• Non ci sono risultati.

Differenziali internazionali nei livelli del costo del lavoro

Nel documento DEL LAVORO 2013 - 2014 RAPPORTO SUL MERCATO (pagine 155-161)

Il tema dell’aggiustamento della posizione competitiva dell’economia italiana è centrale nella strategia di politica economica sposata dalle autorità europee. La tesi è che occorre cercare di forzare la decelerazione del costo del lavoro per unità di prodotto dei paesi della periferia portandolo al di sotto di quello dell’economia tedesca37, determinando in tal modo un effetto analogo a quello di una svalutazione del tasso di cambio.

Tale approccio pone in una posizione centrale la questione della moderazione salariale e le riforme delle fiscalità finalizzate a ridurre il costo del lavoro. L’obiettivo è anche quello di modificare le convenienze di prezzo relative, al fine di stimolare le imprese a realizzare un nuovo ciclo di investimenti in grado di permettere di chiudere il differenziale nella crescita della produttività del lavoro.

Le caratteristiche del percorso di aggiustamento in corso all’interno dell’area euro sono state descritte nel primo capitolo del rapporto, evidenziandone l’onerosità per i paesi della periferia. Dato che la dinamica salariale tedesca si sta rivelando ancora non particolarmente elevata, nonostante la bassa disoccupazione in Germania, miglioramenti della posizione competitiva dei paesi della periferia richiederebbero necessariamente una fase di deflazione, che rischierebbe di aggravarne ulteriormente la crisi.

Il tema della caduta dell’inflazione è oggetto di particolare attenzione da parte delle autorità di politica economica europee. La Bce ha iniziato a valutare l’eventualità di un

quantitative easing europeo, sulla scia delle esperienze di altri paesi durante gli anni

scorsi, proprio al fine di fronteggiare il rischio di deflazione. Recentemente ha molto colpito una presa di posizione da parte della Bundensbank che ha sollecitato rinnovi

37

In particolar modo questa strategia punta ad un rafforzamento della posizione competitiva valutata sulla base dell’andamento del costo del lavoro per unità di prodotto dei settori manifatturieri. Simmetricamente a quanto realizzato dalla Germania negli anni duemila, il recupero di competitività dei settori tradables si rivelerebbe superiore a quanto possa apparire guardando esclusivamente al differenziale d’inflazione al consumo, realizzando di fatto un effetto alla Balassa. In generale, le strategie di miglioramento della posizione competitiva puntano sia su una moderazione salariale spinta che su una fase di incrementi sostenuti della produttività dei settori industriali.

contrattuali con aumenti salariali superiori all’obiettivo d’inflazione della Bce (2 per cento) e si è dichiarata disponibile ad accettare un’inflazione sopra tale target in Germania, allo scopo di assecondare il riequilibrio della posizione competitiva dei paesi della periferia.

Le difficoltà dei paesi della periferia a conseguire un rapido riequilibrio della propria posizione competitiva mostrerebbero, secondo diversi commentatori, la inadeguatezza della costruzione europea, data la tendenza a produrre all’interno dell’area euro delle variazioni dei tassi di cambio reale difficilmente reversibili. Le variazioni dei tassi di cambio reale degli anni duemila si dimostrerebbero cioè di carattere persistente.

Per i paesi in crisi i problemi di competitività all’interno della zona euro si traducono a loro volta anche in una perdita di competitività rispetto ai paesi fuori dall’eurozona. Entra qui in gioco il tema dei differenziali di costo verso molti paesi emergenti, con la Cina che negli anni duemila ha svolto un ruolo centrale nell’orientare le strategie di localizzazione produttiva delle imprese, attraendo flussi di investimenti diretti da molti paesi, e sollecitando lo smantellamento di segmenti anche importanti della base produttiva industriale di molte economie avanzate. Nell’arco di un decennio l’aggregato delle economie emergenti è stato quindi in grado di raggiungere un livello dei flussi di Ide in entrata di entità analoga agli Ide diretti verso le economie avanzate. Questa tendenza si stabilizza però dopo l’arrivo della crisi.

Investimenti diretti dall'estero 0 200000 400000 600000 800000 1000000 1200000 1400000 2000 2005 2010

mln di dollari; flussi in entrata; elaborazioni REF Ricerche su dati UNCTAD

ec avanzate ec emergenti

Negli anni duemila lo spostamento della produzione verso aree a basso costo ha svolto un ruolo centrale nell’orientare i flussi di Ide. Il driver del processo è rappresentato dalla localizzazione, soprattutto in Cina, delle fasi terminali di processi di produzione molto disintegrati verticalmente, cui partecipano imprese di diversi paesi, collocate in prevalenza nella vicina area del sud-est asiatico, ma non solo. Si verifica in pochi anni quello che è stato definito un grande arbitraggio sul costo della manodopera con lo spostamento di quote di produzioni rilevanti dalle economie avanzate verso i paesi emergenti.

