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La questione animale nella letteratura

3.3 La vita degli animal

Nel romanzo intitolato La vita degli animali,360 Elizabeth Costello,

protagonista e sorta di alter ego dell’autore, dà voce alle proprie preoccupazioni etiche proponendosi di mostrare, attraverso uno sconcertante confronto con l’Olocausto, la stretta relazione che intercorre tra la crudeltà e l’uccisione istituzionalizzata e industrializzata degli animali ai nostri giorni e quella subita, durante seconda guerra mondiale, dagli ebrei e, piu precisamente, come nel caso dell’Olocausto si sia semplicemente trattato di estendere agli esseri umani trattamenti che nella nostra società sono normalmente praticati nei confronti degli animali. Le parole di Costello «Chicago ha mostrato la via» riassumono apertamente quanto, parafrasando Horkheimer e Adorno, potremmo esprimere più ampliamente: nella violenza che l’economia di mercato infligge, gratuitamente, agli animali, si manifesta parallelamente la tendenza di una logica tesa a trattare tutti gli esseri viventi (animali e non) come oggetti, semplici prodotti-beni di consumo.361 Il paragone istituito da

Costello non è affatto originale ed è stato già trattato da diversi narratori e filosofi del Novecento tra i quali si annoverano appunto Theodor Adorno e Max Horkheimer, Hanna Arendt e Isaac B. Singer. Per Costello il fatto che oggi si possa ancora trattare degli esseri viventi alla stregua degli ebrei nei campi di sterminio dimostra che perfino un passato così tragico, «un

360 J. M. Coetzee, La vita degli animali, trad. it. cit.

361 «La lotta continua dell’uomo contro l’uomo, regnino nel mondo la pace o la

guerra, spiega l’insaziabilità della specie, gli atteggiamenti pratici che ne sono conseguenza e anche le categorie e i metodi dell’intelligenza scientifica in cui la natura è guardata in misura sempre maggiore dal punto di vista del suo più efficiente sfruttamento. Questa forma di percezione ha anche determinato il modo in cui gli esseri umani si vedono l’un l’altro nei loro rapporti economici e politici. Gli schemi cui obbedisce la visione che l’uomo ha della natura si riflettono infine sull’immagine dell’uomo nella mente umana, la determinano […]. Il principio del dominio dell’uomo sulla natura è divenuto l’idolo al quale si sacrifica tutto». T. W. Adorno – M. Horkheimer, Dialettica dell’Illuminismo in G. Ditadi, I filosofi e gli animali, op. cit., pp. 257 e 259.

tumore della memoria»362 come Lévinas lo ha definito, può essere

dimenticato e anche che gli esseri umani sono legittimati a compiere qualsiasi gesto, «fare qualsiasi cosa, a quanto pare, e [tuttavia] uscirne puliti. […] possiamo fare di tutto [insomma] e passarla liscia; non c’è punizione».363 Anche H. Arendt ritiene che i campi di sterminio abbiano

smascherato quello che è «il valore originario della morale: un codice di norme, di usi e di costumi che possono essere sostituiti con la stessa facilità con cui si cambiano le usanze conviviali».364 L’obiettivo è insomma

quello di mostrare l’errore insito nella convinzione che un evento tanto nefasto quale fu appunto l’Olocausto non potrà più ritornare in considerazione del fatto che appartiene per sempre a un passato concluso, finito. Questo modo sbagliato, ma soprattutto rassicurante, di vivere la consapevolezza di una tale atrocità, non solo ci illude dell’essere esenti da quel passato di umana follia, ma offusca la nostra capacità di giudizio e di valutazione su ogni altro genere di orrori comunemente praticati all’interno della nostra società. Sulla scorta dei pensieri di Z. Bauman,365

sembra che anche Coetzee tenda a svelare l’inquietante verità della banalità del male per poi smontare, pezzo dopo pezzo, ogni luogo comune che associa generalmente il male alla potenza della follia irrazionale, del patologico e della trasgressione. L’orrore per Coetzee-Costello scaturisce, oggi come allora, proprio dalla costatazione di un male che non può «più essere compreso e spiegato coi malvagi motivi dell’interesse egoistico, dell’invidia, dell’avidità, del risentimento, della smania di potere, della vigliaccheria […],366 poiché esso si manifesta semplicemente come

impeccabile esecuzione dell’ordinario. Nessuna furia tumultuosa e incontrollata, dunque, ma semplicemente la ragione lobotomizzata e istituzionalizzata di uomini “ordinari” che non presentavano particolari

362 E. Lévinas, Banalità del male in I concetti del male (a cura di) P. Portinaro,

op. cit., p. 30.

