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Gli anni Settanta: la diffusione di ‘governo parlamentare’ e la mancata specificazione

Capitolo 2. Dal 1848 all’avvento della Sinistra Storica: dal ‘governo misto’ al ‘governo

2.4 Gli anni Settanta: la diffusione di ‘governo parlamentare’ e la mancata specificazione

Anche in questo decennio l’indeterminatezza lessicale che si era imposta in Italia da circa un trentennio non viene scalfita. Non si arriva ad una specificazione lessicale neanche in seguito alla traduzione in italiano (realizzata dal giurista Giuseppe Trono) di opere classiche della giuspubblicistica di lingua tedesca quali Allgemeine Staatslehere e Allgemeine Staatsrecht dello svizzero Johan Caspar Bluntschli (1808-1881). In esse l’autore infatti distingue nettamente la ‘monarchia costituzionale’ da una parte e il ‘governo parlamentare o ministeriale’ dall’altra.

Nonostante la dottrina italiana non accolga questa distinzione, il sintagma ‘governo parlamentare’, sempre usato in senso atecnico, ha guadagnato ormai molto terreno rispetto ai

1 A. Scialoja, Della mancanza dei veri partiti politici in Italia e del come potrebbero sorgere, in «Nuova Antologia», XIII (1870), 1, pag. 54-88.

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corrispettivi sinonimici ‘governo costituzionale’ e ‘governo rappresentativo’. Sebbene accademici come Palma, Pierantoni o lo stesso Trono facciano fatica ad accettare un sempre maggiore utilizzo dell’aggettivo ‘parlamentare’, è in ambito giornalistico-divulgativo, e quindi più vicino al linguaggio comunemente usato, che esso si diffonde con maggior forza.

Per esempio già agli inizi degli anni Settata il celeberrimo Dizionario della lingua italiana1, compilato dagli intellettuali Niccolò Tommaseo (1802-1874) e Bernardo Bellini (1792-1876), sottolinea l’uso e l’abuso dell’aggettivo ‘parlamentare’ ma non la connotazione tecnica che tale aggettivo può conferire ad un assetto politico:

«PARLAMENTARE - Oggidì più comune che ‘parlamentario’; ma se ne abusa, come de’Parlamenti e della parola. Io direi Giurisprudenza parlamentare quella che è costituita e risulta dalle decisioni e deliberazioni de’parlamenti; direi Eloquenza parlamentaria, quella che si addice ai parlamenti politici specialmente. Ma questo secondo è pesante, come suol essere pur troppo la cosa.»2.

Abbastanza conosciuto è l’opuscolo Del Governo rappresentativo in Italia3 scritto da un giovane Sidney Sonnino (1847-1922) nel 1872. L’autore indica il sistema costituzionale italiano con un gran numero di lemmi sinonimici: non menziona solo ‘governo rappresentativo’, ‘sistema rappresentativo’, ‘istituzioni rappresentative’, ‘governo costituzionale’, ‘ordini costituzionali’, ma anche ‘sistema parlamentare’, ‘governo parlamentare’ e addirittura ‘parlamentarismo’. La tesi di Sonnino è che ovunque si sia sviluppato, dall’Italia, alla Francia, all’Inghilterra, agli Stati Uniti d’America, il sistema rappresentativo sia già profondamente in crisi: l’indifferenza politica dei cittadini e la sfiducia nelle istituzioni porta a un forte astensionismo, la mancanza di partiti strutturati crea governi instabili e di coalizione (o di conciliazione come li chiama Sonnino), tutto ciò contribuisce ad un forte discredito anche a livello internazionale.

Naturalmente il parlamentare pisano non si esime dal proporre soluzioni alla situazione italiana come il decentramento amministrativo, l’allargamento del suffragio, l’adozione di un sistema proporzionale e la formazione di un grande partito conservatore, ma siamo ancora molto lontani dal famoso “ritorno allo Statuto”.