Tale spinta, in corso sin dagli anni ottanta, si è intensificata negli anni duemila dopo l’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio. Non è un caso che da allora inizi a prendere piede la tesi per cui il potere di attrazione di investimenti da parte dei paesi a basso costo del lavoro possa essere destinato a sottrarre quote crescenti di occupazione alle economie avanzate.

All’ampliamento della divisione internazionale del lavoro derivante dalla crescita dei nuovi paesi è stata sovente anche ricondotta la crescita delle disuguaglianze dei redditi nelle economie avanzate, legata al fatto che le fasi dei processi di produzione più facilmente oggetto di delocalizzazione sono anche quelle meno skills intensive,

presidiate dai lavoratori più deboli. La pressione competitiva sui salari dei lavoratori delle economie avanzate sarebbe stata quindi asimmetrica, a tutto svantaggio dei lavoratori meno istruiti.

Alla tesi dell’aumento delle disparità salariali si associa, all’interno delle economie avanzate, anche l’ipotesi della perdita progressiva di peso dell’occupazione manifatturiera sul complesso dell’occupazione con la conseguente riduzione della domanda di lavoro manuale.

La tendenza alla terziarizzazione del mercato del lavoro delle economie avanzate è stata un trend storico degli ultimi cinquanta anni, legato a tre tipi di fattori che hanno guidato la trasformazione.

Il primo è la saturazione dei consumi di beni a favore dell’aumento del peso dei consumi di servizi al crescere del reddito.

Il secondo è la maggiore crescita della produttività del lavoro nell’industria rispetto ai settori dei servizi.

Il terzo è rappresentato dall’esternalizzazione dall’industria di alcune attività a elevato contenuto di servizi in precedenza integrate all’interno dell’attività svolta nelle fabbriche.

A questi trend si è poi sovrapposto negli ultimi anni un altro fattore, legato allo spostamento della produzione di merci tradables verso i paesi a basso costo del lavoro. Il peso dell’industria sull’occupazione nelle maggiori economie avanzate si è quindi contratto in misura significativa. Nel grafico, per effettuare un confronto omogeneo fra paesi, si fa riferimento all’incidenza dell’industria totale, incluse le costruzioni, sul totale dell’occupazione delle maggiori economie avanzate. In trent’anni l’evoluzione strutturale del mercato del lavoro ha seguito percorsi diversi tanto da rendere riconoscibile un modello anglosassone in cui la terziarizzazione ha proceduto con rapidità, e un modello europeo continentale, caratterizzato da una base industriale più ampia. Un’incidenza significativa dell’industria sul totale dell’occupazione ha continuato a caratterizzare anche l’economia giapponese.

All’interno del quadro europeo, la posizione dell’Italia e quella della Germania si differenziano per un’incidenza maggiore dell’industria rispetto ai casi di Spagna e Francia. Si può affermare che, al di là degli effetti della crisi sul mercato del lavoro, queste due economie evidenziano un modello maggiormente strutturato sull’industria, e quindi anche maggiormente legato alla performance dell’export. La specializzazione produttiva dell’Italia è però diversa da quella tedesca, essendo quest’ultima più spostata su settori la cui performance è legata al contenuto tecnologico dei prodotti. Sebbene nel corso degli anni duemila l’industria italiana abbia modificato le caratteristiche dei prodotti, in particolare attraverso un processo di upgrading qualitativo, vi è accordo sulla tesi di una maggiore sensibilità dell’export italiano rispetto alla competitività di prezzo-costi.

Il peso dell'industria sul totale dell'occupazione 0 10 20 30 40 1981 1991 2001 2011-12°

occupati nell'industria in % del totale degli occupati. °ultimo dato disponibile Elaborazioni REF Ricerche su dati World Bank

Usa Uk Canada Jap Fra Spa Ita Ger

L’esperienza tedesca rappresenta un punto importante per valutare il rilievo dei differenziali internazionali nei livelli del costo del lavoro. Difatti, proprio i successi dell’industria in Germania, paese caratterizzato da livelli molto elevati del costo del lavoro, inducono a enfatizzare altri fattori di competitività non di prezzo, quale elemento di successo dei settori esposti alla concorrenza internazionale. In particolare, il tema dell’innovazione tecnologica e della crescita della produttività nel settore industriale sono stati un punto centrale nello spiegare la divaricazione fra le dinamiche del Clup dell’industria tedesca e le altre economie dell’area euro nel corso degli ultimi anni.

