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Aspetti generali dell’opera di J M Coetzee

La questione animale nella letteratura

3.1 Aspetti generali dell’opera di J M Coetzee

La ragione per cui la riflessione si rivolge ora all’ambito letterario nasce da un tentativo di incontrare l’animale, «l’autrui»,282 mettendo in

discussione il modo tradizionale di pensarlo come inferiore rispetto all’essere umano, vagliando la possibilità di rapportarci ad esso a partire dalla ricchezza di una prospettiva, quella letteraria appunto, “creativamente” capace di rivelare come mondo umano e mondo animale siano intimamente connessi tra loro senza mai per questo coincidere. In particolare, la forza evocativa delle narrazioni che analizzeremo lascerà trapelare zone di contatto fra uomo e animale restituendo alla natura e ai gesti dell’altro una voce e un’identità autonome ed irriducibili. Per rappresentare l’alterità senza ricorrere al simbolismo o all’antropomorfismo, cioè attingendo alle strutture di significato di una società come quella umana in cui, nonostante l’avvicendarsi di studi scientifici capaci di decostruirne e destabilizzarne le certezze, l’animale è sempre stato considerato come altro e perciò relegato a un margine di indiscussa inferiorità rispetto all’essere umano, alcuni scrittori del XX secolo, consapevoli della presunzione insita in tale atteggiamento, hanno cercato di “prestare orecchio” alla voce autentica del regno

Literature and Philosophy, Journal of Animal Ethics, Vol. 2, No. 2 (2012),

University of Illinois Press in partnership with the Ferrater Mora OxfordCentre for Animal Ethics, p. 213.

280 Per un approfondimento sulle categorie di forma e contenuto qui utilizzate è

possibile fare riferimento al saggio di F. Orlando, Per una teoria freudiana della

letteratura, Einaudi, Torino 1975.

281R. Gaita, Il cane del filosofo, op. cit. p. 113.

282 Cfr. T. W. Adorno, Dialettica negativa (1966), trad. it. (a cura di) C. A.

Donolo, Einaudi, Torino 1975, p. 21 in G. Ditadi, I filosofi e gli animali, op. cit., nota p. 255.

animale, la sola in grado di decostruire le certezze apodittiche di una civiltà radicata nel pensiero greco e giudaico-cristiano, e dunque di mettere in discussione la liceità della prerogativa umana a interpretare o decodificare il regno della natura secondo i propri schemi gerarchici. Nei racconti di questi autori l’animale si “impone” all’essere umano e lo costringe, semplicemente con la sua naturalezza, senza cioè varcare la soglia dell’umano e senza oltrepassare un confine ontologico di fatto invalicabile, a riconsiderare non solo le loro somiglianze, bensì quelle sottili e al contempo irriducibili differenze che li rendono al tempo stesso vicini ma non coincidenti.

I romanzi che si è scelto di analizzare in questo lavoro di revisione sono opera di J. M. Coetzee,283 uno dei più famosi e influenti scrittori del XX-

XXI secolo. Vincitore del Premio nobel nel 2003, Coetzee è stato anche

283J. M.Coetzee è nato il 9 febbraio 1940 a Cape Town in Sudafrica da genitori di

stirpe Afrikaner. Ha studiato matematica e inglese all'Università di Cape Town e ha ottenuto i diplomi di Bachelor of Arts con lode in inglese nel 1960 e in matematica nel 1961. Nel 1962 Coetzee si è trasferito nel Regno Unito, dove è

rimasto per tre anni lavorando come programmatore informatico, dapprima all'IBM a Londra, poi a Bracknell, nel Berkshire. Con il Programma Fulbright nel 1965 è andato all’Università del Texas ad Austin, dove nel 1969 ha conseguito il dottorato in linguistica con una tesi sull'analisi stilistica computerizzata nelle opere di Samuel Beckett. Frattanto ha iniziato a insegnare letteratura all’Università di Buffalo, nello stato di New York. Qui è rimasto fino al 1971. Tornato in Sudafrica come insegnante di letteratura inglese all'Università di Città del Capo, ha compiuto la carriera accademica fino al pensionamento nel 2002. Si è quindi trasferito ad Adelaide, in Australia, dove, insignito del titolo di Honorary Research Fellow è divenuto membro onorario del Dipartimento d'inglese dell’università locale. Nel 2006 ha ottenuto la cittadinanza australiana. È stato il primo scrittore insignito due volte del Booker Prize: la prima nel 1983 per La vita

e il tempo di Michael K, la seconda nel 1999 per Vergogna. Tre volte vincitore del