Al di là delle critiche al sistema e delle eventuali soluzioni, è importante notare il lessico che usa il giovane liberale. Nel discorso sonniniano rileviamo un maggior utilizzo del sintagma ‘governo parlamentare’ ed inoltre suscita interesse anche l’uso del lemma ‘parlamentarismo’, impiegato, al pari di ‘governo parlamentare’ sempre in senso atecnico. Tale espressione si aggiunge al corpus dei sinonimi con cui viene indicata la nostra forma di governo. E’ in questo senso che viene utilizzato anche dall’ecclesiastico Pietro Coselli. Il sacerdote lucchese nel suo Saggio critico dei principi e delle conseguenze della rivoluzione italiana, sostiene che il ‘parlamentarismo’ è una legittima conseguenza del costituzionalismo ossia della creazione del governo costituzionale, «avvegnachè i rappresentanti del popolo si assembrino e assembrati propongano, discutano, votino: cosa che non può effettuarsi senza parlamentare»4. Poi che i parlamenti siano «la cosa più pessima»5 al mondo visto che in essi si prendono decisioni che

1

N. Tommaseo, B. Bellini, Dizionario della lingua italiana, Torino, UTET, 1861-1879. 2 Ivi, vol. III, 1871, pag. 774.

3

S. Sonnino, Del Governo rappresentativo in Italia, Roma, Tipografia eredi Botta, 1872. 4

P. Coselli, Saggio critico dei principi e delle conseguenze della rivoluzione italiana, Bologna, Tipografia Pont. Mareggiani, 1870, pag. 253.

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contravvengono ai principi cattolici, come non manca di specificare l’impetuoso sacerdote, questo è un altro discorso.

A questa altezza dunque l’aggettivo ‘parlamentare’ sembra essersi ormai diffuso nel linguaggio comune rispetto agli anni Cinquanta e ai primi anni Sessanta, tuttavia, come abbiamo visto, raramente è usato in un modo che oggi definiremmo “appropriato”: nella maggior parte delle volte è impiegato in senso atecnico, vedasi l’articolo di Carlo Baer ovvero Il discentramento ed

il governo parlamentare1: l’autore vuole intavolare un discorso sul decentramento

amministrativo, ma come titolo d’impatto per l’articolo sceglie evidentemente una locuzione che in quel periodo era sulla bocca di tutti: non ‘governo rappresentativo’, non ‘governo costituzionale’, ma per l’appunto ‘governo parlamentare’.

Inoltre altre volte il sintagma ‘governo parlamentare’ viene utilizzato più specificatamente per indicare l’esperienza costituzionale inglese (segno che si comincia ad assimilare quella letteratura dei Grey, Todd e Bagehot a cui facevamo riferimento nel paragrafo precedente). E’ il caso questo di Tommaso Arabia (1831-1896) in La nuova Italia e la sua costituzione, il quale tratteggia la costituzione italiana con sintagmi ben noti e sinonimici quali ‘monarchia/governo costituzionale’ e ‘monarchia/governo rappresentativo’. Talvolta, l’autore si riferisce alla nostra forma di governo anche con i lemmi ‘sistema parlamentare’ e ‘governo parlamentare’, ma questi due descrittori insieme all’etichetta ‘governo di gabinetto’ sembrano essere propri dell’esperienza inglese. In Inghilterra il ‘governo di gabinetto’, la cui instaurazione «non avvenne senza contrasti»2 perché «non è ammessa né dalla legge né dalla tradizione»3, non sembra avere una connotazione del tutto positiva per Arabia dato che svilisce il Sovrano e lo stesso Governo, dando invece enormi poteri alla Camera rappresentativa:

«La camera dei Comuni governa adunque di fatto l’Inghilterra per mezzo del gabinetto, il quale non è altro in sostanza se non un comitato della camera stessa, designato tassativamente dalla Camera alla Corona, con una o più votazioni abbastanza esplicite, da renderne indispensabile la nomina.

Per tal modo non è soltanto il controllo che la Camera si è riservata sul governo, ma è il governo stesso che ella è venuto ad assorbire, con una formola pratica che le permette di far tutto senza responsabilità: anzi vincolando l’altrui responsabilità verso se stessa.»4.

Generalmente si stenta a riconoscere la tecnicità del lemma ‘parlamentare’: riportiamo i casi di Augusto Pierantoni, di Antonio Vismara e del giovane Luigi Palma.

