio di maternità della ricorrente, l’accoglienza riservata dalla signora Vo a questa nuova entità, i presumibili cambiamenti di stile di vita adottati durante la gestazione come oneri di cura verso il concepito, non servono a

147Va aggiunto che né i tribunali nazionali francesi né la Corte EDU rilevano

la discriminazione aggravata subita dalla gestante. E’ indubbio infatti che il suo stato di gravidanza, l’origine straniera e la difficoltà linguistica, unita alla condizione economica non particolarmente agiata, abbiano determinato un trattamento decisamente sfavorevole.

148Lo stesso timore ha animato, purtroppo, i movimenti femministi che si

sono costituiti in giudizio, contestando la pretesa della signora Vo, e affermando la non personalità del feto, al fine di evitare una regressione legislativa delle norme sull’interruzione volontaria di gravidanza.

117

considerare il feto di sei mesi della gestante, come un essere meritevole di una protezione maggiore, rispetto a quella fornita da un’azione amministrativa. Si potrebbe obiettare, che alcuni ordinamenti, come quello italiano e a differenza di quello francese, conoscono il delitto di procurato aborto. Osservazione giusta, a condizione che tale previsione normativa sia posta a protezione di una vita fetale, innalzata a esistenza personale, dal desiderio di maternità e dall’accoglienza incondizionata della gestante.