“CNA Prize” Coetzee è stato insignito di molti altri riconoscimenti culminati con l’assegnazione del Premio Nobel del 2003. Oltre che dei romanzi già citati è autore di Terre al crepuscolo (1974), Nel cuore del Paese (1977), Aspettando i

barbari (1980), Foe (1986), Età di ferro (1990), Il maestro di Pietroburgo

(1994), La vita degli animali (1999), Infanzia. Scene di vita di provincia (1997),

Gioventù. Scene di vita di provincia (2002), Elizabeth Costello (2003), Slow Man (2005), Diario di un anno difficile (2007), Tempo d'estate. Scene di vita di provincia (2009), L'infanzia di Gesù (2013) e I giorni di scuola di Gesù (2016).

Negli ultimi anni, Coetzee ha assunto apertamente posizioni critiche contro il maltrattamento animale e a favore del movimento per i diritti degli animali. Famose le sue due conferenze (I poeti e gli animali e I filosofi e gli animali, pubblicate in italiano nel volume La vita degli animali) scritte per un convegno in Australia a favore dei diritti degli animali e dell'etica vegetariana.

definito come «a scrupulous doubter, ruthless in his criticism of the cruel rationalism and cosmetic morality of Western civilization».284 Attridge

individua le ragioni principali del successo delle opere di questo scrittore di fama internazionale non solo «in their extraordinary ability to grip the reader in proceeding from sentence to sentence and from page to page, to move intensely with their depictions of cruelty, suffering, longing, and love», ma soprattutto nel modo in cui esse «raise and illuminate questions of immense practical importance to all of us».285

Critico dei tradizionali sistemi di potere, Coetzee indaga l’approccio dell’essere umano a un “diverso” da sé che resta però ineffabile e inafferrabile e punta a trasformare, seppure in modo latente, non solo il lettore, ma con esso anche la realtà che lo circonda. L’altro «since to apprehend […] as a general phenomenon is to take away its otherness» e sebbene «is not sought, [it] impinges on a life without notice, without discernibile reason»,286 si presenta come «an otherness that is not to be

conjured away», ma che «remains unknowable to the end».287 L’altro, che

«appears in the form of what Derrida calls arrivant»,288 si impone all’Io

costringendolo a rivedere la propria realtà in considerazione di questa nuova, ma ineludibile presenza, proprio a partire dalla consapevolezza di sentirsi «responsible for it/him/her/them, […] responsible in an absolute way; it is not a matter of calculating a certain degree of responsability and then acting upon it. Of course, we can refuse this responsability, and most often we do», ma le storie di Coetzee raccontano invece «what happens to

284R. Malamud, Coetzee and Animals, Literature and Philosophy, op. cit., p. 212. 285D. Attridge, J. M. Coetzee and the Ethics of Reading. Literature in the Event,

The University of Chicago Press, Chicago-London 2004, p. x.

286Ivi, p. 103. 287 Ivi, p. 101.

288 «the arrivant, which we might traslate into English as “one who arrives” or

“arrival” (as in “the latest arrival”). […] in Aporias, Derrida glosses the term as follows: “The new arrivant: this word can, indeed, mean the neutrality of that

which arrives, but also the singularity of who arrives, he or she who comes,

coming to be where he or she was not expected, where one was awaiting him or her whitout waiting for him or her, without expecting it, whitout knowing what or whom to expert, what or whom I am waiting for – and such is hospitality itself, hospitality toward the event”». Ivi, pp. 120-121.