Augusto Pierantoni (1840-1911) esimio giurista che prese parte anche alle imprese garibaldine, non si dimostra molto interessato alle questioni lessicali. Nel suo Trattato di diritto

costituzionale5 stabilisce sin dai primi capitoli che, sebbene ‘Stato’ e ‘Governo’ siano due entità

diverse, in quanto il secondo si riferisce nella maggior parte delle volte al solo esercizio della funzione esecutiva, l’autore userà i due termini come sinonimi.

A detta di Pierantoni il costituzionalismo moderno si caratterizza per l’individuazione del “principio rappresentativo”: è questo principio che ha permesso di creare gli ‘Stati rappresentativi’. Essi si basano sia sulla «rappresentanza della nazione intelligente» , cioè

1 C. Baer, Il discentramento ed il governo parlamentare, in «Nuova Antologia» XVI (1871), pag. 627-653. 2

T. Arabia, La nuova Italia e la sua costituzione, Napoli, Starita, 1872, pag. 437. 3

Ibidem. 4 Ibidem. 5

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sull’elezione dei più capaci, sia sul «governo della maggioranza». Infatti:

«Il principio costituzionale del governo della maggioranza nello stato rappresentativo, ha ricevuto maggiore attuazione. La nuda e continua prevalenza della parte maggiore della moltitudine, è cosa spaventevole. Il minor numero andrebbe ogni giorno esacerbandosi se gli fosse preclusa la possibilità della concorrenza al governo. Ond’è che nel sistema rappresentativo non appena le maggioranze si spostano, il governo deve passare a uomini nuovi, che godano la fiducia della parte politica trionfante.»1.

Dunque se l’alternanza partitica è essenziale in questo sistema, altrettanto fondamentale è la magistratura regia che ha «la prerogativa di nominare il ministero che debba essere sorretto dalla maggioranza dei deputati»2, dal momento che non sempre è facile individuare in aula e nel paese «la vera opinione prevalente». Nonostante i riferimenti al «governo della maggioranza» e al supporto della maggioranza al Ministero, Pierantoni preferisce continuare ad utilizzare l’aggettivo ‘rappresentativo’ piuttosto che dare risalto all’aggettivo ‘parlamentare’.

Nello Statuto fondamentale commentato e spiegato al popolo italiano, l’avvocato e letterato milanese Antonio Vismara (1839-1903), affronta il funzionamento della forma di governo statuale: facendo ancora riferimento al vecchio governo misto, l’autore evita dirimenti specificazioni lessicali, considerando ancora ‘governo parlamentare’ un descrittore atecnico. In apertura dello scritto Vismara non dimentica di illustrare al popolo i nomi con cui questa forma di governo è conosciuta:

«La monarchia è o pura o mista; la pura è quella in cui il potere assoluto si concentra in uno solo; la mista invece è quella in cui vi entra l’elemento aristocratico o il democratico, o entrambi insieme, come presso di noi con Senato e colla Camera dei deputati; nella monarchia mista il potere è suddiviso. Quest’ultima suddivisione chiamasi nello Statuto monarchia rappresentativa, perché la nazione prende parte al governo dello Stato col mezzo de’suoi rappresentanti; come si chiama bene anche monarchia costituzionale, perché ha per fondamento e regola di suo governo una costituzione, ed anche monarchia parlamentare, perché il potere è diviso con un parlamento (che è costituito dalle due Camere senatoria e dei deputati); e dicesi monarchia temperata per contrapposto alla monarchia assoluta, inquantochè nella prima il potere è temperato da una legge regolatrice fondamentale.»3.

Quanto invece al funzionamento della monarchia ‘rappresentativa’, ‘costituzionale’, ‘parlamentare’ o ‘temperata’:

«Un ministero, nei paesi costituzionali, non può mantenersi che appoggiato ad una maggioranza parlamentare, altrimenti tutte le proposte del gabinetto sarebbero respinte, tutti gli atti censurati; e quando la fiducia manchi, non vi sono che due mezzi per provvedervi: o mutare il ministero e ricostruirlo con elementi prevalenti nelle camere, o sciogliere la Camera elettiva e addivenire a nuove elezioni, onde con questo mezzo interrogare il paese sulla fiducia o meno del ministero; il che si desume dalle elezioni di uomini più o meno favorevoli od oppositori nel gabinetto che governa.