Senza addentrarci ulteriormente su questo aspetto, per il quale si rinvia all’analisi del Rapporto del 2012 (Cnel, 2012) è possibile comunque richiamare i risultati riportati nelle tavole seguenti, che scompongono la dinamica del Clup nelle maggiori economie avanzate nella componente del costo del lavoro e in quella della produttività del lavoro. Le tavole mostrano gli ampi divari nei tassi di crescita del Clup del settore manifatturiero e il guadagno di competitività conseguito dalla Germania rispetto alle altre economie dell’area euro nel periodo pre-crisi. Emerge anche l’ampio recupero che ha caratterizzato l’economia spagnola nel periodo post-crisi e la persistenza di una

dinamica sfavorevole dell’industria italiana, che ha continuato a caratterizzarsi per l’andamento meno vivace della produttività del lavoro.

PRODUTTIVITA' DEL LAVORO

variazioni % medie annue

anni settanta anni ottanta anni novanta 2000-2012 2000-2008 2008-2012

Stati Uniti 2.8 3.4 4.3 4.6 5.1 3.8 Regno Unito 2.4 3.9 3.0 2.8 4.0 0.2 Giappone 5.4 4.0 3.6 2.7 3.9 0.5 Germania 4.1 2.7 3.4 2.7 3.2 1.5 Francia 4.2 3.4 3.9 2.3 2.5 1.9 Italia 6.5 3.2 2.5 0.6 0.5 0.7 Spagna 3.3 2.0 3.0 2.3 4.4 Olanda 5.2 3.4 3.4 2.4 3.0 1.1

Output per ora lavorata, settore manifatturiero

Elaborazioni REF Ricerche su dati Bureau of labour statistics e Istat

COSTO DEL LAVORO

variazioni % medie annue

anni settanta anni ottanta anni novanta 2000-2012 2000-2008 2008-2012

Stati Uniti 8.9 5.1 3.9 3.1 3.5 2.3 Regno Unito 18.1 8.8 4.4 4.0 5.0 2.1 Giappone 13.5 4.4 2.3 -0.1 -0.2 0.2 Germania 9.9 5.3 4.8 2.2 2.1 2.3 Francia 14.6 8.6 3.7 3.3 3.3 3.1 Italia 19.2 12.1 4.4 3.1 3.2 3.0 Spagna 11.1 4.5 4.1 5.3 1.7 Olanda 11.3 4.0 3.7 3.0 3.6 1.9

Costo orario, settore manifatturiero

Elaborazioni REF Ricerche su dati Bureau of labour statistics e Istat COSTO DEL LAVORO PER UNITA' DI PRODOTTO

variazioni % medie annue

anni settanta anni ottanta anni novanta 2000-2012 2000-2008 2008-2012

Stati Uniti 6.0 1.6 -0.4 -1.5 -1.5 -1.5 Regno Unito 15.4 4.7 1.4 1.3 1.0 1.8 Giappone 7.8 0.4 -1.2 -2.8 -3.9 -0.3 Germania 5.6 2.6 1.4 -0.5 -1.1 0.8 Francia 9.9 5.1 -0.2 1.0 0.8 1.2 Italia 11.9 8.6 1.9 2.5 2.7 2.3 Spagna 7.6 2.5 1.1 3.0 -2.6 Olanda 5.8 0.6 0.3 0.7 0.6 0.8 Settore manifatturiero

I successi conseguiti dall’industria tedesca nel corso degli anni passati hanno evidenziato la possibilità di uno sviluppo dei settori tradables anche in presenza di divari molto ampi in termini di costo del lavoro rispetto ai paesi emergenti. Fra i diversi fattori che hanno assecondato tale tendenza vi sono in parte le scelte di politica economica, fra le quali quelle in materia di flessibilità del mercato del lavoro, e di fiscalità, con la riduzione del cuneo fiscale a favore delle imprese, l’enfasi sulla transizione scuola-lavoro, con i contratti di apprendistato. Contano anche le politiche delle imprese, che hanno adottato strategie di delocalizzazione delle parti della produzione a minore valore aggiunto all’interno di catene produttive che esse comandano. La delocalizzazione è quindi diventata in parte una scelta strategica che ha permesso di contenere i prezzi dei prodotti tedeschi.

Il risultato è stato quello di un andamento cedente del Clup conseguito in buona misura attraverso una dinamica della produttività superiore ai partner europei i cui costi interni sono divenuti, con il passare del tempo, sempre meno sostenibili.

Nel documento DEL LAVORO 2013 - 2014 RAPPORTO SUL MERCATO (pagine 155-161)