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I lavoratori anziani

Se i giovani restano sempre più spesso esclusi dal mercato del lavoro, gli anziani ne rappresentano ormai una quota importante; ciò, come abbiamo visto, riflette non solo le tendenze demografiche, come l’invecchiamento della popolazione, ma anche i cambiamenti nei comportamenti. L’ultimo biennio è stato caratterizzato da un deciso incremento della partecipazione dei più anziani, anche a seguito del posticipo nell’uscita per pensionamento. Questa tendenza era già evidente negli anni scorsi, ma a partire dal 2012 si è osservata un’accelerazione da attribuirsi alla riforma previdenziale di fine 2011 (la cosiddetta Monti-Fornero) che ha modificato in senso più restrittivo i criteri di accesso alla pensione. In effetti, osservando l’andamento della curva dei tassi di attività per età si nota come questa, pur mantenendo l’inclinazione discendente (al crescere dell’età, aumentano i flussi verso la pensione e si riduce il numero di persone che restano attive), negli ultimi anni si è spostata verso l’alto.

Questo riflette i mutamenti nei comportamenti, come la crescente scolarizzazione, che ha comportato un ingresso mediamente più tardivo nel mercato del lavoro, e quindi la conseguente necessità di restarvi più a lungo per maturare i diritti pensionistici, ma anche l’effetto delle riforme previdenziali. L’accelerazione nella crescita degli attivi maturi è quindi da leggere come una frenata delle uscite. In particolare nel 2013 lo spostamento verso l’alto della curva dei tassi di attività per età ha riguardato prevalentemente le età comprese tra i 57 e i 60 anni, ovvero quelle più direttamente colpite dal mutamento normativo. Negli ultimi tre anni il tasso di partecipazione per queste età è aumentato di circa 11 punti percentuali; in altre parole, dal punto di vista dell’uscita, si è ridotta di circa 11 punti la quota di persone che attorno ai 60 anni risultavano inattive (prevalentemente perché andate in pensione).

La riforma accentua la crescita dei tassi di attività 0.0 10.0 20.0 30.0 40.0 50.0 60.0 70.0 80.0 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66

tassi di attività (% attivi su pop) per età. Elaborazioni REF Ricerche su dati Istat

2013 2010

Anche i dati longitudinali confermano l’accresciuta permanenza nell’occupazione e la contestuale riduzione dei flussi di transizione verso la pensione degli occupati sopra i 55 anni. Se si calcola difatti il tasso di uscita dall’occupazione alla pensione (di anzianità o vecchiaia) per la popolazione dei 55-67enni si osserva come nell’ultimo biennio questo si sia decisamente abbassato rispetto alla media degli anni precedenti. Mediamente, tra il 2008 e il 2011, circa 8 lavoratori su 100 – nella classe d’età considerata – che l’anno precedente risultavano occupati hanno cessato l’attività per pensionamento. Nel 2012, il tasso di passaggio è sceso al 4.9 per cento, mentre nel 2013 è leggermente risalito al 6.2 per cento, mantenendosi però sempre lontano dai valori osservati in passato.

La maggior parte delle persone che sono rimaste attive sono anche rimaste occupate, con un incremento di quasi 200 mila occupati in più sopra i 55 anni rispetto al 2012 (+5.7 per cento in un solo anno). L’incremento del tasso di attività si è quindi quasi interamente tradotto in un aumento del tasso di occupazione dei lavoratori maturi. Se nel complesso il tasso di occupazione è diminuito di 0.9 punti percentuali rispetto al 2012, con riduzioni più o meno intense tra i più giovani e gli adulti, per i lavoratori maturi si è invece osservato un andamento inverso, con un incremento medio dell’indicatore dello 0.8 per cento per gli over 55enni.