Da ciò si rileva che il re, nell’esercizio del suo diritto di nominare o revocare i ministri, altro non fa che dar soddisfazione alle manifestazioni del paese mediante le Camere o l’opinione pubblica in altro modo

1

Ivi, pag. 354. 2

Ivi, pag. 355.

3 A. Vismara, Statuto fondamentale commentato e spiegato al popolo italiano, Milano, ditta editrice F. Manini, 1875, pag.16. La sottolineatura è nostra.

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espressa, e specialmente col mezzo delle elezioni; in altri termini, il re si rende con suo diritto un vero interprete del bene e dell’opinione del paese. Allorchè ad un ministero manca la fiducia parlamentare o dell’opinione pubblica, talchè faccia bisogno provvedervi, quello stato incerto e temporaneo chiamasi crisi ministeriale.»1.

Luigi Palma (1837-1899), altro insigne giurista, sulla «Nuova Antologia» confronta la nuova costituzione della Terza Repubblica francese con le altre esperienze europee ed internazionali (specialmente inglese ed italiana) e ci lascia importanti indizi riguardo al lessico.

Secondo il giurista di Corigliano Calabro nella costituzione francese, riguardo alla condizione giuridica e politica dei ministri rispetto alla Camera, si sono fatti importanti passi avanti. Infatti mentre nella costituzione americana, seguendo pedissequamente il dogma della divisione dei poteri, è il solo Presidente ad essere considerato responsabile davanti al parlamento, in Francia si è cercato di imitare la situazione inglese. Oltremanica la scelta dei ministri deve essere nella maggioranza parlamentare:

«La Corona per la esigenza dello sviluppo parlamentare è obbligata fra codesti uomini, il cui potere perciò poggia sulla camera rappresentativa [...] La camera rappresentativa stessa se è scontenta dell’esecutivo, non è per nulla obbligata ad attentare alla Corona, alle prerogative del re, a mutare le leggi, o a turbare la pace e l’ordine dello Stato; basta che dia un voto di sfiducia al Ministero, rigetti una sua legge o proposta importante, e la Corona nominandone un altro dalla maggioranza, l’esecutivo è rimesso in armonia con il legislativo.»2.

Le nuove leggi costituzionali francesi invece sono fallaci quando si affida il diritto di dissoluzione della camera rappresentativa al Presidente della Repubblica, caput irresponsabile. Palma sostiene che «in una monarchia sinceramente costituzionale»3 quando vi sono divergenze tra l’esecutivo ed il legislativo, oppure «riuscendo le elezioni contrarie al ministero, la soluzione è semplicissima, va via il ministero battuto e il re ne chiama un altro»4.

In una repubblica invece non è così facile far coesistere «un presidente organo di partito con una assemblea, in cui prevalga la parte contraria.»5: Palma teme quindi che un presidente “di parte” non sia in grado di poter svolgere quel ruolo di moderatore che invece ha il Re in una monarchia costituzionale.

Qual è lo schema mentale che porta Palma a fare queste considerazioni?

Alla base di tutto il suo pensiero vi è l’immagine di una «monarchia sinceramente costituzionale», come per esempio quella Italiana, nella quale, sebbene al Sovrano sia lasciato un ampio margine di manovra, deve esserci necessariamente una consonanza politica tra esecutivo e legislativo. Invece in una monarchia costituzionale che ha imboccato una via parlamentare, come per esempio l’Inghilterra, ormai il Sovrano ha l’obbligo di scegliere i ministri tra la maggioranza parlamentare. Il caso francese è un caso ibrido, un compromesso tra monarchia costituzionale e una forma avviata alla parlamentarizzazione: vi deve essere consonanza politica tra esecutivo e legislativo, ma quando essa viene meno, il presidente della Repubblica probabilmente non avrebbe la stessa autorità di un monarca costituzionale nel

1

Ivi, pag. 129.