363 Ivi, p. 47.

364Cfr. H. Arendt, ivi, p. 35. 365Cfr. Z. Bauman, ivi, p. 37. 366Cfr.H. Arendt, ivi, p. 32.

patologie, che eseguivano il loro lavoro come un compito, in conformità alla norma, rispettando disciplinatamente il loro ruolo e che, dal momento in cui si toglievano l’uniforme, mostravano una completa assenza di malvagità. Olocausto umano e olocausto animale condividono il medesimo vettore della neutralizzazione della responsabilità personale: la coerenza con i dettami della razionalità.

Anche se in molti potrebbero pensare (proprio a questo sono chiamati i personaggi che interagiscono con la protagonista del romanzo esprimendo opinioni fortemente critiche e sfavorevoli nei confronti della sua tesi) che non sia affatto accettabile estendere agli atteggiamenti manifestati nei confronti degli animali le stesse considerazioni morali esprimibili a proposito dell’abominio subito in quell’occasione dagli ebrei, è proprio e semplicemente il fatto che i tedeschi non riuscirono a «immaginarsi al posto delle vittime»,367 perché di questo si tratta, a rendere

l’atteggiamento manifestato nei confronti di questi altri esseri viventi egualmente esecrabile. Elizabeth Costello, prendendo spunto dal saggio del filosofo Thomas Nagel, “What Is Like to Be a Bat”,368 basa la sua

argomentazione sulla capacità di potersi sempre immaginare al posto di un “altro” essere vivente, ritenendola un fondamento più che sufficiente sia al risveglio della coscienza che della possibilità, da parte dell’uomo, di comportarsi in un modo che sia “eticamente” corretto. Di fatto, come vedremo, l’assunto per cui la posizione di Elizabeth Costello debba esattamente coincidere con quella dell’autore viene in qualche modo smentito dal finale del racconto che vede, da una parte, la stessa Costello, mentalmente e fisicamente spossata per il dispendio di energie che la sua incompresa conferenza contro il maltrattamento degli animali ha richiesto, preda di uno stato confusionale dovuto ad una sorta di crollo nervoso («È possibile, mi chiedo, che tutti quanti siano complici di un crimine di proporzioni stupefacenti? Sono tutte fantasie? Devo essere

367J. M. Coetzee, La vita degli animali, op. cit., p. 46.

368 T. Nagel, Che cosa si prova a essere un pipistrello?, in D. R. Hofstadter e D. C.

Dennett, L’io della mente, Adelphi, Milano 1985, pp. 379-91. Questo testo è stato uno dei più influenti scritti di filosofia della mente degli anni ’70.

pazza. […] guardo nei tuoi occhi […] e vedo soltanto bontà, bontà umana. Calmati mi dico, stai facendo d’una mosca un elefante»),369 mentre

dall’altra anche suo figlio (il cui nome, John, lo collega a Coetzee identificandolo come altra possibile espressione auto-referenziale dell’autore), assistente universitario di fisica e astronomia, in questo senso, portavoce di quelle posizioni assiologico-razionalistiche che guardano all’uomo come a un valore assoluto,370 tenta di rassicurarla con

un fare “significativamente” condiscendente (lo stesso che saremmo soliti tenere nei confronti di chi ha una visione profondamente distorta della vita) ovvero prefigurante l’annientamento del punto di vista tenacemente dibattuto dalla madre nel corso di tutto il romanzo («Su, su. Tra poco passa»).371 Ma quella del figlio è solo l’ultima delle personalità “razionali”

che nel corso del romanzo di Coetzee compaiono con la precisa funzione di stemperare la posizione dell’anziana scrittrice. Il risultato è quello di trovarsi davanti ad un testo complesso che disorienta l’atto interpretativo del lettore che ha come l’impressione di sorprendere l’autore nell’atto di chi, lanciando il sasso, si appresta subito a nascondere la mano. Come

369J. M. Coetzee, La vita degli animali, op. cit., p. 85.

