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Andamenti settoriali

La crisi degli anni scorsi ha modificato la struttura produttiva del paese. Alcuni settori hanno registrato perdite di prodotto di entità eccezionale, che hanno provocato la dismissione definitiva di molte attività. L’entità delle perdite è stata tale da rendere improbabile un recupero anche nell’ipotesi di una fase più favorevole del ciclo economico. Si tratta difatti di attività in parte dismesse in via definitiva, per le quali si è cioè verificata una perdita di capacità produttiva di carattere strutturale.

In un contesto di questo genere è anche difficile trarre evidenza della presenza di nuovi settori, innovativi e caratterizzati da un trend di crescita, in grado di sostenere lo sviluppo della domanda di lavoro nei prossimi anni. In una fase di contrazione della domanda, difatti, tendono a soffrire anche settori con potenzialità di crescita nel medio termine.

L’ipotesi che il paese stia attraversando una fase di graduale riequilibrio della propria posizione competitiva mette in luce il rilievo di settori produttori di beni tradables in grado di affrontare le sfide della concorrenza internazionale. In particolare, per un’economia come quella italiana, che ha una pesante base manifatturiera, la crescita dipende in maniera rilevante dalla posizione competitiva dell’industria e dal suo ruolo trainante in termini di crescita della produttività. L’ultima fase di crescita significativa della nostra industria risale però alla metà degli anni novanta, quando eravamo nel pieno degli effetti della svalutazione. Da allora la base produttiva industriale ha mostrato una fase di costante arretramento, oltre che di trasformazione della propria composizione. Nel complesso, comunque, nel panorama internazionale l’economia italiana si distingue per essere ancora, dopo la Germania, quella con la maggiore incidenza del manifatturiero sul totale dell’economia. Anche dopo la crisi restiamo quindi un paese

dipendente molto più degli altri dalla performance dell’industria. La relativa tenuta della quota degli occupati nel manifatturiero in Italia riflette il fatto che la dinamica dell’occupazione negli altri settori è stata molto debole. La crescita degli occupati nei servizi è stata difatti frenata dalla debolezza della domanda interna e dalle politiche di contrazione dell’occupazione nel settore pubblico.

Il peso dell'industria manifatturiera sull'occupazione delle maggiori economie

avanzate 0 5 10 15 20

Ger Ita Giap Spa Fra Uk Us

elaborazioni REF Ricerche su dati Ocse 2008 2014

Il peso delle costruzioni sull'occupazione delle maggiori economie avanzate

0 3 6 9 12

Spa Uk Ita Giap Us Fra Ger

elaborazioni REF Ricerche su dati Ocse 2008 2014

I trend più recenti difficilmente vedranno un’inversione nei prossimi anni. In particolare, la crescita della domanda interna resterà debole, frenata dal percorso di rientro dal debito di famiglie e imprese, oltre che dagli sforzi di risanamento della finanza pubblica. Le opportunità di crescita paiono quindi ancora molto legate alle potenzialità delle esportazioni e alla capacità di salvaguardare la base produttiva industriale del paese. Non si tratta evidentemente di invertire la tendenza di lungo periodo alla terziarizzazione dell’economia, quanto piuttosto di creare le premesse per un recupero delle nostre posizioni nei settori più avanzati. E’ essenziale spostare la crescita verso i settori più dinamici, quelli che si caratterizzano per le proprie ricadute sul sistema in termini di innovazione, formazione di capitale umano, creazione di un indotto a valle; in definitiva, quelli che sono i driver dei processi di sviluppo.

Il punto non sta nell’individuare una gerarchia dei settori per importanza, ma piuttosto nell’esplicitare i nessi attraverso cui alcune attività innescano processi di crescita dai quali dipende poi la crescita di altri settori tradizionali. Nel lavoro di Moretti (2013) si sottolinea il peso che nel recente sviluppo dell’economia americana stanno avendo le eccellenze nei settori di punta, prevalentemente legati alle nuove tecnologie dell’Ict. Le stime proposte indicano che per ogni posto di lavoro creato nei settori più innovativi ne vengono generati altri cinque nel resto dell’economia.

D’altra parte, innovazione e tecnologia evolvono di pari passo con la nozione di capitale umano, e se vi è almeno un punto su cui concordano tutte le analisi sui processi di

sviluppo nel medio termine, è che un contributo importante nella spiegazione dei divari di crescita fra i diversi paesi è legato ai livelli di istruzione e all’incidenza di percorsi formativi orientati verso le discipline scientifiche.

