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Gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta: l’indeterminatezza lessicale e il richiamo

Capitolo 2. Dal 1848 all’avvento della Sinistra Storica: dal ‘governo misto’ al ‘governo

2.2 Gli anni Quaranta e gli anni Cinquanta: l’indeterminatezza lessicale e il richiamo

Sia a livello modellistico che lessico-concettuale, la dottrina italiana deve molto a quella francese (ricordiamo che al momento il francese è anche la lingua della diplomazia europea). I nostri dotti costituenti oltre a conoscere Constant e Pellegrino Rossi (che non era francese ma che comunque in Francia aveva svolto la maggior parte della sua carriera di docente universitario e in francese erano state diffuse le sue Lezioni), non potevano ignorare neanche le riflessioni di Louis Antoine Macarel (1790-1851) giurista, consigliere di stato e uno dei primi esperti di diritto amministrativo. In particolare egli scrive nel 1833 gli Éléments de droit politique che non a caso vengono tradotti in italiano da Luigi Paris nel 1848 in un nuovo clima di fermento costituzionale.

La trattazione di Macarel infatti prende in considerazione proprio quel modello di «monarchia costituzionale, altrimenti detto governo rappresentativo»1. Per questo autore i governi si dividono in ‘repubbliche’ (democratiche e aristocratiche), ‘monarchie’ (elettive, tiranniche ed ereditarie), ‘governi misti’ e ‘governi federativi’. Il ‘governo rappresentativo’ appartiene proprio all’alveo dei ‘governi misti’ visto che «i governi rappresentativi moderni non sono altro che i governi misti perfezionati»2. «Il governo rappresentativo è quello nel quale il popolo, i grandi ed il principe sono chiamati tutti insieme necessariamente a prender parte alla formazione delle leggi3»: sono questi tre soggetti che si spartiscono i poteri fondamentali e che si sorvegliano a vicenda in modo da ottenere un assetto costituzionale in armonioso equilibrio. Non per niente il sovrano detiene il potere di sciogliere la camera dei rappresentanti proprio come mezzo deterrente per evitare che essa possa prendere il sopravvento e tiranneggiare gli altri organi costituzionali. Quindi il modello costituzionale di Macarel assomiglia molto ad una monarchia temperata in cui il sovrano continua a godere di ampie prerogative, seppur limitato nel suo potere da una camera elettiva e da un Senato (non si fa menzione esplicita di un Gabinetto e si considera i ministri come funzionari, seppur eminenti, del potere esecutivo). Successivamente il docente universitario piemontese e futuro senatore Matteo Pescatore (1810-1879), in una lezione tenuta all’università di Torino nel febbraio 1848 e poi raccolta nell’«Antologia italiana, giornale di scienze lettere ed arti»4, descrive brevemente il funzionamento della forma di governo dello Statuto, ma non gli dà un nome, un ‘etichetta. Essa sembra comunque una rielaborazione del ‘governo misto’. Infatti fonde insieme la

1 L. A. Macarel, Elementi di diritto politico, Napoli, tipografia di Luigi Banzoli, 1848, pag. 10. 2

Ivi, pag. 37. 3

Ibidem.

4 M. Pescatore, Teorica dello Statuto fondamentale, in «Antologia italiana, giornale di scienze lettere ed arti», anno II (1848), tomo IV, pag. 163-175.

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‘monarchia assoluta’, che si basa sul principio sociale (corporativo), e la ‘democrazia pura’ che al contrario si fonda sul principio individuale. Il risultato è una forma di governo in cui ad una Camera elettiva e ad un principe (simboli dei due poli opposti) va aggiunto un terzo elemento: un senato moderatore. Così, fa capire Pescatore, il modello a cui lo Statuto si ispirerà è quello inglese, già descritto da Montesquieu: il modello misto per eccellenza. Come nel caso della descrizione di Macarel non si fa menzione di un quarto organo, ovvero del Gabinetto.