370 Si ritiene opportuno riportare in proposito alcune delle posizioni più

rappresentative della tesi opposta a quella della Costello: «gli animali «non hanno accesso alla nostra sovrastruttura di preoccupazioni e credenze […] Nella vita degli animali, le cose, buone o cattive, accadono e basta. […] Non hanno nessuna speranza di diventarne consapevoli. Perché vivono in un vuoto di coscienza». Ivi, p. 57.Per gli animali «la vita non è importante come lo è per noi»; gli animali «non comprendono la morte come la comprendiamo noi, o meglio come noi riusciamo a comprenderla. Al cospetto della morte, nella mente umana si verifica un crollo dell’immaginazione, e quel crollo dell’immaginazione […] è alla base della nostra paura della morte. Quella paura non esiste e non può esistere negli animali, […] per un animale la morte è solo qualcosa che succede […] Per gli animali la morte segue la vita. […] Gli animali vivono e poi muoiono: tutto qua […]». Ivi, pp. 78-79. Il filosofo Michael P.T. Leathy, si schiera contro la messa al bando della macellazione degli animali, e sostiene: «È possibile […] affermare che il vitello sente nostalgia per la madre? Il vitello è in grado di afferrare il significato del rapporto con la madre, il significato dell’essenza materna? Ne sa abbastanza […] della nostalgia, per sapere che la sensazione che prova è la nostalgia? […] Un vitello che non ha assimilato i concetti di presenza e assenza […] non si può dire, […] che senta nostalgia per qualcosa. Per provare nostalgia, a rigor di termini, dovrebbe frequentare prima di tutto un corso di filosofia». Ivi, p. 81.

commenta P. Singer «la trovata narrativa di Coetzee gli permette di tenersi a distanza. E c’è questo personaggio, Norma, la nuora, che fa tutte le obiezioni ovvie a quello che dice la suocera. È davvero una splendida trovata. Elisabeth Costello può criticare tranquillamente l’uso della ragione, o la necessità di avere chiari principi e divieti, senza che Coetzee si comprometta con le sue affermazioni. Magari in realtà lui condivide i dubbi molto legittimi di Norma in proposito».372R. Malamud afferma che

proprio P. Singer, e insieme a lui K. Dawn, nel saggio intitolato “Convergin Convictions: Coetzee and His Characters on Animals”, considerando la questione relativa all’identità del personaggio Elisabeth Costello e l’effettiva possibilità di una convergenza tra le idee da lei espresse e quelle del suo autore, si chiede se la Costello «speaks for Coetzee himself».373 Dawn e Singer rilevano non solo che Coetzee stesso è

vegetariano, ma che, nonostante la sua nota riluttanza alle interviste, non sono mancate le, seppur occasionali, dichiarazioni fatte alla stampa in merito alla questione dei diritti degli animali. Dawn e Singer sostengono, inoltre, che la relazione tra l’autore e i suoi personaggi si è incrementata sempre di più nel corso della sua carriera. Secondo il loro punto di vista, dunque, non è un caso che anche Costello sia una famosa scrittrice, che il suo cognome ricordi tanto da vicino quello di Coetzee e che il figlio di Costello si chiami proprio John, come l’autore. In particolare «Coetzee seems increasingly willing to voice his ethical arguments on behalf of other animals in his own name, […] though there are still layers of detachment in his writing». A proposito, Harold Fromm sostiene che Coetzee ha scelto di raccontare la storia con «uncharacteristic wit and irony, rhetorical modes that [he] has customarily avoided» perché «here serve as intentional feints to throw the reader off the trail that might identify the autor’s point of view (which he himself may not yet have

372P. Singer, Riflessioni, ivi, p. 110.

373 Cfr. R. Malamud, Coetzee and Animals, Literature and Philosophy, op. cit.,

identified)».374 Ma è ancora una volta Malamud a ricordarci che se, per

esempio, Costello apre il dibattito facendo un paragone tra la consueta violenza esercitata dagli uomini sugli animali e la sofferenza degli ebrei durante l’Olocausto, anche «Coetzee, writing in his own voice in a Granta essay titled “Meat Country”, raises the same comparison “though he dances around it, asking rather than asserting”». Inoltre, ancora discutendo del pensiero di Dawn e Singer, Malamud aggiunge che, nonostante il tono elusivo della narrativa coeziana impedisca di fare «an absolute determination that the author affirms his characters’ ethical forcefullness», lascia tuttavia sentire, a noi lettori, «that we may comfortably associate the main thrust of Coezee’s own values with Elisabeth Costello’s».375 Per i lettori che si interessano di animali questa