2 L. Palma, Le nuove leggi costituzionali della Francia, in «Nuova Antologia», XXX (1875), pag. 999. La sottolineatura è nostra. 3 Ibidem. 4 Ibidem. 5 Ibidem.

78 prendere le sue decisioni, in quanto uomo di parte.

Quello che intendiamo sottolineare è che, a livello lessicale, per ora, neanche Palma tende a valorizzare l’aggettivo ‘parlamentare’ per qualificare almeno l’esperienza inglese. Sarà solo successivamente, come vedremo in apertura del prossimo capitolo, che con la pubblicazione della seconda edizione del suo Corso di Diritto costituzionale1, l’etichetta ‘governo parlamentare’ verrà ampiamente usata (sempre in senso atecnico), insieme a nostri ben noti sintagmi quali ‘monarchia/governo costituzionale’ e ‘monarchia/governo rappresentativo’, per descrivere anche la nostra forma di governo.

Tra il 1873 e il 1875 il professore Giuseppe Trono traduce con il titolo Diritto pubblico universale due opere fondamentali del giurista svizzero Johann Caspar Bluntschli ovvero Allgemeine Staatslehere e Allgemeine Staatsrecht, venute alla luce nella prima edizione nel 18522.

L’opera segna un punto di non ritorno per almeno due motivi. Innanzi tutto, come già aveva fatto Prosper Duvergier de Hauranne in Francia, Bluntschli distingue nettamente la ‘monarchia costituzionale-rappresentativa’ dal ‘governo parlamentare’ o ‘ministeriale’3: quest’ultima forma sembra una specificazione della prima e per ora sembra essere diffusa soprattutto in Inghilterra.

In secondo luogo si renderà necessaria una distinzione linguistica tra il sistema italiano e quello tedesco. Finora infatti entrambe le forme di governo erano state definite con il termine ‘monarchia costituzionale’ tuttavia i due casi si presentano estremamente diversi. Mentre la ‘monarchia costituzionale’ italiana è stata individuata più volte come la forma dell’equilibrio armonico tra principio democratico e principio monarchico, tanto da venir associata spesso al ‘governo misto’, nella teorizzazione di Bluntschli non solo non si ammette l’esistenza teorica del ‘governo misto’, ma si descrive la ‘monarchia costituzionale’ come una forma nettamente sbilanciata in cui il principio monarchico prevale su quello democratico. Vedremo infatti come negli anni successivi la forma di governo del secondo Reich verrà indicata con l’etichetta ‘monarchia costituzionale pura’ proprio per differenziarla da una ‘monarchia costituzionale’ “tradizionale”.

Secondo Bluntschli le forme di governo non devono essere classificate in base alla quantità dell’organo dominante (come aveva fatto Aristotele), ma in base alla qualità di esso. Ecco dunque che le forme ‘primarie’ o ‘fondamentali’ sono quattro: accanto alle “classiche” ‘democrazia’, ‘aristocrazia’ e ‘monarchia’ non vi è il ‘governo misto’ ma l’’ideocrazia’, una forma in cui la sovranità risiede in un ente sovrannaturale.

Il ‘governo misto’ infatti non esiste perché non è possibile dividere la sovranità in più parti

1

L. Palma, Corso di diritto costituzionale, III edizione rivista e aumentata, Firenze, Pellas. 1883-1885. La prima edizione fu del 1877-78 in due volumi; la seconda edizione del 1880-81 in tre volumi; alla terza del 1883-85 ai due volumi si aggiunge anche il cosiddetto “volume complementare” Questioni

costituzionali. 2

J. C. Bluntschli, Diritto pubblico universale di Bluntschli. Prima traduzione italiana sulla quarta edizione tedesca per Giuseppe Trono, Napoli, Tip. De Angelis, 1873-1875, 2 voll. Da questa opera sono tratte le nostre citazioni.

3

Nel mondo tedesco la contrapposizione tra ‘monarchia costituzionale’ e ‘governo parlamentare’ è consolidata. In C. Hillebrand, Storia dell’unità alemanna, in «Nuova Antologia», IX (1868), pag. 221 e sgg., traduzione italiana del saggio dell’autore, si legge che la Prussia pur disponendo di una costituzione rappresentativa sin dal 1850 «non era ancora una monarchia parlamentare», in quanto il re non era obbligato a «cedere ai voti manifesti dell’opinione e a chiamare uomini del partito progressista» quando essi avevano la maggioranza nella Camera elettiva.