Più interessante risulta il Piccolo catechismo costituzionale, pubblicato all’indomani del proclama dell’8 febbraio dal futuro deputato piemontese Michelangelo Castelli (1808-1875) coadiuvato da Giorgio Briano (1812-1874), giornalista savonese di orientamento cattolico. Anch’ esso offre una definizione del ‘governo rappresentativo’ sulla falsa riga di Macarel: «Il governo rappresentativo è quello nel quale la suprema magistratura, invece di possedere un potere assoluto, è soggetta al controllo d’una o più assemblee di notabili, che concorrono con esso alla confezione delle Leggi del paese»1.

Tuttavia, a differenza dell’autore francese e di Pescatore, per i due collaboratori del «Risorgimento» cavouriano i ministri hanno un ruolo fondamentale nell’impalcatura costituzionale considerato che il Ministero stesso deve essere sempre in linea con l’opinione pubblica rispecchiata dall’opinione della maggioranza della camera rappresentativa. Per cui quando la politica dello stesso governo non si allinea con quella della maggioranza «il Re [tramite lo scioglimento della camera] fa appello al giudizio del paese, e secondo questo giudizio la politica si continua o si cambia, o piuttosto i ministri che rappresentavano questa politica sono mantenuti in carica, o licenziati per far luogo ad altri»2.

Dello stesso avviso anche il magistrato torinese Carlo Boncompagni (1804-1880) destinato ad avere una fulgida carriera politica tra le fila della Destra storica cavouriana. In Della monarchia rappresentativa egli individua in questa forma di governo, detta anche ‘monarchia costituzionale’, «il più bel frutto della presente civiltà». Infatti mentre nelle ‘monarchie ereditarie assolute’ prevale il principio ereditario e nelle ‘democrazie pure’ prevale il principio elettivo, nelle monarchie ‘rappresentative-costituzionali’ «la preminenza ereditaria è temperata dall’influenza dei suffragi popolari». Anche in questo caso il modello costituzionale di riferimento è quello del ‘governo misto’: nella monarchia rappresentativa vi è sempre una camera “alta” che si frappone tra il Principe e la camera elettiva.

Naturalmente anche l’opinione pubblica ha il suo peso per conservare il sistema in equilibrio. Infatti se il Principe mantiene la sua autorità attraverso due elementi fondamentali quali il veto e lo scioglimento della camera, anche i deputati, rappresentanti dell’opinione pubblica, hanno il compito di controllare che il Ministero rimanga sempre in linea con i desideri ed il volere della Nazione3.

Il campano Michele Solimene, consigliere di Stato e professore di diritto costituzionale e internazionale, nel suo scritto Corso di diritto costituzionale e commento sulla costituzione, indica questa configurazione costituzionale con vari nomi: ‘governo/regime rappresentativo’, ‘governo/regime costituzionale’, ‘monarchia costituzionale’, ‘sistema costituzionale’, ‘governo monarchico-costituzionale’. E anche questo autore insiste sulla medietà di tale forma: mentre ‘monarchia assoluta’ e ‘democrazia pura’ portano al dispotismo e all’anarchia «tra queste due

1 G. Briano, M. Castelli, Piccolo catechismo costituzionale ad uso del popolo, col programma dello Statuto fondamentale delli 8 febbraio 1848, Torino, Cotta e Pavesio, 1848. (noi citeremo dalla terza edizione dell’opera, Torino, Sebastiano Franco, 1859).

2 Ivi, pag. 37. 3

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forme assolute [...] è surta una forma intermedia, mista, che chiamasi costituzionale»1. Essa si caratterizza per la divisione dei poteri (poteri divisi ma che comunque collaborano armoniosamente) e per l’equilibrio di essi.

Anche alcune voci del Dizionario politico nuovamente compilato ad uso della gioventù

italiana2, stampato a Torino nel 1849, sono degne di nota. Dalla voce Governo si evince che le

forme che questa struttura di potere può assumere sono essenzialmente tre: la ‘monarchia’, la ‘democrazia’, l’’aristocrazia’. La ‘monarchia’ presenta numerosi assetti:

«La monarchia, se reggesi ad arbitrio, appellasi Dispostismo, se traligna in violenza appelasi Tirannide; se ha leggi fondamentali che non possa infrangere, capitolazioni, patti convenuti e giurati, prende l’aggiunto di Costituzionale, o Temperata: dicesi Rappresentativa quando il popolo manda i suoi rappresentanti a concorrere col Sovrano per fare le leggi e stanziare le imposte.»3.

