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Gli animali nel pensiero contemporaneo

Storia e sviluppi della filosofia animalista

2.4 Gli animali nel pensiero contemporaneo

Senza dubbio gli scritti di Darwin rappresentano uno dei luoghi principali del processo di decostruzione teorico-critica dell’antropocentrismo. La sua concezione “continuista” della natura intesa non più come gerarchicamente, ma gradualmente strutturata costituisce, infatti, la base per alcuni dei tentativi più interessanti di costruire una teoria etica in cui l’appartenenza ad una specie non svolga più alcun ruolo sostanziale nella risoluzione dei problemi morali emergenti dalla relazione uomo-animale. Tuttavia, contrariamente da quanto ci si poteva aspettare, la portata della rivoluzione intellettuale derivata dal crollo della tradizionale visione teleologica e gerarchica della natura ad opera dalla prospettiva darwiniana non è tale da determinare, nei grandi filosofi dei decenni successivi alla pubblicazione delle opere di Darwin, cambiamenti teorico-pratici sostanziali riguardo all’atteggiamento morale da tenere nei confronti degli animali. A parte qualche rilevante, ma isolata, eccezione bisognerà attendere gli anni ’70 del XX secolo perché la filosofia animalista, coadiuvata dagli sviluppi scientifici verificatisi nell’ambito di altre discipline quali quelle della psicologia,232 dell’etologia e della zoologia, dia

vita ad una fondazione teorica dei doveri dell’uomo verso il mondo animale che assuma un peso rilevante presso l’opinione pubblica. Tra le tante personalità dell’etica animalista contemporanea impegnata ad attribuire pieno status morale agli animali prenderemo in considerazione solo alcune di quelle più rappresentative.

Cominciamo da P. Singer (Melbourne 1948). La riflessione morale sulle sofferenze comunemente inflitte dagli uomini agli animali elaborata dal filosofo australiano si basa sul principio dell’uguale considerazione degli interessi di tutti gli esseri senzienti. Sebbene per alcuni sia difficile

232 Fondamentale per un nuovo approccio alla mente animale è il declino del

behaviourismo, inteso come superamento di quegli schemi teorici che rifiutavano qualunque attribuzione di attività mentale agli animali e che criticavano come antropomorfica ogni spiegazione del comportamento animale attraverso un riferimento a quello umano.

accettare che le differenze tra uomini e animali siano solo differenze di grado, a partire dalla teoria dell’evoluzione di Darwin non è più possibile credere nell’esistenza di quell’abisso di separazione incolmabile tra uomini e animali dato per scontato per la maggior parte del corso della civiltà occidentale. Ispirandosi all’utilitarismo di Bentham, dunque, ad una teoria morale di stampo conseguenzialista che guarda al valore di un azione in rapporto agli effetti benefici che da questa possono scaturire, il filosofo elabora una forma di utilitarismo della preferenza basato sul principio di uguaglianza interspecifica e sostiene che gli interessi di ogni essere coinvolto in un’azione devono essere presi in considerazione e valutati alla stregua degli interessi analoghi di ogni altro essere. Non si tratta, dunque, né di affermare l’assoluta uguaglianza di valore di tutte le vite, né di dare uguale valore morale ad ogni interesse, umano o animale che sia, ma semplicemente di non fare a priori discriminazioni avvallate da pregiudizi che vanno a favore della specie umana. Secondo la sua teoria etica minimale gli interessi che meritano uguale considerazione morale sono gli stessi per tutti gli esseri senzienti, siano essi uomini o animali. Questi interessi, che non hanno nulla a che fare con la razza, con il sesso, con l’intelligenza, la bellezza o il genere biologico d’appartenenza, sono costituiti, oltre che dall’esigenza di «evitare il dolore, sviluppare le proprie capacità, soddisfare i bisogni primari […], godere di rapporti amichevoli e d’amore con gli altri, essere liberi di realizzare i propri progetti […]»,233

soprattutto dalla capacità di provare sensazioni piacevoli e spiacevoli. Spiega Singer che:

«la capacità di provare dolore e piacere è un prerequisito per avere interessi in assoluto, una condizione che deve essere soddisfatta prima che si possa parlare di interessi in un modo che abbia senso. […] Un sasso non ha interessi perché non può soffrire. Nulla di ciò che possiamo fargli può comportare una qualsiasi differenza per il suo benessere. La capacità di provare dolore e piacere è una condizione non solo necessaria ma anche sufficiente perché si possa dire che un essere ha interessi. […] Un topo, per esempio, ha davvero interesse a non venir preso a calci per la strada, perché in tal caso soffrirà. […] se un essere non è

233 P. Singer, Etica pratica (1979), Liguori, Napoli 1989, p. 31. Devo questa

citazione come le successive (ad eccezione di quando diversamente precisato) a F. Allegri, Gli animali e l’etica, op. cit., cap. 2.

capace di soffrire, o di provare piacere o felicità, non vi è nulla da prendere in considerazione. È questa la ragione per cui il limite della sensibilità […] costituisce l’unico confine plausibile per la considerazione degli interessi altrui».234

È Alla luce di queste considerazioni che il principio di uguale considerazione degli interessi può e deve essere esteso oltre l’ambito umano, anche al mondo animale:

«Il principio dell’uguale considerazione degli interessi funziona come una bilancia, che pesa gli interessi in modo imparziale. Il piatto pende dal lato dove l’interesse è più forte o dove interessi diversi si combinano in modo da pesare più di un minor numero di interessi simili; ma la bilancia non prende in considerazione di chi siano gli interessi che sta pesando».235

Se la sensibilità, fondamento costitutivo dell’uguaglianza morale, è la condizione minima necessaria e sufficiente per riconoscere lo status morale di un essere vivente «dolore e sofferenza […] dovrebbero essere impedite […] indipendentemente dalla razza, dal sesso o dalla specie a cui appartiene l’essere che soffre» perché «dolori della stessa intensità e durata sono ugualmente cattivi, non importa se provati da umani o animali».236

L’estensione del principio dell’uguale considerazione degli interessi al mondo animale viene ulteriormente giustificata da Singer tramite l’argomento dei casi marginali, dunque, in riferimento a esseri umani così gravemente menomati da occupare un ruolo estremamente marginale nell’ambito della società. L’argomento tende a sottolineare che nonostante il livello mentale di questi individui sia paragonabile, e a volte anche inferiore, a quello di alcuni animali non-umani noi non siamo assolutamente disposti ad adottare nei loro confronti lo stesso trattamento lesivo che riserviamo comunemente a questi ultimi. Singer spiega che questo accade perché nonostante questi individui menomati non possiedano le normali capacità che differenziano gli esseri umani dagli

234Cfr.P. Singer, Liberazione animale (1975), Net, Milano 2003, pp. 23-24. 235P. Singer, Etica pratica, op cit., p. 30.

animali (essi vivono istante dopo istante senza l’autocoscienza di essere entità con un passato e con un futuro o l’autonomia di scegliere come vivere la propria vita), si ritiene più che sufficiente per attribuire loro un trattamento morale, che questi individui siano esseri umani ovvero appartengano a una specie che normalmente le possiede. Prese le distanze da questo tipo di morale che potremmo definire “preferenziale e affettiva” e una volta ammesso che lo status morale di un individuo e il diritto all’uguale considerazione degli interessi non può avere a che fare con la sua appartenenza specifica, Singer conclude così:

«È altresì importante ricordare che lo scopo del mio argomento è di elevare lo status degli animali piuttosto che di abbassare lo stato di qualsivoglia gruppo umano. Non voglio affermare che umani mentalmente menomati dovrebbero essere nutriti a forza con coloranti fino a che non ne muoia la metà – sebbene ciò fornirebbe una indicazione della non-nocività per l’uomo delle sostanze sperimentate, sicuramente più accurata della sperimentazione su topi o cani. Invece vorrei che la nostra convinzione, che sarebbe sbagliato trattare in questo modo umani gravemente menomati, fosse trasferita agli animali non umani dotati di un livello analogo di autocoscienza e con analoga capacità di soffrire. È eccessivamente pessimista astenersi dal cercare di modificare i nostri atteggiamenti a motivo del fatto che potremmo cominciare a trattare individui mentalmente menomati con la stessa mancanza di riguardo che abbiamo ora per gli animali. Piuttosto è il caso di trattare gli animali con il maggior riguardo che ora attribuiamo agli individui mentalmente menomati».237