Non a caso negli ultimi anni nelle economie più dinamiche si assiste ad uno spostamento tendenziale della domanda di lavoro verso i lavoratori più scolarizzati. Progresso tecnologico e globalizzazione dei mercati sono i trend che guidano il cambiamento nel caso americano e, con caratteristiche differenti, nella parte più dinamica dell’Europa, ovvero l’economia tedesca e i suoi satelliti. I settori e i lavoratori caratterizzati da maggiori skills sono del resto riusciti a presidiare i segmenti delle catene produttive a maggiore valore aggiunto, e meno esposti alla concorrenza dei bassi salari dei paesi emergenti. A ciò si aggiunge poi la tendenza all’aggregazione territoriale, ovvero la concentrazione in alcune aree di attività economiche simili. Le ragioni possono essere di diversa natura, dalla presenza di economie di scala legate all’esigenza di infrastrutture specifiche, al fatto che la crescita si realizza attraverso processi imitativi fra imprese e che la comunicazione fra queste è un’esigenza tanto maggiore quanto più rapido è il processo di cambiamento, e anche all’accumulazione di capitale umano specifico su un dato territorio attraverso processi di learning by doing. Un indicatore dell’importanza che le imprese attribuiscono all’innovazione è rappresentato dal numero di addetti alle attività di ricerca e sviluppo. I due grafici seguenti presentano questo indicatore in valori assoluti, ovvero il numero di lavoratori, e quindi vi è anche un effetto legato alla dimensione economica di ciascun paese. In tal modo però la lettura del grafico è immediata perché consente di valutare le differenze in termini di potenziale innovativo dei diversi paesi europei sulla base del numero di persone che svolgono attività di ricerca.

I dati mostrano innanzitutto la diversa dimensione dell’indicatore riferito all’economia tedesca, segnalando in tal modo una evidente divaricazione negli investimenti che i diversi paesi stanno effettuando su questo versante. Si coglie anche come il settore manifatturiero coinvolga una gran parte dei ricercatori, confermando quindi il ruolo privilegiato dell’industria come driver dell’innovazione.

Dati i vincoli finanziari, che continueranno a caratterizzare tanto il settore privato quanto quello pubblico, difficilmente in Italia nei prossimi anni si osserverà un aumento del numero di persone coinvolte nelle attività di ricerca, con tutto quello che ne segue in termini di competitività delle imprese da un lato, e prospettive per i lavoratori più istruiti dall’altro. E’ al proposito sufficiente un richiamo al noto fenomeno dell’aumento del brain drain, ovvero l’emigrazione dei lavoratori più istruiti. Come le analisi sul tema hanno più volte sottolineato, l’aspetto più preoccupante di tale tendenza non è la propensione alla mobilità dei lavoratori più istruiti, che anzi dimostra la presenza di figure dinamiche in grado di affrontare le sfide professionali più impegnative anche all’estero, ma piuttosto la scarsa propensione del sistema produttivo ad inserire personale con livelli d’istruzione più elevati, come confermato indirettamente dal bassissimo afflusso di lavoratori istruiti nel nostro paese. E’ anche frequente il caso di lavoratori impiegati per mansioni di livello inferiore rispetto ai livelli d’istruzione conseguiti.

Personale addetto alle attività di ricerca e sviluppo - intera economia

0 50 000 100 000 150 000 200 000 250 000 300 000 350 000 400 000

Ger Spa Fra Ita

equivalenti a tempo pieno; elaborazioni REF Ricerche su dati Eurostat

Personale addetto alle attività di ricerca e sviluppo nell'industria manifatturiera

0 50 000 100 000 150 000 200 000 250 000 300 000 350 000

Ger Spa Fra Ita

Tali comportamenti sono espressione di un sistema che sta ancora perdendo terreno rispetto ai concorrenti. Crescita del capitale umano, ricerca, upgrading tecnologico sono gli ingredienti essenziali per affrontare la partita della competitività nei prossimi anni. La crisi degli anni scorsi ha determinato una selezione severa del tessuto produttivo, mantenendo in attività le imprese più forti. D’altra parte, in assenza di un nuovo ciclo di investimenti, difficilmente si getteranno le basi per una nuova fase di crescita della produttività. Le condizioni attuali però restano poco favorevoli a una ripresa degli investimenti: la debolezza della domanda finale e i problemi sul versante dell’accesso al credito continueranno a limitare gli investimenti delle imprese. In assenza di un nuovo ciclo di investimenti, anche la produttività continuerà a ristagnare, seguendo la tendenza degli ultimi due decenni.