someone who accepts it, without calculation, without forethought – or better, accepts it on the far side of calculation and forethought, at the end of a long life lived according to the rules […]. The fullest acceptance of responsability to and for the other» permette all’io di «to be changed by the other».289 Questo accade perché l’altro, di cui e per cui l’io si sente

responsabile, diventa lo specchio dell’io che vi si rapporta e il suo dolore rappresentativo non solo del dolore di ciò che è altro da sé, bensì di quello di un’alterità più radicale che va oltre ogni limite e che pertanto coinvolge anche l’io stesso. Quel male potrebbe essere il suo ma, insieme, anche quello di ogni altra creatura vivente. Infatti, come Randy Malamudha ha giustamente rilevato, se in generale «the haunting trauma of iniquity» risuona fortemente in tutta la sua produzione letteraria «For the last decade and half, Coetzee has increasingly turned his attention to how moral inequities play out in the realm of anthrozoological relations». Questa «His examination of animal rights and the traditions of human dominance grows clearly out of his earlier engagement with the sins of apartheid». È proprio a partire dalla rappresentazione della questione animale che Coezee richiama «also the psychological and moral phenomenology of personal relationship»; un vero e proprio «realm of other etical issues arises in conjunction with the deliberation of animal ethics», tanto che noi lettori abbiamo come l’impressione che «when we begin to pull the thread, the entire jumper unravels». La potenza filosofica dei testi coetziani, frutto di un «task ideally situed to “the novelist’s ability to effectively create – or even recreate – the tightly woven fabric of an individual life”», non solo «reflects […] the novelist’s idea of the relationship between fiction and truth» e quindi anche tra «literature and philosophy», ma è a tutti gli effetti responsabile di quello che «we might call moral awakening».290

In ognuno dei romanzi che si è scelto di analizzare i protagonisti si trovano a vivere, e noi con loro, una situazione di questo tipo: quella di

289Ivi, pp. 103-104.

290 Cfr. R. Malamud, Coetzee and Animals, Literature and Philosophy, op. cit.,

sentirsi ambiguamente responsabili nei confronti di sconosciuti con i quali entrano improvvisamente e inaspettatamente in contatto. Anzi, ciò che accade in particolare in questi racconti è che la vita del protagonista, un umano, viene letteralmente sconvolta dal senso di responsabilità scaturito dall’incontro con un’alterità che non a caso è sempre un’alterità animale o animalesca. La rappresentazione del bisogno di prendersi cura, insieme a quella del senso di rispetto e di responsabilità verso l’alterità animale, alterità che più di tutte conserva la prova del perdurare nell’uomo di un atteggiamento ispirato al “complesso di Dio”, l’ultima di cui può ancora disporre incondizionatamente e su cui può ancora deliberamente imporre la propria volontà di dominio, rimanda piuttosto alla realizzazione di quel desiderio tanto atteso, quanto purtroppo costantemente disilluso, di superare i confini fra gli esseri viventi decostruendo, attraverso la rappresentazione delle sue aporie e dei suoi fallimenti, quel ruolo auto- attribuitoci di signori della civiltà.

Anche D. Attridge suggerisce che l’opera letteraria di Coetzee, proprio per la sua caratteristica capacità di risvegliare la coscienza del lettore attraverso la rappresentazione di situazioni che suscitano inquietudine, senso di colpa e riguardano l’Altro, si presenta come un luogo preposto più di altri all’accoglimento di istanze etiche perché consente al lettore di parteciparvi con un tale grado di coinvolgimento emotivo che solo molto difficilmente potrà essere analogamente risvegliato da discorsi propri ad ambiti diversi – per esempio quello filosofico, politico o teologico – da quello letterario. In questo senso l’opera letteraria assume la capacità di indurre il lettore a sperimentare «impulses and act that shape our lives as ethical beings – impulses and act of respect, of love, of trust, of generosity – cannot be adeguately represented in the discourses of philosophy, politics, or theology, but are in their natural element in literature».291

Anche se l’opera letteraria, e in questo caso particolare quella di Coetzee, si limita a «exploring a number of issues», a metterli in scena, dunque, senza fornire mai alcun rimedio ad essi, può tuttavia essere considerata

291D. Attridge, J. M. Coetzee and the Ethics of Reading. Literature in the Event,

«an ethically charged event»,292 poichè «the event of the literary work

can have powerful effects on its readers, and» nello stesso tempo «throught them, on the cultural and political enviroment; but these can never be predicted in avance». Secondo Attridge la forza etica dell’opera letteraria di Coetzee sta proprio in questa «unpredictability».293

Mantenendo fede all’assunto fondamentale secondo cui la scrittura, coinvolgendo emotivamente, induca al bisogno di cambiamento, la figura e il ruolo dell’intellettuale si propongono quale veicoli di questo cambiamento. Di qui la caratteristica elusività della scrittura coetziana che si spoglia apparentemente di qualsiasi autorità affidando piuttosto l’articolarsi della narrazione a voci e protagonisti reticenti. Il silenzio con cui virtualmente Coetzee rimuove determinati argomenti si rivela, appunto, una scelta stilistica a favore di una scrittura che sottende, mascherandolo, il cambiamento.