La ‘monarchia costituzionale’ e ‘temperata’ è anche ‘limitata’ e ‘rappresentativa’4, ma l’aggettivo ‘parlamentare’ non viene sfruttato per qualificarla. Inoltre la configurazione del potere di una ‘monarchia rappresentativa’ o di un ‘governo rappresentativo’ viene descritta come affine al ‘governo misto’:

« RAPPRESENTATIVO (governo) - Appellansi, a’dì nostri, Governi Rappresentativi quegli che gli antichi chiamavano Governi misti, vale a dire i governi in cui l’esercizio della sovranità viene diviso tra i varj poteri o corpi politici. Deriva questa denominazione dal fatto che ad uno di questi poteri è specialmente affidata la cura di rappresentare gl’interessi generali del popolo. In più brevi parole, Governo rappresentativo è quello in cui il popolo interviene non in persona, ma per mezzo de’suoi Rappresentanti eletti da esso.»5.

Al 1849 risale anche il primo vero commento allo Statuto Albertino, opera del cremonese Pietro Peverelli. Secondo questo autore, il quale ricoprirà più volte nella sua carriera amministrativa la carica di prefetto6, la classificazione delle forme di governo si riduce a due grandi famiglie: le ‘monarchie’ e le ‘repubbliche’. Col tempo però si è cercato di arrivare ad una nuova forma costituzionale che riunisse i vantaggi di entrambe e ne rifuggisse i vizi: «siffatta forma di governo mista è quella che costituisce il sistema monarchico rappresentativo, ossia costituzionale»7. Dunque anche in Peverelli la forma di governo ‘costituzionale’ o ‘rappresentativa’ è associata al ‘governo misto’. Difatti nella ‘monarchia’ il re è sovrano ed esercita la sua sovranità tramite fiduciari: la nazione non partecipa alla trattazione degli affari pubblici. Nella ‘repubblica’ invece la sovranità spetta al popolo che la esercita tramite rappresentanti. Nella ‘monarchia rappresentativa’ vi è invece una vera e propria compartecipazione del potere in quanto la sovranità è condivisa dal monarca con i rappresentanti del popolo. E proprio in virtù di questa compartecipazione che Peverelli

1

M. Solimene, Corso di diritto costituzionale e commento sulla costituzione, Napoli, stamperia reale, 1848, vol. I, pag. 16.

2 Dizionario politico nuovamente compilato ad uso della gioventù italiana, Torino, Pomba, 1849. 3 Ivi, pag. 356. 4 Ivi, pag. 581. 5 Ivi, pag. 563. 6

M. Missoni, Governi, alte cariche dello Stato, alti magistrati e prefetti del Regno d’Italia, Roma, Ministero dei beni culturali, 1989.

7 P. Peverelli, Commenti intorno allo Statuto del Regno di Sardegna, Torino, Castellazzo e Degaudenzi, 1849, pag. 5.

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ammette chiaramente che nella scelta dei ministri il Re «non è né essenziale né assoluto né illimitato, ma è necessariamente influenzato dalla maggioranza della Camera dei deputati»1. Si esclude dunque che la scelta del sovrano possa «costituzionalmente procedere in contradizione colla maggioranza»2 della camera dei rappresentanti.