Nella convinzione che il principio dell’uguale considerazione degli interessi non possa né supportare un’adeguata difesa dei diritti degli animali né contribuire veramente all’eliminazione del loro sfruttamento, l’etica dell’antispecismo di Tom Regan (1938-2017) propone un approccio alternativo al modello dell’utilitarismo della preferenza, precisamente un approccio di tipo deontologico che si inserisce su uno sfondo teorico giusnaturalistico di ispirazione Kantiana e che si articola in una teoria dei diritti morali. A differenza di Singer, Regan ritiene che il criterio relativo alla capacità di soffrire non sia sufficiente per tutelare gli animali come si dovrebbe, ossia come fini in sé (in questo il suo richiamo alla dottrina

kantiana), poiché dipende dalla valutazione degli interessi e dalle circostanze.

Per Regan il riconoscimento di diritti agli animali non è una affatto questione di sensibilità, bensì una questione di giustizia, ed essere per la giustizia significa esserlo, in nome della parità tra gli esseri viventi, sia per l’uomo che per l’animale. Inoltre, sfatando il diffuso pregiudizio secondo il quale essere dalla parte degli animali significa essere contro gli uomini ritiene che assumere posizioni animaliste non sia affatto antitetico, ma piuttosto complementare al riconoscimento dei diritti dell’uomo. Inevitabile per noi a questo punto il riferimento a M. Kundera che, ne L’insostenibile leggerezza dell’essere, dichiara «il vero esame morale dell’umanità, l’esame fondamentale, è il suo rapporto con coloro che sono alla sua mercé: gli animali».238 Proponendo una teoria morale imparziale

ed anti-specista fondata piuttosto sul principio del rispetto per l’uguale valore inerente di tutti i soggetti-di-una-vita Regan prende così le distanze dal principio dell’uguale considerazione degli interessi posto a fondamento del modello normativo di Singer accusandolo di ricondurre il valore morale dei soggetti al loro essere mero ricettacolo di esperienze di valore. La versione singeriana dell’utilitarismo, diversamente dalla versione dell’utilitarismo classico edonista (Bentham, Mill e Sidgwick), non formula una teoria normativa in termini di massimizzazione dell’utilità-felicità in generale, ma in termini di uguale considerazione degli interessi. Tuttavia, secondo Regan, Singer non riesce ad evitare il principale difetto dell’utilitarismo classico, ovvero la concezione ricettacolistica degli individui. Non solo gli esseri puramente senzienti, dunque, ma anche le persone,239 come d’altra parte Singer ammette senza difficoltà, sono per lui

meri contenitori sostituibili. Infatti:

238 M. Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere in M. Lessona Fasano, Le

orme dell’amore, op. cit., p. 124.

239«[…] non è specismo [è il concetto di persona e non quello biologico di essere

umano ad essere tirato in ballo, dunque, il concetto che fa riferimento ad un individuo che, dotato di ragione, autocoscienza, memoria, senso del futuro, etc., nel caso di una morte anticipata subisce un danno (maggiore rispetto agli enti meramente senzienti privi di una vita mentale complessa, dunque, di un senso del futuro) inteso precisamente nei termini di una frustrazione delle preferenze,

«la sua posizione ammette l’uccisione degli agenti morali nel caso in cui essi possano venire sostituiti da altri le cui preferenze presentino un ugual livello di soddisfazione, o nel caso in cui la conseguenza di ciò fosse la soddisfazione ottimale delle preferenze di agenti morali già esistenti».240