rappresenta certamente la sfida centrale degli scritti di Coetzee. In che modo dobbiamo interpretare la polemica della Costello? Continuando, Malamud sostiene che, nel saggio “Irony and Belief in Elizabeth Costello”, anche Michael Funk Deckard e Ralph Palm discutono a proposito del problema dell’ironia «that surround the protagonist’s moral presence». Per esempio,la Costello presenta una forte fragilità che tuttavia si scontra con la sua determinazione, e in generale il racconto include molte contro- argomentazioni a cui lei non è neppure in grado di ribattere. Michael Funk Deckard e Ralph Palm sostengono a proposito che è proprio «“through ironies and aporias”» che Coetzee persevera in quello che è lo scopo del racconto: «to challenge […] “the nature of philosophical questioning throughout the whole of the Western philosophical tradition”».

Nel romanzo La vita degli animali J. M. Coetzee riunisce le due Tanner Lectures376 tenute nel 1997-1998 presso la Princeton University. Queste

374Cfr. H. Fromm, Coetzee’s Postmodern Animals, The Hudson Review, Vol. 53,

No. 2 (Summer, 2000), pp. 336-344, p. 340.

375 Cfr. R. Malamud, Coetzee and Animals, Literature and Philosophy, op. cit.,

pp. 214-215.

376 «Si tratta di conferenze annuali incentrate sul rapporto tra le diverse

discipline accademiche e i valori umani. Organizzate in varie università statunitensi (Utah, Harvard, Michigan, Princeton, Stanford, Yale), sono state istituite dal filantropo Obert Clark Tanner, professore emerito di filosofia (1904- 1993). I relatori invitati a parlare sono personalità di profili diversi che si sono

due conferenze tenute da Coetzee si concentrano su una questione etica importante, cioè sul modo in cui gli uomini trattano gli animali ed hanno come risultato una critica relativa al consueto atteggiamento che gli uomini hanno nei loro confronti. Coetzee si discosta dalla forma tipica delle Tanner Lectures, costituite in genere da saggi filosofici, e dando alle sue conferenze la forma di un racconto ci fa immaginare un’occasione accademica (simile alle Tanner Lectures) in cui il personaggio Elisabeth Costello, anziana nonché eloquente scrittrice australiana di grande fama letteraria, viene invitato negli Stati Uniti, in un fittizio Appleton College, per tenere l’annuale Gate Lecture dell’istituto su un tema a sua scelta. Con grande sorpresa degli ospiti le conferenze non trattano di letteratura o di critica letteraria, le sfere di competenza più ovvie per uno scrittore, perché Elisabeth sceglie di discutere un tema a lei caro, e data la radicalità con cui lo affronta anche piuttosto scottante, cioè quello del comportamento criminale di coloro che gestiscono il commercio e gli impianti di lavorazione degli animali destinati o alla produzione alimentare o alla sperimentazione, nonché quello del totale disinteresse manifestato da tutti coloro che preferiscono liquidare velocemente la questione sia per tutelare la propria sensibilità sia per non prendere posizioni che risulterebbero poi scomode alla libera fruizione dei prodotti del loro sacrificio. La situazione narrativa rispecchia, dunque, molto fedelmente quella reale che ha visto Coetzee chiamato a tenere una conferenza all’Università di Princeton e la riproduce sottoforma di racconto, ma, come abbiamo già affermato e come anche la critica non ha mancato di sottolineare, appare sempre più evidente nel corso della lettura che la scelta di affidare l’esposizione di un tema tanto spinoso a una voce diversa dalla sua, quella di Costello, abbia argutamente permesso all’autore di sparire dalla scena del dibattito per demandare a lei, un personaggio inventato, la responsabilità delle affermazioni che compaiono nel testo, rendendo in questo modo ardita qualunque attribuzione personale. Sebbene lo scrittore invitato a Princeton per esprimere il suo parere su un tema eticamente rilevante sia distinte nel campo della difesa dei valori umani». G. Iannaccaro, J. M. Coetzee, op. cit., p. 170.

stato accusato di non aver preso una chiara posizione personale, di non aver “rischiato” niente, diventa molto meno essenziale sapere cosa pensi Coetzee in carne e ossa in merito alla questione dei diritti degli animali se si guarda al testo da un’ottica differente, cioè dall’ottica dell’estrema ricchezza della riflessione che la lettura de La vita degli animali è capace di innescare nei suoi lettori.