Come si vede sin da questi primissimi documenti, sostenere la tesi della “rapida parlamentarizzazione” del sistema sarebbe errato: è vero che la forma di governo statutaria non viene ancora definita col termine ‘parlamentare’ nel senso contemporaneo del termine, tuttavia per il corretto funzionamento del sistema è necessaria una oggettiva armonia tra Ministero e maggioranza parlamentare, per cui il Sovrano, checché se ne dica, per la scelta dei ministri sarà comunque sempre influenzato dalle forze prevalenti in parlamento. Questo tipo di meccanica non è un’invenzione dei giuristi piemontesi. Francesco Capecelatro (1784-1863) nobile liberale napoletano, commentando la costituzione del regno delle due Sicilie3 ammette che in quella forma di governo che lui stesso chiama ‘reggimento costituzionale’ ‘sistema costituzionale’ ‘governo costituzionale’, ‘governo rappresentativo’, è vero che il re regna e non governa, ma è anche vero che i tre poteri costituzionali si intrecciano armonicamente e che i ministri «a lungo andare debbono soggiacere alle Camere e alla pubblica opinione»4. Infatti «debbono inoltre i ministri avere in loro favore la parte maggiore di quei che rappresentano la nazione chè senza ciò mai non conserveranno il potere»5.

Analoghe indicazioni vengono proprio da quella dottrina francese che i piemontesi avevano voluto prendere a modello. Nei Principi di politica, Constant scrive proprio che la fiducia della maggioranza parlamentare è la base su cui si costruirà ogni futura ‘monarchia costituzionale rappresentativa’:

«Si è voluto attribuire alle assemblee rappresentative il diritto di dichiarare i ministri indegni della fiducia pubblica. Ma noterò subito che questa dichiarazione v’è di fatto contro i ministri tutte le volte che essi perdono la maggioranza nelle assemblee. Quando avremo ciò che non abbiamo ancora e che è però un’indispensabile necessità in ogni monarchia costituzionale, voglio dire un ministero che agisca di concerto, una maggioranza stabile e un’opposizione nettamente separata da questa maggioranza, nessun ministro potrà mantenersi senza avere il maggior numero dei voti a meno di non appellarsi al popolo con nuove elezioni. E allora queste nuove elezioni saranno la pietra di paragone della fiducia accordata al ministro.»6.

Secondo Pellegrino Rossi i ministri sono suscettibili oltre che di responsabilità penale e civile anche di responsabilità politica: mentre di norma tra Ministero e Camera vi è sintonia politica, e ciò permette di portare avanti una politica comune, quando alla Camera sembra che il Ministero non assolva più alle funzioni del buon governo, quest’ultima toglie al primo il suo appoggio, la sua fiducia, ricusandolo.

E’ in questo modo di risolvere i contrasti, e non con la violenza, che si cela l’essenza del ‘governo rappresentativo’:

«La Camera può anche dimostrare la sua disapprovazione mediante il rifiuto della maggioranza alle leggi

1

Ivi, pag. 135. 2 Ivi, pag. 136. 3

F. Capecelatro, Manuale ad uso degli elettori, Tipografia all’insegna del Diogene, 1848. 4

Ivi, pag. 7. 5 Ibidem. 6

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necessarie. Così, una misura buona per sé [...] la Camera la respinge, si tratta di un modo di dire ai ministri “non ne voglio sapere di voi”. La Camera può in tal modo respingere un importante progetto presentato dai ministri, e questo significa ricusarli.»1.

A livello divulgativo gli aspetti dell’ analisi politico-costituzionale sono ancora piuttosto basilari. A Torino il gruppo progressista di Libera Propaganda, oltre che a foraggiare un mordace quotidiano come la «Gazzetta del Popolo», si preoccupa anche di curare la pubblicazione, a partire dal 1851, del Dizionario politico popolare2. Dall’opera si evince che il ‘governo costituzionale’, detto anche ‘governo moderato’3, è «quel sistema di governo temperato che sta tra l’assolutismo e la repubblica ed è formato da un re nelle cui mani sta il potere esecutivo e da un parlamento che ha il potere legislativo.»4. Questo regime politico si colloca nell’alveo del cosiddetto ‘sistema rappresentativo’:

« RAPPRESENTATIVO (SISTEMA) - E’ quello nel quale il popolo si governa da rappresentanti scelti da esso. E’ la forma liberale sotto cui si sviluppa lo spirito governativo dopo la fase del despotismo in Istati di grandi dimensioni.»5.