Pil e domanda di lavoro

98 100 102 104 106 108 110 2000 2005 2010

Indici 2000 = 100; Elaborazioni REF Ricerche su dati Istat Pil Unità di lavoro

Il manifatturiero ha difatti evidenziato nella fase storica più recente un’evoluzione solidale del valore aggiunto e delle unità di lavoro, il che corrisponde ad un andamento pressoché piatto della produttività del lavoro. In mancanza di un contributo positivo dell’industria alla crescita della produttività, anche per il complesso dell’economia domanda di lavoro e prodotto hanno continuato a viaggiare appaiati.

Valore aggiunto e domanda di lavoro - industria manifatturiera 80 85 90 95 100 105 2000 2005 2010

Indici 2000 = 100; Elaborazioni REF Ricerche su dati Istat Pil Unità di lavoro

Guardando ai dati relativi ai singoli settori, le performance di medio termine risultano però relativamente differenziate. Nel grafico seguente si confrontano i settori dell’industria manifatturiera sulla base della crescita media del valore aggiunto e delle unità di lavoro prendendo in esame l’intero periodo a partire dal duemila. Data l’ampiezza del periodo utilizzato gli effetti ciclici sull’evoluzione di entrambe le variabili dovrebbero essere almeno in parte ridimensionati.

Si osserva innanzitutto un gruppo di settori, nella parte a sinistra e in basso nel grafico, che evidenziano una tendenza ampiamente cedente dei livelli produttivi e dell’input di lavoro. Per questo gruppo di settori il crollo dell’occupazione è legato a elementi di cambiamento di carattere strutturale, e difficilmente nei prossimi anni verranno recuperate le perdite subite, anche nel caso di un miglioramento del ciclo economico. Il settore che va peggio (settore 2 nella legenda del grafico) è costituito dall’aggregato che comprende il tessile-abbigliamento e l’industria delle pelli, che ha subito negli anni duemila un profondo ridimensionamento legato alla pressione competitiva proveniente dai paesi asiatici, che ha spinto molti produttori a dismettere le attività in Italia, adottando in alcuni casi strategie di delocalizzazione della produzione. Il settore dei mezzi di trasporto (settore 11) ha altresì registrato una profonda crisi, legata sia alla perdita di quote di mercato della produzione nazionale che alla profonda caduta della domanda di autovetture che si è verificata in Italia nel corso degli ultimi anni. Altri due settori (3 e 6) si sono distinti per contrazioni particolarmente profonde, comprendendo al loro interno attività che sono un indotto del settore delle costruzioni, come l’industria

del legno e i prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi. La profonda crisi dell’edilizia, in corrispondenza con la restrizione del credito alle famiglie e aggravata dal crollo delle opere pubbliche, ha provocato una contrazione dei livelli occupazionali di dimensioni eccezionali in questi comparti.

Valore aggiunto e domanda di lavoro nel manifatturiero: 2000-2013 2 6 3 11 5 10 7 9 8 1 12 4 -3.5 -3.0 -2.5 -2.0 -1.5 -1.0 -0.5 0.0 0.5 -3.0 -2.0 -1.0 0.0 1.0 2.0 3.0 4.0 valore aggiunto;

var % medie annue 2000-2013 elaborazioni REF Ricerche su dati Istat

U n it à d i la v o ro

LEGENDA - SETTORI MANIFATTURIERI

1 industrie alimentari, delle bevande e del tabacco

2 industrie tessili, confezione di articoli di abbigliamento e di articoli in pelle e simili 3 industria del legno, della carta, editoria

4 fabbricazione di prodotti chimici

5 fabbricazione di prodotti farmaceutici di base e di preparati farmaceutici

6 fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche e altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi 7 attività metallurgiche; fabbricazione di prodotti in metallo, esclusi macchinari e attrezzature

8 fabbricazione di computer e prodotti di elettronica e ottica 9 fabbricazione di apparecchiature elettriche

10 fabbricazione di macchinari e apparecchiature n.c.a. 11 fabbricazione di mezzi di trasporto

Un secondo gruppo di settori ha invece mantenuto i livelli produttivi sostanzialmente invariati fra il 2000 e il 2013, e ha mostrato variazioni della domanda di lavoro di segno solo leggermente negativo. Si tratta di risultati non drammatici considerando le difficili condizioni di contesto in cui hanno operato le nostre imprese. In questo gruppo vi sono l’alimentare, la metallurgia e tutti i produttori di macchinari. Questi settori sono in genere accomunati dal fatto di essere riusciti a crescere attraverso il traino delle esportazioni, che hanno compensato le difficoltà della domanda interna.