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anche se è possibile limitare il solo organo che detiene la sovranità con altri organi “raffrenanti”.

Esistono vari tipi monarchia: il ‘dispotismo’, le ‘monarchie antiche’, la ‘monarchia assoluta moderna’ ed infine la ‘monarchia limitata’. In quest’ultima categoria oltre alle ‘monarchie medioevali’, limitate dalle aristocrazie e dai ceti, ritroviamo la ‘monarchia rappresentativa e costituzionale’ o semplicemente ‘monarchia costituzionale’. Tuttavia le monarchie costituzionali non sono tutte uguali, in particolare la grande differenza sta tra l’Inghilterra e tutte le altre monarchie costituzionali.

Infatti in tutte le monarchie costituzionali sono presenti l’elemento monarchico, il democratico e l’aristocratico, ma mentre nelle forme continentali è nettamente prevalente il primo, in Inghilterra il prevalente sembra essere l’elemento aristocratico e questo porta a dinamiche politiche che potremmo definire “parlamentari”:

«Il re inglese è cosciente ch’egli non rappresenta ed esegue la propria volontà, ma la volontà dello Stato. Perciò egli ha i ministri, e poiché i ministri inglesi soprattutto trovano le loro forze nella rappresentanza del parlamento - specialmente nella camera bassa - anche la rappresentanza del popolo ha così un’influenza più grande sul governo che negli Stati continentali. Pertanto la dignità regia inglese si può dire ch’essa sia PARLAMENTARE e REPUBBLICANA. Ma il profondo rispetto alla monarchia in niun luogo è più forte quanto in Inghilterra. Per quanto potenti sieno in Inghilterra gli elementi aristocratici e il Parlamento, tuttavia la forma della costituzione inglese è rimasta una monarchia.»1.

E ancora:

«Nell’Inghilterra il potere regio è circondato da una potente aristocrazia, e il governo nel fatto dipende più dalla maggioranza del parlamento e da’ministri innanzi ad esso responsabili che dalla volontà individuale del re. Sul continente per contrario non vi è in alcun luogo un’aristocrazia ragguardevole. Piuttosto quivi accanto all’elemento monarchico vien soprattutto considerato il democratico; l’aristocratico ha soprattutto un’importanza moderata e mediata.»2.

Nell’Europa continentale, considerando che non vi è mai stata una forte aristocrazia, il confronto tra principio democratico e principio monarchico è nettamente vinto dal secondo: è quest’ultimo che per Bluntschli deve prevalere in una ‘monarchia costituzionale’.

La monarchia costituzionale è «una monarchia vera, non una monarchia apparente»3. La sua essenza consiste nella personificazione della sovranità politica e della potestà dello Stato nel Sovrano. Egli ha un ruolo attivo, regna e governa, non è un semplice servitore della volontà popolare. Oltre a essere la personificazione della sovranità egli è anche l’unico possessore legittimo del potere esecutivo. Alla funzione del Sovrano si presentano solo due limiti formali:

1) parte del suo potere in campo legislativo è limitato per mezzo della rappresentanza popolare, sebbene egli detenga saldamente il potere di iniziativa legislativa e il potere di sanzionare la legge;

2) ha il vincolo di cooperare con il ministero nell’espletazione della funzione esecutiva pur tenendo ben presente che tutti gli organi dello Stato, ministri compresi, sono a lui

1

J.C. Bluntschli, Diritto pubblico universale, opera citata, pag. 350, vol. I. Il maiuscolo non è nostro. 2 Ivi, pag. 372.

3

80 strettamente subordinati.

Questi due limiti tuttavia non implicano che il Sovrano sia subordinato ai ministri e tantomeno alle camere:

«Il carattere specifico della monarchia costituzionale in contrapposizione alle altre monarchie sta in ciò, che il monarca per sé soltanto non può far leggi né in regola esercitare gli affari del governo, ma nel