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Dinamiche salariali, competitività, e rischi di deflazione nell’area euro

minimo, divisa per il tasso medio dei paesi euro.

0.5 1 1.5 2 2.5 (1) dev st (2) (max - min)/media

Dinamiche salariali, competitività, e rischi di deflazione nell’area

euro

Le gravi condizioni del mercato del lavoro europeo hanno iniziato a riflettersi anche sulle dinamiche salariali, che hanno mostrato una significativa decelerazione nel corso del 2013.

Durante gli anni scorsi la dinamica delle retribuzioni per il complesso dell’area euro era risultata relativamente stabile, evidenziando una reattività contenuta dei salari al ciclo. La tesi prevalente era quella di una Bce “supercredibile” in grado di ancorare le aspettative d’inflazione e prevenire rischi di deflazione. Inoltre, dati i livelli molto bassi

dell’inflazione europea, un ulteriore abbassamento della dinamica salariale e dei prezzi si presumeva si sarebbe scontrato con meccanismi di rigidità verso il basso.

Per questo motivo, si palesava l’ipotesi per cui l’aumento della disoccupazione non avrebbe dato luogo a riduzioni della dinamica salariale, e questo avrebbe potuto “spostare” la curva si Phillips “verso destra”, come sembra di fatto essere avvenuto. Non è però immediato stabilire se tale spostamento corrisponda ad un aumento del tasso di disoccupazione di equilibrio. D’altra parte, nelle economie della periferia si sono osservati aumenti del tasso di disoccupazione così marcati da rendere quasi scontato che nei prossimi anni la ripresa non riuscirà a riassorbire interamente le forze di lavoro non utilizzate. La persistenza del tasso di disoccupazione su livelli elevati comporterebbe cioè un incremento del tasso di disoccupazione di equilibrio, dando luogo a un fenomeno di “isteresi” della disoccupazione, cui si assocerebbe un abbassamento del livello del prodotto potenziale dell’economia.

Area euro: curva di Phillips

1.0 1.5 2.0 2.5 3.0 3.5 4.0 6 8 10 12 tasso di disoccupazione

* var % tendenziali (su medie mobili di 5 termini centrate) delle retribuzioni orarie (lag 3 trimestri) anni 2001-2013

Elaborazioni REF Ricerche su dati Eurostat

d in a m ic a s a la ri a le * 2002-2005 2007-2009 2011-2013

Le difficoltà dei paesi della periferia, e l’ampia divergenza rispetto ai risultati conseguiti dalle economie del centro, Germania in particolare, hanno suscitato un ampio dibattito relativo alle politiche più appropriate per uscire dalla crisi. Le diverse opzioni di politica economica coinvolgono direttamente le condizioni prevalenti nei mercati del lavoro e, in particolare, le politiche salariali.

Al proposito, vi sono diverse ipotesi interpretative che si confrontano. Possiamo sintetizzarle individuando, per comodità espositiva, una tesi pessimista e una maggiormente ottimista.

Secondo la chiave di lettura pessimista, le divergenze nelle performance dell’economia reale e dei mercati del lavoro sono un segnale di insufficienza dei meccanismi di riequilibrio all’interno dell’area euro. L’eurozona non presenterebbe in altri termini le caratteristiche di un’area monetaria ottimale, non essendovi un’adeguata mobilità della forza lavoro fra i paesi aderenti alla moneta unica, e una sufficiente flessibilità salariale. A fronte di ciò, l’assenza di un bilancio europeo limita i trasferimenti di risorse verso le aree in maggiore difficoltà, contribuendo alla divaricazione nelle tendenze dei diversi paesi. Secondo questa chiave di lettura, i costi dell’aggiustamento non possono che essere pesanti, e destinati ad aumentare con il passare del tempo.

Le politiche volte ad assecondare la disinflazione da parte dei paesi della periferia al fine di migliorare la posizione competitiva, sollecitate con frequenza dalle autorità europee, sarebbero pertanto destinate a raccogliere successi limitati. Sarebbero invece necessarie politiche espansive volte a rilanciare la domanda, in particolare da parte della Germania, in modo da favorire un aggiustamento simmetrico, ovvero una riduzione del surplus dei conti con l’estero tedesco in grado di assorbire la riduzione del deficit dei paesi della periferia.

D’altra parte, una lettura meno pessimista delle tendenze in corso sottolinea come, con l’aggravarsi della crisi, nei paesi della periferia europea siano emersi segnali di graduale riequilibrio della posizione competitiva, accompagnati da un miglioramento dei conti con l’estero. Si tratterebbe quindi di prime evidenze a favore dell’avvio di un riequilibrio interno, premessa per un superamento della crisi.