Alla luce di questo saranno più comprensibili anche le accuse sollevategli talvolta contro dalla critica a proposito dell’essersi, almeno apparentemente, disinteressato ai problemi socio-politici interni al proprio Paese. In realtà, evitando di prendere posizioni esplicite e mantenendosi sempre sui toni elusivi, l’autore non fa altro che rimarcare il suo intendo di decostruire ogni volontà di dominio che invece verrebbe perpetrata dalla scelta di uno stile letterario che, per esempio, già per il fatto di essere più vicino ai toni dell’anti-apartheid, quindi modellato su una particolare struttura socio-culturale, rischierebbe suo malgrado di avvallare, al pari di un’ideologia, gli stessi toni totalitari dei discorsi contro cui invece ci si vorrebbe ribellare294 favorendo quella che, sulla

292Ivi, p. xii. 293Ibidem.

294 Alla domanda di Jane Poyner sulla difficoltà che un intellettuale può

avere oggi nel criticare il governo ispirato ai principi dell’ANC, Coetzee risponde «Not difficult at all. It is hard for fiction to be good fiction while it is in the service of something else». “J. M. Coetzee in Conversation with Jane Poyner”, in J. Poyner,J. M. Coetzee and the Idea of the Public Intellectual, Ohio University Press, Athens OH 2006, p. 21.

scorta delle opinioni formulate da F. Orlando295 a proposito del fenomeno

letterario come una formazione di compromesso tra le istanze del represso e quelle della repressione, potremmo anche definire la trasformazione delle istanze del represso nelle future istanze della repressione o ancora, più esplicitamente, la trasformazione della ribellione all’ideologia dominante in una nuova ideologia dominante.

Ponendosi ai margini del suo sfondo socio-culturale, dunque, del suo essere un afrikaner, Coetzee si spinge il più possibile lungo la linea liminale – di confine – con l’alterità e da qui esplora la questione dell’Altro, uno dei temi centrali dei suoi racconti, perchè «irruptions of otherness into our familiar worlds, […] pose the question: what is our responsibility toward the other? The characters who encounter such irruptions evince […] our own responsability as readers, as citizens, as living being».296 Per quanto l’esperienza dell’altro, del diverso da noi, si

svolga sempre sullo sfondo di una pagina “muta”, impossibile da dire perché apparentemente troppo lontana dalla nostra vita e dalle nostre esperienze, questo non toglie il fatto che l’altro resta sempre in qualche modo accessibile o immaginabile al punto che, anche sulla falsariga delle parole di Lévi-Strauss, possiamo sempre a metterci al suo posto: «coloro che pretendono che l’esperienza dell’altro – individuo o collettività – è, per essenza, incomunicabile e che è sempre impossibile, e persino colpevole, volere elaborare un linguaggio in cui le esperienze umane, lontanissime nel tempo e nello spazio, diventerebbero, almeno in parte, mutualmente intellegibili, altro non fanno se non rifugiarsi in un nuovo oscurantismo».297 Ciò che Coetzee sottende all’incomprensibilità virtuale e

ai silenzi tanto insistiti dell’altro è la consapevolezza che, sebbene auspicabili, le condizioni indispensabili ad un’incontro veramente autentico non esistono ancora e forse, soprattutto nel caso dei protagonisti

295Per una trattazione più estesa vedi F. Orlando, Per una teoria freudiana della

letteratura, op. cit.

296D. Attridge, J. M. Coetzee and the Ethics of Reading. Literature in the Event,

op. cit., p. xii.