E’ dalla dottrina francese che arrivano in Italia altre informazioni fondamentali riguardanti il ‘governo rappresentativo’ e che permettono un approfondimento della riflessione politico- costituzionale.

Infatti per i commentatori italiani la lettura degli scritti del grande storico e politico francese François Guizot (1787-1874) diventerà imprescindibile.

Guizot intreccia la sua intensa carriera politica di doctrinaire conservatore, strenuo sostenitore della monarchia orleanista, con una fervida attività intellettuale. Propedeutiche per il pubblico italiano sono le letture delle sue opere ed in particolare dell’ Histoire des origines du

Gouvernement représentatif en Europe, pubblicato nel 18516. Infatti nella sesta, settima e

ottava lezione dell’opera, il francese riesce a condensare tutta la sua teoria del governo rappresentativo.

Guizot polemizza innanzi tutto con Montesquieu. Secondo Montesquieu infatti il governo rappresentativo era nato nei boschi e nelle selve germaniche: al contrario per Guizot questa forma di governo ha senza dubbio una derivazione anglosassone.

In secondo luogo i governi non vanno classificati tenendo conto dei loro tratti esteriori, come aveva fatto il magistrato di La Brède, ma della loro essenza. Non bastano elezioni e camere assembleari per avere un governo rappresentativo: tali elementi infatti sono presenti anche in una monarchia assoluta.

Ciò che distingue le varie forme di governo risiede nella loro essenza, ovvero è possibile classificare le varie forme di governo in base a chi viene attribuita la sovranità.

Per Guizot esistono due gruppi di governi: da una parte vi sono quelli in cui la sovranità viene

1

P. Rossi, Lezioni di diritto costituzionale alla Sorbona, a cura di G. Ciaurro, A. Leoncini Bartoli, G. Negri , opera citata, pag. 330.

2

Dizionario politico popolare, [1851], a cura di P. Trifone, Roma, Salerno editrice, 1984. 3

Ivi, pag. 117.

4 Ivi, pag. 79. Il corsivo non è nostro. 5

Ivi, pag. 195. 6

F. Guizot, Histoire des origines du Gouvernement représentatif en Europe, Paris, Didier, 1851, 2 voll. Per l’inquadramento della figura di Guizot si veda: P. Rosanvallon, Le moment Guizot, Paris, Gallimand, 1985; A. Coco, François Guizot, Napoli, Guida, 1983.

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attribuita agli uomini (‘monarchie’, ‘democrazie’, ‘aristocrazie’) i quali tendono generalmente a degenerare; dall’altra parte invece avremo i governi in cui la sovranità non appartiene a nessuno, ma di fatto viene esercitata dai più capaci che cercano di mettere in pratica i precetti dell’opinione pubblica seguendo importanti principi quali quelli della giustizia, della verità e soprattutto della ragione. E’ in questo secondo gruppo che si collocano i ‘governi rappresentativi’. Essi inoltre si distinguono per tre caratteristiche fondamentali: l’elettività, la pubblicità e la divisione dei poteri. Tali caratteristiche fanno sì che questa forma di governo sia bilanciata, equilibrata e quindi stabile.

Gli insegnamenti di Guizot vengono sicuramente assimilati da Ludovico Casanova (1799-1853), patriota di tendenze democratiche, docente di diritto costituzionale all’università di Genova, il quale in una serie di lezioni risalenti appunto agli anni 1850-51 e poi raccolte successivamente in un manuale1, traduce letteralmente le tre lezioni di Guizot: esse entrano così a far parte della lezione XVII del suo Del diritto costituzionale.

Tuttavia, mentre negli scritti tradotti di Guizot scompare ogni riferimento esplicito al governo misto, è nella lezione XVIII del suo manuale che Casanova fa alcune importanti specificazioni più “personali”: egli precisa subito che a livello lessicale ‘governo rappresentativo’ (termine prediletto dall’autore francese) e ‘monarchia costituzionale’ sono sinonimi e che tale forma di governo, nata in Inghilterra e poi diffusasi gradualmente sul continente, non può che essere affine al governo misto:

«Il governo monarchico rappresentativo, vale a dire la monarchia costituzionale, altro non è in sostanza che la fusione ed il contemperamento dei principi democratici, aristocratici, monarchici.».2

Anche nello storico e diplomatico piemontese Domenico Carutti (1821-1909) le ascendenze guizottiane vengono combinate con la teorica classica del governo misto.