Questa tesi, in genere accolta nelle principali istituzioni europee (de Mello et al 2011), sottolinea come il miglioramento della posizione competitiva e il riequilibrio della posizione netta sull’estero siano già in corso, e possano rappresentare la premessa ad una fase di ripresa dei paesi della periferia se ulteriormente incoraggiate, attraverso politiche appropriate volte a incentivare la moderazione salariale e la crescita della produttività (Buti e Turrini, 2012). Si tratterebbe d’altra parte di una strada obbligata, data la scontata debolezza della domanda interna nei prossimi anni a seguito dell’esigenza di ridurre il debito, pubblico o privato a seconda dei paesi. Le politiche di aumento della produttività si ricollegano al tema delle riforme strutturali, fra cui quelle del mercato del lavoro, sulle quali viene posto l’accento da parte delle istituzioni europee.

Le evidenze più recenti non consentono di propendere in maniera conclusiva per una delle due chiavi di lettura sopra proposte. Certamente la crisi si è dimostrata di gran lunga più profonda rispetto anche alle valutazioni più prudenti, e questo sembra dare ragione alle tesi dei più pessimisti. D’altra parte, è anche vero che i paesi della periferia hanno iniziato a migliorare la propria posizione competitiva e hanno registrato un ampio recupero dei conti con l’estero nel corso degli ultimi tre anni. Il miglioramento della posizione competitiva in atto non appare però ancora risolutivo delle difficoltà dei paesi della periferia, sia perché i segnali di ripresa non sono univoci, sia perché la

decelerazione del costo del lavoro inizia a preoccupare, dato che l’inflazione dell’area euro si sta portando su ritmi inferiori agli obiettivi della Bce.

Costo del lavoro orario

0.0 1.0 2.0 3.0 4.0 5.0 6.0 7.0 2001 2004 2007 2010 2013

var % medie annue

Elaborazioni REF Ricerche su dati Eurostat

Ger Fra Ita Spa

La decelerazione del costo del lavoro nei paesi in crisi, con tendenze addirittura cedenti in alcuni casi, come la Grecia, fa parte di un percorso di aggiustamento che inizia a favorirne il riequilibrio della posizione competitiva. Il recupero della competitività dal lato dei costi appare comunque graduale, considerando che nei paesi del centro la dinamica del costo del lavoro si mantiene su ritmi comunque non eccezionali.

I maggiori successi in termini di recupero di competitività dell’industria manifatturiera caratterizzano soprattutto le economie che, come nel caso della Spagna, stanno anche conseguendo incrementi significativi in termini di aumento della produttività. I guadagni di produttività segnalano il tentativo delle aziende di ristrutturarsi; ad essi si associa effettivamente un miglioramento della posizione competitiva dei settori esportatori, anche se al costo di perdite occupazionali così marcate da non renderli necessariamente un’opzione auspicabile anche per gli altri paesi (De Nardis, 2013).

Costo lavoro per unità di prodotto -4.0 -2.0 0.0 2.0 4.0 6.0 2001 2004 2007 2010 2013

var % medie annue

Elaborazioni REF Ricerche su dati Eurostat

Ger Fra Ita Spa

I dati sull’andamento del Clup confermano il graduale riequilibrio della posizione competitiva delle economie della periferia. Questi paesi hanno evidenziato nel corso degli ultimi anni anche un miglioramento della propria capacità di esportare. Difatti, questo gruppo di paesi ha registrato un andamento delle esportazioni in linea con quello della Germania. Tale circostanza è comunque in parte da ricondurre al fatto che le esportazioni della stessa industria tedesca sono state penalizzate dalla crisi dei paesi della periferia. L’allineamento della dinamica dell’export a quella tedesca è confermato anche isolando l’andamento della sola economia italiana.

Al graduale riequilibrio della posizione competitiva e della performance dell’export si accosta il crollo delle importazioni registrato dai paesi della periferia per effetto della profonda recessione della loro domanda interna.

L’interpretazione del miglioramento dei conti con l’estero dei paesi periferici è ancora oggetto di dibattito. Si tratta però di un punto fondamentale per comprendere se l’aggiustamento di questi anni stia conducendo gradualmente ad un superamento degli squilibri alla base della crisi europea, o se piuttosto si tratti di una mera conseguenza della recessione, che non risolve in via definitiva le fragilità strutturali dei paesi periferici.