297C. Lévi-Strauss, L’identità (1977), Sellerio, Palermo 1980, “Premessa” pp. 11-

quasi sempre sottesi all’alterità coetziana, gli animali, non esisteranno mai. Come vedremo meglio tra poco, infatti, l’ostinato mutismo che trapela ad ogni incontro con l’alterità animalesca richiama indubbiamente, certo più di quello caratteristico dei protagonisti che nei suoi romanzi si fanno al contrario rappresentanti di un qualche possibile rivolgimento dei rapporti di potere, quella che per Coetzee è senz’altro la speranzosa esporazione- rappresentazione di una condizione di parità poi di fatto assolutamente irrealizzabile. Anche per questo la sua è sempre e solo una rappresentazione dell’altro come avvicinabile, ma mai veramente tangibile. Ciò che sembra emergere dai testi di Coetzee è il dubbio sull’effettiva possibilità di descrivere e comprendere la sofferenza altrui, nonostante, come testimoniano molti dei suoi protagonisti, sia loro concesso di parteciparvi attraverso la «sympathetic imagination». Come osserva anche Sam Durrant, questi personaggi messi di fronte al “diverso”, sembrano effettivamente incapaci di immedesimarvisi veramente, «unable [than] to imagine certain structural experiences of unprivilege or oppression: torture, slavery, apartheid, rape».298 Questa ammissione non

deve essere interpretata come una dichiarazione di indifferenza verso la sofferenza di chi è altro da noi, quanto più come l’esatto contrario. Tanto più i protagonisti dei romanzi coetziani cercano di decodificare l’alterità, «overcom[ing] their ignorance»,299 quanto più questa alterità resta

inafferrabile e irriducibile. Nel rappresentare il fallimento di decodificazione di tali personaggi, Coetzee sembra voler affrancare il lettore dalla possibilità di un uso improprio di quella «facoltà, l’empatia, che talvolta ci permette di condividere l’essere di un’altra persona».300 La

possibilità di interpretare l’Altro attraverso i nostri codici comporta infatti sempre il rischio di sfociare nella prevaricazione. È in maniera preventiva, allora, che la narrazione si limita a mettere il lettore dinnanzi al senso di

298 S. Durrant, “J. M. Coetzee, Elizabeth Costello, and the Limits of the

Sympathetic Imagination”, in Jane Poyner, J. M. Coetzee and the Idea of the Public Intellectual, o p . cit., p. 120.

299Ibidem.

300J. M. Coetzee, The Lives of Animals (1999), trad. it. La vita degli animali, op.

colpa, di angoscia e di paura per gli orrori della realtà di cui è a suo modo responsabile, scalfendo qua e là la robusta maschera di certezze dietro la quale lui, e come lui ognuno di noi, siamo soliti rifugiarci per non vederli, per poi concludersi ambiguamente con un ritorno alla posizione di partenza, quasi che sembra sia stato tutto solo un brutto sogno. In verità, richiamando Jean-Paul Sartre, si potrebbe affermare che Coetzee «ha scelto di svelare il mondo e, in particolare, l’uomo agli altri uomini, perché questi assumano di fronte all’oggetto così messo a nudo tutta la loro responsabilità».301 È per questo motivo «clearly, no answers or

recipes or programs emerge from these reading», perché ciò che dà alla letteratura «its peculiar importance is precisely that issues such as these are staged rather than argued […]; we perform them, and they perform us, as we read. A literary work is not an object or a thesis».302 Contro

ogni dettame e schema culturale lo scrittore sta facendo affidamento a quella incondizionata e autonoma capacità di pensare ed agire in modo etico che ci contraddistingue in quanto uomini e, a partire da quella capacità, auspica che chi legge, presa coscienza di una data situazione, agisca di conseguenza scegliendo «un certo modo di azione secondaria che si potrebbe chiamare l’azione per rivelazione».303 Hannah Arendt ha

detto:

«Ciò che comunemente chiamiamo persona, in quanto diverso da un semplice essere umano che può essere chiunque, è in realtà ciò che emerge da quel processo di radicamento che è il pensiero. Se qualcuno è un essere pensante, radicato nei propri pensieri e ricordi e per cui sa che deve vivere con se stesso, ci saranno limiti a ciò che permetterà a se stesso di fare. E questi limiti non gli si imporranno dall’esterno ma saranno per così dire autoposti; […] il male supremo

è possibile soltanto dove queste radici sono completamente assenti. Ed esse sono

assenti ovunque gli uomini scivolano sulla superficie degli eventi, dove consentono a loro stessi di volgere lo sguardo senza penetrare nella profondità di cui potrebbero essere capaci».304

301J.-P. Sartre, Che cos’è la letteratura, Il Saggiatore, Milano 2004, p. 23.

302 D. Attridge, J. M. Coetzee and the Ethics of Reading. Literature in the Event,

op. cit., p. xii.

303 J.-P. Sartre, Che cos’è la letteratura, op. cit., p. 22.