Singer vorrebbe attribuire valore alla nozione di persona, ma non ci riesce perché anche la persona entra in gioco solo in termini di preferenze, cioè è ridotta alle sue preferenze e indipendentemente da queste, dunque, di per sé, non vale assolutamente nulla. Inoltre, l’utilitarismo di Singer, non riesce a sostenere la causa animalista poiché si rivela incapace di giustificare obblighi diretti nei confronti degli individui non pienamente autocoscienti e razionali, siano essi umani o non umani. Infatti, oltre alla difficoltà di vietare, sulla base della sola preferenza di continuare a vivere, quindi anche della capacità di avere questa preferenza, l’uccisione di individui che non possiedono un’idea della morte, applicata alla questione animale, l’etica di Singer è incapace di contrastare la pratica degli allevamenti intensivi così come l’uccisione animale in generale. dei desideri e dei progetti che ha o che potrebbe avere per il futuro. Secondo Regan, se la nuova versione dell’utilitarismo della preferenza, restituendo valore alla vita e sottolineando il danno che le “persone” ricevono in ogni caso dall’essere uccise, si distanzia in modo considerevole dall’utilitarismo classico (le cui posizioni giustificano l’omicidio in molti più casi di quanti la moralità ordinaria ritenga legittimo, infatti, se per esempio uccidiamo una persona che non ha prospettive di vita futura felice senza farla soffrire e in gran segreto, non ci sono ulteriori ragioni morali per non farlo), consentendo a Singer un qualche superamento del problema morale degli omicidi segreti, tuttavia non gli consente di rendere conto della proibizione di togliere la vita a tutti quegli esseri che, non possedendo un’idea della morte, non possono avere il desiderio di continuare a vivere, ossia la totalità degli animali e degli umani “atipici”. Inoltre, anche supponendo, insieme all’utilitarista della preferenza, che una persona preferisca (nonostante tutto, nonostante la sua vita futura sarà totalmente infelice) rimanere in vita, sarà sufficiente la preferenza altrettanto forte di ucciderla da parte di un'altra persona a pareggiare i conti], né viola il principio dell’uguale considerazione degli interessi [per Singer infatti dire che la vita di una persona conta di più di quella di un ente mentalmente meno complesso non viola il principio dell’uguale considerazione degli interessi perché tale principio afferma che bisogna riconoscere lo stesso valore agli stessi interessi, per esempio, a quello di non provare dolore], sostenere che – al contrario della sofferenza – la vita di un essere mentalmente più complesso ha un valore superiore rispetto alla vita di un essere mentalmente meno complesso. Il concetto fondamentale a questo proposito è quello di persona come soggetto autocosciente e razionale, che Singer adotta [distinguendolo] dal concetto biologico di essere umano». Cfr. F. Allegri, Gli animali e l’etica, op. cit., pp. 113-115.

L’utilitarismo, spiega Regan, è una teoria conseguenzialista, dunque, per vietare o obbligare un’azione è necessario che i suoi effetti siano peggiori o migliori rispetto alle alternative. Allora, bisogna chiedersi se gli effetti complessivi dell’astenersi dall’alimentazione carnea siano davvero migliori rispetto alla pratica di mangiare carne. Cosa dire dei milioni di operai, quindi, di famiglie che vivono grazie al reddito proveniente dal business dell’industria della carne? Leggiamo:

«Se la soddisfazione delle preferenze è il criterio del giusto, allora si deve tenere conto, e tenere conto in modo equo, della soddisfazione delle preferenze di

chiunque; […] Poiché gli umani favorevoli a questa attività economica sono molto

più numerosi di quelli che vi si oppongono, riesce incomprensibile come le preferenze di questi ultimi possano sopravanzare quelle dei primi».241

Pur tenendo conto delle preferenze dei milioni di animali degli allevamenti intensivi resta il fatto che «la situazione rimane, nella migliore delle ipotesi, confusa».242 Infine, Regan rileva anche le insufficienze e le

contraddizioni proprie del tema dei casi marginali. Singer parla di vivisezione e avanzando un’ipotesi antispecista chiede agli sperimentatori se sarebbero disposti a utilizzare umani non paradigmatici al posto degli animali per le loro sperimentazioni. La risposta negativa sarebbe secondo lui già un’affermazione della non liceità della comune pratica scientifica. Ma, spiega Regan, se è pur vero che con questo ragionamento Singer mette in evidenza l’affinità fra animali e umani atipici nello stesso tempo però non ha giustificato la risposta negativa alla domanda, o per meglio dire: «[…] non dimostra che, in base a criteri utilitaristici, sarebbe ingiusto trattare gli umani in quei modi (egli si limita a fare appello alla nostra profonda convinzione che sarebbe ingiusto farlo, la qual cosa, tenuto conto delle critiche da lui avanzate nei confronti di appelli del genere, riesce alquanto strana)».243

In altre parole, Regan mette in evidenza come l’uso inclusivo del tema dei casi marginali, dunque di un argomento che, invitando ad un’agghiacciante riflessione swiftiana sulla possibilità di usare gli individui

241Ivi, p. 305. 242Ibidem. 243Ivi, p. 307.

umani “atipici” al posto degli animali in sede di sperimentazione, spera, quantomeno, di trasferire agli animali la stessa considerazione e rispetto solitamente dovuto nei confronti dei soggetti “marginali”, rischia però di autorizzare ugualmente all’uso esclusivo del tema, ovvero a riflettere sulla possibilità inversa, quella di abbassare gli umani atipici al rango di animali-oggetto.