Tassi di uscita dall'occupazione alla pensione 0 2 4 6 8 10 12 2008 2009 2010 2011 2012 2013 % di occupati nell'anno t0 che nell'anno t1 risultano aver cessato l'attività perché pensionati (anzianità o vecchiaia). C lasse 55-67 anni. Elaborazioni REF Ricerche su microdati

RC FL Istat

media

Tasso di occupazione - var 2013/2012

-6.0 -4.0 -2.0 0.0 2.0 4.0 15-19 20-24 25-29 30-34 35-39 40-44 45-49 50-54 55-59 60-64 65-69 70-74 var.assoluta

L’accresciuta partecipazione al mercato del lavoro della popolazione sopra i 55 anni non si è però concretizzata unicamente sul versante dell’occupazione, dal momento che in questo gruppo nel 2013 lo stock delle persone in cerca di lavoro è salito a 200 mila unità, in crescita del 13 per cento rispetto all’anno precedente (e del 135 per cento in confronto al 2008). La gravità della condizione di questo aggregato deve essere sottolineata, anche perché l’espulsione dei lavoratori più adulti dal sistema produttivo diviene più problematica all’interno del quadro delineato dalle recenti riforme previdenziali. La perdita dell’impiego e l’impossibilità di andare in pensione per l’innalzamento dell’età di quiescenza potrebbero creare difatti una situazione critica per questi individui, troppo giovani per la pensione e troppo anziani per trovare con facilità un lavoro adeguato (Istat, 2014). Le difficoltà di questo gruppo di disoccupati divengono particolarmente evidenti se si considera la durata della ricerca di lavoro: se nel complesso dei disoccupati il 56.4 per cento cerca un impiego da un anno o più, tra i disoccupati con almeno 55 anni questa incidenza arriva al 58.9 per cento, con un incremento rispetto al 2008 di 77 mila unità (+188 per cento).

L’osservazione dei dati demografici sulla popolazione italiana e le previsioni sulla sua evoluzione nel tempo mostrano ad ogni modo un aumento costante dell’incidenza della popolazione anziana, non compensato da una crescita altrettanto sostenuta della popolazione più giovane. Tale dinamica rivela un possibile problema di crescita nel medio termine, dal momento che la diminuzione della popolazione in età lavorativa comporterà, a parità di altre condizioni, una flessione degli occupati: per garantire i livelli di Pil sarà necessario aumentare il tasso di occupazione o il Pil per occupato, vale a dire la produttività del lavoro. A questo si deve poi aggiungere che l’aumento dell’età anagrafica della forza lavoro occupata è probabilmente, dati anche i livelli di scolarizzazione più bassi, fra le ragioni dell’andamento negativo della nostra produttività. Il ritardo nell’ingresso dei giovani nel mercato del lavoro accresce il nostro gap tecnologico rispetto agli altri paesi.

L’Italia continua a caratterizzarsi per la scarsa efficienza allocativa del capitale umano, anche conseguente alla mancanza di interventi sistemici sul fronte dell’innovazione e della ricerca, che assumono un ruolo ancora più critico in momenti di recessione economica. Il circolo virtuoso che si è creato nei sistemi economici europei tra innovazione e ricerca, utilizzo di tecnologie e domanda di lavoro qualificato, nel nostro Paese deve ancora arrivare e le politiche degli ultimi anni non hanno certamente giocato a favore.

1.4 Settori e territorio

La normalizzazione delle condizioni del mercato del lavoro nei prossimi anni non sarà semplice. Oltre ai limiti legati ai problemi di rilancio della domanda, e quindi alle difficoltà a conseguire tassi di crescita sufficienti per innescare una fase di ripresa dell’occupazione, sarà molto difficile la collocazione dei lavoratori che nel corso degli ultimi anni non sono riusciti a entrare nel mercato del lavoro, o ne sono stati espulsi. Peseranno molto i mismatch fra domanda e offerta, legati al fatto che la ripresa, ancorché graduale, caratterizzerà settori e territori non necessariamente coincidenti con quelli che hanno subito in misura maggiore le conseguenze occupazionali della crisi. Del resto, sebbene la recessione sia stata trasversale ai diversi settori e aree del paese, ciò non di meno vi sono segmenti della struttura produttiva che sono stati sottoposti a shock di domanda di maggiore intensità, o che hanno viceversa evidenziato una maggiore capacità di resistenza a tali shock. Allo stesso modo, le diverse aree del paese hanno evidenziato andamenti differenziati, in parte riconducibili ad effetti di specializzazione settoriale, legati alle specificità delle strutture produttive territoriali e in parte alla diversa forza del tessuto produttivo territoriale.