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Il dibattito sul reshoring

Nel documento DEL LAVORO 2013 - 2014 RAPPORTO SUL MERCATO (pagine 161-167)

Il tema delle delocalizzazioni produttive, che era stato al centro del dibattito degli anni duemila, ha fatto posto da alcuni anni ad una nuova tendenza, legata all’avvio di un flusso di investimenti di ritorno, ovvero la scelta da parte delle imprese di riportare nel paese di origine una parte delle attività delocalizzate in precedenza verso i paesi emergenti.

Sebbene la dimensione quantitativa del fenomeno del reshoring sia attualmente modesta in termini di impatto sul totale dell’economia, il tema sta acquisendo un rilievo crescente, e potrebbe essere al centro delle strategie delle aziende manifatturiere nei prossimi anni. Si tratta difatti di una tendenza avviata da pochi anni, ma in rapida accelerazione. Le informazioni diffuse da una recente survey del Boston Consulting Group svolta all’interno di un ampio campione di manager delle maggiori aziende industriali americane segnalano come solo alcune abbiano effettivamente adottato politiche di repatriation degli investimenti, e che il numero delle aziende manifatturiere che sta valutando tale eventualità sia molto elevato.

In parte questo deriva dal fatto che alcune imprese hanno incontrato difficoltà nei nuovi contesti, soprattutto legate alla logistica e alla possibilità di reperire prodotti intermedi della qualità desiderata, e in parte dovute a semplici cambiamenti nelle convenienze relative di costo.

Un punto importante è che l’ondata delle delocalizzazioni degli anni duemila era stata pianificata in un contesto caratterizzato da livelli molto bassi del prezzo del petrolio

intorno ai 20 dollari al barile; dal 2008 in avanti le quotazioni del greggio si sono assestate intorno ai 100 dollari al barile determinando quindi un maggiore costo del trasporto delle merci, che quindi riduce le convenienze relative degli scambi commerciali internazionali, soprattutto per i prodotti di maggiore ingombro.

Vi è poi un secondo aspetto, specifico della realtà Usa, che si riferisce alla riduzione del costo dell’energia determinato dalle recenti estrazioni di shale gas. Alcuni settori energy

intensive hanno attualmente una maggiore convenienza a produrre negli Stati Uniti.

Il punto principale del cambiamento di tendenza è però rappresentato dalla variazione delle convenienze relative in tema di livelli del costo del lavoro. Considerando che in Cina il costo del lavoro cresce rapidamente, e tenendo conto del contestuale apprezzamento del cambio dello yuan degli ultimi anni, il vantaggio competitivo cinese in termini di costo del lavoro si starebbe erodendo. Purtroppo le fonti statistiche internazionali non rendono del tutto immediato il confronto fra i livelli del costo del lavoro in Cina e in altre aree. In ogni caso, i livelli del salario mensile, elaborando le informazioni dell’ufficio di statistica cinese, sarebbero oramai intorno ai 3 dollari l’ora, rispetto ai 50 cent circa dei primi anni duemila. Di fatto, mentre all’inizio degli anni duemila il costo del lavoro orario cinese era pari al 2 per cento di quello Usa, adesso dovremmo essere intorno al 10 per cento. Inoltre, estrapolando le tenenze recenti, entro fine decennio tale rapporto potrebbe portarsi intorno al 20 per cento.

Costo orario della manodopera nell'industria 0 10 20 30 40 50 60 Cina Mess Pol Taiwan Bras Slovak R cec Portog Argent Gre Corea Singp Spa Uk Ita Giap Usa Can Olan Fra Aus Finl Germ Austral Dank Sve Bel Sviz

migl di dollari, dati 2012; elaborazioni REF Ricerche su dati Bls e per la Cina Ist di statistica cinese

Il fenomeno del reshoring riguarda in prevalenza investimenti che erano stati effettuati negli anni passati in Cina, e sembra avere registrato una significativa accelerazione dopo la crisi del 2008. Nello stesso periodo i dati sul commercio internazionale mettono in luce una decisa diminuzione dell’elasticità del commercio rispetto al ciclo economico mondiale evidenziando quindi una sorta di processo di introiezione degli scambi dopo la fase di ampia apertura verificatasi nel decennio precedente. Anche nel corso della ripresa internazionale del 2013 l’elasticità del commercio mondiale al ciclo non ha

accelerato mostrando quindi che il cambiamento di regime rispetto ai trend degli anni duemila potrebbe essere di carattere strutturale.

Rapporto Commercio mondiale - Pil mondiale 90 120 150 180 210 240 85 90 95 00 05 10 in volume; Indice 1985 = 100 Elaborazioni REF Ricerche su dati Imf

Elasticità del commercio mondiale al Pil 1 1.4 1.8 2.2 2.6 85 90 95 00 05 10

rapporto fra il tasso di crescita del commercio e del Pil mondiale; m.m. 8 anni Elaborazioni REF Ricerche su dati Imf

Un aspetto da tenere presente è che, mentre per le occupazioni caratterizzate da skills molto bassi vi è tuttora in Cina un’ampia offerta di lavoro a salari miseri, per gli impieghi che richiedono livelli medi di qualifica anche in Cina i livelli retributivi sono oramai cresciuti. E’ in corso in altri termini un processo di graduale convergenza delle caratteristiche dei prodotti verso gli standard dei paesi occidentali, e questo potrebbe assecondare il ripensamento delle politiche di internazionalizzazione rispetto alle tendenze che hanno dominato gli ultimi venti anni.

L’aspetto delle qualifiche dei lavoratori nei paesi di destinazione delle delocalizzazioni è importante ai fini dell’attività delle imprese occidentali. Difatti, i livelli medi del costo del lavoro risentono nei paesi emergenti della quota elevata di lavoratori agricoli, caratterizzati da livelli d’istruzione e skills molto bassi, che non sempre possono trovare un inserimento nelle attività del manifatturiero. I segmenti del mercato del lavoro a maggiore scolarità sono peraltro quelli più saturi e il premio salariale connesso alle qualifiche può essere anche significativo. In altri termini, i salari effettivamente pagati dalle imprese occidentali che delocalizzano sono mediamente decisamente superiori a quelli medi dei paesi oggetto degli investimenti.

Ad esempio, secondo l’indagine condotta dall’Istat (2013) sull’attività delle imprese multinazionali italiane all’estero, i livelli del costo del lavoro che le imprese italiane pagano quando delocalizzano nei paesi asiatici non sono molto distanti da quelli sostenuti nei paesi a noi più vicini. Il costo del lavoro annuo per dipendente risulterebbe

difatti pari a 5800 euro per la Cina e a 6200 euro all’anno nel caso dell’India. Si tratta di valori non dissimili da quelli dichiarati dalle imprese che operano in Romania (6300 euro all’anno) e in Tunisia (4300).

Costo del lavoro pro-capite delle imprese manifatturiere a controllo italiano nei

paesi di delocalizzazione 0 10 20 30 40 50 60 Tunisia Cina India Romania Messico Russia Polonia Turchia Brasile Spagna Canada Regno Unito Germania Stati Uniti Francia

migliaia di euro, pro-capite. Elaborazioni REF Ricerche su dati Istat

Nel documento DEL LAVORO 2013 - 2014 RAPPORTO SUL MERCATO (pagine 161-167)