Appellandosi alla nozione di valore inerente e di soggetto-di-una-vita Regan rigetta, ritenendolo inadeguato, il modello etico singeriano (e più in generale l’utilitarismo) delineando una teoria etica che trova il suo fondamento in un principio diverso da quello dell’uguale considerazione degli interessi e cioè nel principio del rispetto per l’uguale valore inerente di tutti i soggetti-di-una-vita. Questa teoria, che mira a restituire direttamente uno statuto etico di inviolabilità agli animali in quanto titolari di diritti per natura (in questo consiste il suo giusnaturalismo), parte dal principio formale di giustizia secondo cui individui uguali vanno trattati nello stesso modo (formale in quanto non specifica quale sia la misura del trattamento uguale). Questo principio asserisce solamente che trattare diversamente due individui senza indicare una differenza moralmente significativa fra loro vuol dire agire in modo non conforme a giustizia. Regan cerca di delineare, attraverso quella che è un’interpretazione normativa del principio della giustizia formale, una teoria alternativa sia all’utilitarismo (che come abbiamo visto, pur fondandosi su una proposta ugualitaria, va incontro a problemi di incoerenza) sia al perfezionismo. Il perfezionismo trova che l’elemento che da diritto a un trattamento uguale, migliore o peggiore, sia dato da qualcosa di misurabile (tale è, ad esempio, l’insieme delle qualità artistiche e/o intellettuali), dunque da qualcosa che, posseduta in misura maggiore o minore, conferisca rispettivamente più o meno valore al soggetto che la possiede. Secondo Regan poiché tale elemento si presenta casualmente in misura maggiore o minore nei soggetti e, dunque, senza che questi abbiano «fatto nulla per meritare un trattamento preferenziale», non può dirsi

«adeguata una teoria che fonda la giustizia su una base così fortuita».244

La natura ugualitaria dell’interpretazione normativa della giustizia sviluppata da Regan prende, invece, le mosse dalla tesi secondo cui una certa tipologia di individui possiede valore in sé, che si chiama inerente, che è uguale in tutti poiché non è dato dalla misura delle doti intellettuali, artistiche, etc., ma dal possesso di alcuni requisiti minimali. Per Regan sono dotati di valore inerente tutti quegli individui la cui «esperienza di vita è […] positiva o negativa in termini logicamente indipendenti dalla loro utilità per gli altri e dal loro essere oggetto di interesse per chiunque altro». Il valore inerente, spiega Regan, lungi dall’essere qualcosa di riconducibile esclusivamente al valore intrinseco delle esperienze, dunque al valore in sé degli stati di coscienza, si riferisce piuttosto al valore in sé di coloro che sono portatori di quelle esperienze. Indubbio è il riferimento all’imperativo categorico kantiano a cui però Regan dà un’articolazione più estesa rispetto a quella di Kant, includendo nella cerchia degli individui dotati di valore in sé anche gli animali. Con il principio del valore inerente Regan riesce, dunque, a prendere le distanze sia dal perfezionismo sia dall’utilitarismo che, ancorato al valore intrinseco degli stati di coscienza, tratta gli individui come meri contenitori-ricettacoli di esperienze di valore, puntando, piuttosto, e come abbiamo detto, a riconoscere il valore in sé dei portatori di quelle esperienze. Se il valore in sé è qualcosa di indipendente dagli stati di coscienza esso è invariabile rispetto al valore delle esperienze che un soggetto compie, non conosce gradazioni ed è posseduto in ugual misura da tutti gli esseri viventi. Non è qualcosa che gli individui possono «guadagnare grazie ai loro sforzi o perdere in virtù di ciò che fanno o non fanno; […] un criminale non ne ha meno di un santo».245