Sebbene Coetzee non ha mai scritto, prima di questo, un romanzo che avesse come protagonisti gli animali, sappiamo benissimo che i riferimenti e le similitudini con il mondo animale sono una costante di tutti i suoi romanzi. Presenti nel ruolo di personaggi che potremmo definire “marginali” tuttavia essi vengono frequentemente e ripetutamente evocati dai diversi protagonisti che vi si riferiscono con un’attenzione particolare ogni qual volta vogliono toccare il cuore delle cose oppure rappresentare la condizione dell’altro, di colui che è diverso da sé per eccellenza. Quasi tutti questi animali, solitamente vittime della crudeltà e dell’indifferenza della specie più forte, soffrono profondamente insieme all’umanità sofferente. Louis Tremaine ritiene che da Età di ferro in poi la presenza degli animali nei romanzi di Coetzee, in particolar modo quella dei cani, associata alla morte, all’esplorazione degli ultimi istanti di vita e alla consapevolezza della morte imminente, sia chiamata in causa proprio per rispecchiare la condizione umana di derelizione.377

Il libro si divide in due parti. La prima è costituita dalle conferenze di Costello su I filosofi e gli animali e su I poeti e gli animali inserite all’interno di un contesto narrativo. Nella seconda troviamo invece quattro brevi saggi di commento di alcuni studiosi di diverse discipline che intervengono in risposta al racconto. Nella prima delle due conferenze Elisabeth Costello prende di mira la filosofia criticando in particolare l’utilizzo del pensiero razionale come unico criterio di conoscenza e di valutazione della realtà a causa del cui metro di paragone gli uomini sono soliti escludere gli animali da qualsiasi forma di intelligenza. E. esordisce

377 L. Tremaine, “The Embodied Soul: Animal Being in the Work of J. M.

facendo riferimento ad una conferenza discussa due anni prima,378 nel

corso della quale aveva citato un racconto di Franz Kafka intitolato “Una relazione per un’Accademia”. La protagonista, una scimmia chiamata Pietro il Rosso, racconta379 ai membri di un’accademia la storia della

propria vita e della propria ascesa dal rango di bestia a qualcosa di assai simile all’uomo, provando di averne pienamente appreso i modi, le convenzioni e il linguaggio.380

Il riferimento a quel racconto è motivato, come Elisabeth precisa,381 dal

fatto che lei stessa, identificandosi con la sofferenza fisica di Pietro il Rosso, si senta, oggi ancor più che in quell’occasione, come la scimmia di Kafka: un animale braccato e ferito che si presenta dinanzi ad un consesso di illustri studiosi per mostrare e nello stesso tempo non mostrare una

378J. M. Coetzee, “Il realismo” in Elisabeth Costello, trad. it. cit.

379«Temo che non si comprenda bene cosa intenda per via d’uscita. Uso la parola

nel suo senso più comune e più completo. E di proposito non dico libertà. Non voglio parlare del grandioso senso di libertà che si irradia in ogni direzione. Quand’ero una scimmia forse lo conoscevo e ho conosciuto uomini che vi anelavano. Quanto a me però, non ho mai aspirato alla libertà allora, né oggi. Tra parentesi: troppo spesso gli uomini si ingannano fra di loro con la libertà. E, come la libertà si può contare fra i sentimenti più sublimi, anche la relativa illusione è tra le più sublimi. […] No, non volevo la libertà. Soltanto una via d’uscita: a destra, a sinistra, purché fosse; non avevo altre esigenze; anche se la via d’uscita fosse risultata un’illusione […]». F. Kafka, Una relazione per

un’Accademia (1917) in Id., Tutti i racconti, trad. it. (a cura di) E. Pocar,

Mondadori, Milano 2015, pp. 234-235.

380 «Che progressi! […] confesso però anche di non averne esagerato il valore, né

allora né tanto meno oggi. Con uno sforzo, che finora non ha avuto l’uguale sulla terra, ho raggiunto il grado di cultura media di un europeo. In sé questo non sarebbe forse niente, ma diventa qualcosa in quanto mi ha aiutato a uscire dalla gabbia e procurata questa singolare via d’uscita, questa via d’uscita dell’umanità. C’è un modo di dire tedesco veramente eccellente: darsi alla macchia ossia svignarsela; io l’ho fatto, mi sono proprio dato alla macchia. Non avevo altro scampo, sempre ammesso che non c’era da scegliere la libertà». Ivi, p. 239.

381 «Non sappiamo. Non sappiamo e non sapremo mai, con certezza, che cosa