In Dei principi del governo libero, l’autore sostiene che mentre la «sovranità ideale» spetta “all’infinito”, cioè ad una autorità superiore, la «sovranità politica» spetta agli uomini. Essa è limitata, necessita di una investitura e cerca di mettere in pratica i principi della sovranità ideale. La sovranità politica può risiedere in uno, nei pochi o nei molti: avremo allora regimi instabili quali ‘monarchie’, ‘aristocrazie’ e ‘democrazie’. Nel ‘governo rappresentativo’ invece la sovranità politica risiede nell’opinione pubblica e viene esercitata tramite i più capaci: solo questa forma di governo non è destinata a degenerare, infatti si parla di «governo rappresentativo misto». Il ‘governo rappresentativo misto’ è direttamente collegato al ‘governo misto’ degli antichi (Carutti cita Cicerone, Polibio, Machiavelli ecc.), tuttavia la differenza tra i due regimi è dovuta alla «diversità della costituzione sociale che signoreggiava la costituzione politica», ovvero al fatto che nel secondo regime le abitudini sociali invadevano la sfera pubblica e rendevano “schiavi” i cittadini, cosa che nella contemporaneità del ‘governo misto rappresentativo’ non succede più (da notarsi le affinità anche col discorso La libertà degli antichi, paragonata a quella dei moderni di Constant).

Il ‘governo misto rappresentativo’ può essere una monarchia o una repubblica, riflessione importante ed innovativa poiché finora il governo rappresentativo era sempre stato naturalmente associato ad una monarchia. Ma indipendentemente dalle ‘forme esteriori’,

1

L. Casanova, Del diritto costituzionale. Lezioni del Prof. Ludovico Casanova, ordinate dall’avv. Cesare Cabella, Genova, Lavagnino, 1859-1860, 2 voll.

2

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secondo Carutti, una parte della mistione deve prevale sulle altre. In particolare è la parte democratica che deve prevalere: così quando vi sono disaccordi tra le parti del governo, è il popolo che si deve pronunciare.

E’ per questo che il «ministerio» deve seguire i dettami della maggioranza parlamentare. Infatti a fianco di un principe che «accetta la politica che gli è consigliata da chi regge secondo le maggioranze legali, [e] non esercita una vera politica personale», bisogna tenere ben presente che «i ministri della corona debbono interpretare i voleri della pluralità ed uscir dall’ufficio quando venga lor meno il concorso parlamentare»1.

Altro autore francese che i commentatori italiani prendono ad esempio è Charles Guillaume Hello (1787-1850), avvocato e noto uomo politico. Nel 1850 viene data alle stampe la traduzione italiana2 di Du régime constitutionnel dans ses rapports avec l'état actuel de la science sociale et politique, opera risalente al 1848.

Analizzando la forma costituzionale francese del 1830 Hello la definisce come ‘monarchia costituzionale’ o ‘regime/governo rappresentativo’. Le differenze con i giuristi italiani sono essenzialmente due. In primo luogo l’autore francese non esita a tagliare quell’ingombrante cordone ombelicale che lega ‘governo misto’ e ‘governo rappresentativo’: associare questi due regimi è assolutamente errato. Infatti immaginare che ogni organo dello Stato rappresenti un determinato potere/interesse significherebbe «organizzare la guerra in grembo allo Stato» dimenticando l’unità di cui esso è costituito, quell’unità data dalla fusione del Re e del suo Governo da una parte con la Nazione dall’altra.

L’altra differenza fondamentale con la dottrina italiana è il convincimento di Hello a proposito del fatto che il Re in un governo rappresentativo può influire sul governo, ma in realtà non