Fuori da questi raggruppamenti vi sono la chimica e il mobile, che hanno registrato una flessione della domanda di lavoro decisamente meno accentuata rispetto alla caduta del valore aggiunto, e quindi hanno visto ridursi la produttività del lavoro. Un altro settore “deviante”, questa volta in positivo, è la farmaceutica, che ha registrato un tasso di crescita elevato nell’intero periodo.

Se tutti i settori dell’industria hanno registrato nell’intero periodo 2000-2013 una riduzione della domanda di lavoro, il contrario è accaduto nei servizi. Fatta eccezione per il settore delle telecomunicazioni (settore 6 del rispettivo grafico) caratterizzato nel periodo da una sostenuta dinamica della produttività, gli unici settori dei servizi con livelli decrescenti della domanda di lavoro sono i comparti del pubblico impiego e in particolare la Pa e l’istruzione (15 e 16 nel grafico), mentre la sanità (settore 17) ha presentato una domanda di lavoro in lieve aumento; a fronte degli sforzi di riduzione degli organici, la domanda di servizi sanitari ha difatti continuato ad aumentare, secondo una tendenza destinata ad accentuarsi nei prossimi anni per ragioni demografiche.

Anche diversi settori che nell’intero periodo avevano registrato una contrazione dei livelli di attività, hanno evidenziato variazioni di segno positivo delle unità di lavoro. Di fatto tutti i settori (e sono la maggior parte) che si posizionano al di sopra della retta che descrive la bisettrice degli assi hanno registrato una variazione delle unità di lavoro superiore a quella del valore aggiunto, e di conseguenza una contrazione della produttività del lavoro.

Vi sono comunque non pochi settori che hanno evidenziato una dinamica vivace sia dell’attività economica che della domanda di lavoro, con incrementi significativi della produttività. Il comparto più rilevante dal punto di vista della creazione assoluta di posti di lavoro è quello dei servizi alle famiglie (settore 21) che comprende al proprio interno le badanti. In generale la crescita dell’occupazione in questo settore si associa alle tendenze richiamate in altri comparti, come la sanità o l’industria farmaceutica, legate al tendenziale invecchiamento della popolazione, e che presenteranno anche nei prossimi anni un andamento crescente dell’occupazione.

Valore aggiunto e domanda di lavoro nei settori dei servizi: 2010-2013

6 8 19 4 7 15 5 18 16 17 14 1 2 21 39 11 13 20 -3.0 -2.0 -1.0 0.0 1.0 2.0 3.0 4.0 -4.0 -2.0 0.0 2.0 4.0 6.0 valore aggiunto; var % medie annue 2000-2013 elaborazioni REF Ricerche su dati Istat

U n it à d i la v o ro 10 12

LEGENDA - SETTORI DEI SERVIZI

1 commercio all’ingrosso e al dettaglio; riparazione di autoveicoli e motocicli 2 trasporti e magazzinaggio

3 servizi di alloggio e di ristorazione 4 servizi di informazione e comunicazione

5 attività editoriali; audiovisivi; attività di trasmissione 6 telecomunicazioni

7 programmazione, consulenza informatica e attività connesse; attività dei servizi d’informazione 8 attività finanziarie e assicurative

9 attività immobiliari

10 attività professionali, scientifiche e tecniche

11 attività legali e contabilità; attività di sedi centrali; consulenza gestionale; attività degli studi di architettura e d’ingegneria; collaudi e analisi tecniche

12 ricerca scientifica e sviluppo

13 pubblicità e ricerche di mercato, altre attività professionali, scientifiche e tecniche, servizi veterinari 14 attività amministrative e di servizi di supporto

15 amministrazione pubblica e difesa; assicurazione sociale obbligatoria 16 istruzione

17 sanità e assistenza sociale 18 assistenza sociale

19 attività artistiche, di intrattenimento e divertimento 20 altre attività di servizi

21 attività di famiglie e convivenze come datori di lavoro per personale domestico; produzione di beni e servizi indifferenziati per uso proprio da parte di famiglie e convivenze