Export in valore:

rapporto "5 periferici"/ Germania

0.7 0.72 0.74 0.76 0.78 0.8 0.82 0.84 00 02 04 06 08 10 12 14

Elaborazioni REF Ricerche su dati Eurostat

Da un punto di vista puramente quantitativo, l’entità della caduta delle importazioni osservata negli ultimi anni sovrasta nettamente il recupero delle esportazioni, e rappresenta la spiegazione principale del miglioramento dei conti con l’estero dei paesi periferici. Tale ripresa andrebbe quindi ricondotta più alla recessione che a un recupero di competitività. Tale risultato sarebbe stato quindi conseguito al costo di gravi perdite di prodotto e occupazione.

Inoltre, la componente della domanda interna che si è ridotta in misura maggiore sono gli investimenti, sia pubblici che privati. Una fase di interruzione del processo di accumulazione di capitale comporta conseguenze sulla crescita potenziale e, in definitiva, sull’andamento dell’economia nel medio termine.

Per queste ragioni, non vi è ancora un consenso riguardo all’appropriatezza delle politiche seguite nell’area euro negli ultimi anni, centrate sul consolidamento della finanza pubblica e sul miglioramento delle posizione competitiva.

Fra i diversi temi, di estrema attualità è quello relativo al rischio di deflazione. La decelerazione dei salari che ha caratterizzato i paesi della periferia europea ha difatti iniziato a tradursi in tassi d’inflazione molto bassi. In realtà, è da tempo che i paesi periferici stanno producendo poca inflazione. Negli anni scorsi però alcuni fattori in parte occasionali, ad esempio legati alle oscillazione dei prezzi delle materie prime, o ai provvedimenti di aggravio della fiscalità indiretta, avevano ostacolato il rallentamento della dinamica dei prezzi in questi paesi. Il 2013 è stato quindi, da questo punto di vista,

l’anno in cui questi fattori transitori si sono spenti, e l’inflazione è letteralmente crollata. In parte tale decelerazione è l’esito di un elemento favorevole, rappresentato dal rientro delle tensioni sui mercati delle materie prime. Ciò che desta attenzione è però il fatto che la decelerazione dei prezzi è stata più marcata nei paesi della periferia, evidentemente risentendo delle conseguenze della crisi sul costo del lavoro e sul potere di mercato delle imprese.

Il timore è che nell’area euro possano gradualmente consolidarsi aspettative di inflazione molto bassa, inferiori all’obiettivo della Bce, se non addirittura di segno negativo. La deflazione può aggravare la crisi nei paesi più indebitati perché i tassi d’interesse europei sono oramai prossimi a zero e, quindi, ad un’inflazione che si riduce corrisponderebbe un livello dei tassi d’interesse in aumento in termini reali. Nei paesi della periferia la struttura dei tassi d’interesse domestici è peraltro già più alta rispetto ai paesi del centro, per effetto del premio al rischio; a ciò si aggiunge l’effetto dell’inflazione più bassa; ne consegue che lo spread è più elevato se si guarda ai tassi di interesse reali. Tassi d’interesse reali più alti si accostano a loro volta a tassi di crescita inferiori rispetto ai paesi del centro, con conseguenze sfavorevoli sul processo di riduzione del grado d’indebitamento di questi paesi. Nel caso italiano l’effetto di un’inflazione a lungo molto bassa sui conti pubblici potrebbe rivelarsi dirompente: ad una riduzione della crescita del deflatore del Pil corrisponde difatti una minore crescita del Pil nominale, e quindi una minore velocità di riduzione del rapporto fra debito pubblico e Pil. Se ne conviene che, come riconosciuto oramai da diverse analisi, gli obiettivi del consolidamento della finanza pubblica e quelli di miglioramento della posizione competitiva possono entrare in conflitto (Buti, 2014). Diviene quindi cruciale che la Bce riesca a non fallire l’obiettivo di un tasso d’inflazione prossimo al 2 per cento nei prossimi anni. Non a caso negli ultimi mesi la Bce ha anticipato la possibilità di varare misure di quantitative easing, simili a quelle adottate negli anni scorsi dalle altre maggiori banche centrali.

Inflazione nei paesi della periferia -1.0 0.0 1.0 2.0 3.0 4.0 11 12 13 14

IPCA; var % tendenziali

Elaborazioni REF Ricerche su dati Eurostat

Por Irl Ita Spa

Inflazione nei paesi del centro

-1.0 0.0 1.0 2.0 3.0 4.0 11 12 13 14

IPCA; var % tendenziali

Elaborazioni REF Ricerche su dati Eurostat

Salari reali, occupazione e potere d’acquisto delle famiglie europee