Capitolo 1. I sostrati linguistici pre-statutari
1.3 Il periodo napoleonico e la Restaurazione
Con l’avvento del periodo napoleonico nuovi sintagmi quali ‘monarchia costituzionale’ e ‘monarchia temperata’, sconosciuti prima al panorama italiano e francese, andranno ad occupare il posto che era stato di ‘governo rappresentativo’ e ne erediteranno in gran parte le originarie funzioni1.
Quello che notiamo subito è il cambio del “contenitore costituzionale”: a questa altezza infatti scompare la predilezione per il regime repubblicano palesato dai fautori della rivoluzione francese e, proprio per marcare la differenza con il passato, i commentatori mostreranno la loro predilezione per il regime monarchico. Anzi la ‘repubblica’, sinonimo di un regime popolare, da ora in avanti verrà associata al caos rivoluzionario e quindi al disordine e all’anarchia: per questo diventerà anche lo spauracchio dei futuri costituenti piemontesi del 1848. Specularmente possiamo dire che al lemma ‘repubblica’ succede adesso quello che era successo al lemma ‘monarchia’ nel precedente periodo rivoluzionario.
Naturalmente i nuovi lessici si affermano con lentezza. Se sfogliamo il Libro de Fanciulli,
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ovvero idee generali delle cose nelle quali devono essere ammaestrati1, scritto all’inizio del
nuovo secolo dal sacerdote e letterato veneziano Giuseppe Manzoni (1742-1811), ci accorgiamo che gli Stati europei vengono inseriti in tre categorie: i ‘governi monarchici’ «in cui l’autorità suprema è nelle mani di uno solo, il quale governa o da se stesso, o per mezzo dei suoi ministri»; i ‘governi repubblicani’ «in cui l’autorità suprema è depositata nelle mani di molti membri, eletti per governare gli altri»; infine si fa menzione dei ‘governi misti’ in cui «l’autorità del sovrano è limitata e temperata dalle leggi o dagli Stati» .
Come ‘monarchia costituzionale’ e non ‘rappresentativa’ viene invece presentata la monarchia napoleonica2 e proprio questo assetto costituzionale, a confronto delle «operazioni dei rivoluzionari di Francia», viene esaltato da Vincenzo Cuoco (1770-1823) nel 1806 nel suo
Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli3.
La scomparsa della locuzione ‘governo rappresentativo’ tuttavia è solo temporanea: alla caduta di Napoleone il concetto riemerge con forza. Per esempio nella Costituzione di Cadice del 1812, non è presente il lemma, ma tutto l’impianto costituzionale è improntato al principio della rappresentatività. Ugualmente il lemma non viene menzionato nella Carta francese del 1814 mentre si fa un esplicito riferimento al governo «monarchique et réprésentatif» nel progetto costituzionale elaborato in Francia dalla Camera dei Rappresentanti nel luglio 1815, dopo la sconfitta di Napoleone a Waterloo, che avrebbe dovuto essere alternativo proprio alla carta del 18144; infine si nomina il «système représentatif» nell’Atto Addizionale, elaborato da Benjamin Constant del 1815.
Forse l’autore che in questo periodo ha contribuito più di tutti, sia dal punto di visto teorico che lessicale, a diffondere la nuova cultura politica della modernità è stato proprio Benjamin Constant (1767-1830).
Egli, acerrimo nemico di Napoleone, ma poi suo collaboratore nella stesura del cosiddetto Atto Addizionale del 1815, consegna alla storia costituzionale pagine indelebili, rivolgendosi sia ad un pubblico più tecnico con il suo Corso di politica costituzionale , sia ad una platea di ascoltatori più grande, pronunciando il famoso discorso La libertà degli antichi, paragonata a quella dei moderni, poi raccolto e diffuso sotto forma di opuscolo. Constant è un autore fondamentale per la nostra ricostruzione poiché si propone di descrive in modo lucido «les principes de politique applicables à tous les Gouvernements reprèsentatifs». Infatti nella sua ottica afferiscono a questo tipo di governo non solo l’assetto costituzionale tratteggiato dalla Carta del 1814 (a cui il nostro Statuto si ispirerà), ma anche l’Atto addizionale del 1815 da cui in parte la prima differisce.
Le opere di Constant circolano in Italia sia in francese, grazie alle numerosissime ristampe , sia ad una tempestiva traduzione italiana del Corso (contenente anche il Discorso sulla Libertà) risalente al 18205.
L’autore analizza i rapporti tra gli organi dello Stato e per quanto concerne il lessico, per
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G. Manzoni, Libro de Fanciulli, ovvero idee generali delle cose nelle quali devono essere ammaestrati, Venezia, Giacomo Costantini, 1800.
2 Sul regno d’Italia. Osservazioni, in Documenti officiali relativi al nuovo regno d’Italia e all’incoronazione di Napoleone Bonaparte Imperatore dei francesi e re d’Italia, Milano, s.e., 1805, citato in L. Mannori, I nomi del ‘governo rappresentativo’, opera citata, pag. 136.
3 V. Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli, Milano, Sonzogno, 1806². 4
citato in P. Colombo, Con lealtà di re e con affetto di padre : Torino, 4 marzo 1848: la concessione dello Statuto albertino, Bologna, Il Mulino, 2003, pag. 123.
5 B. Constant, Corso di politica costituzionale del signor Beniamino Constant, Napoli, Gabinetto letterario al largo del Gesù nuovo, 1820, 2 voll.
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riferirsi all’assetto politico prevalente nel primo Ottocento, egli ha una predilezione per il lemma ‘monarchia costituzionale’, ma utilizza anche sinonimi quali ‘monarchia costituzionale rappresentativa’, ‘governo rappresentativo’, ‘sistema rappresentativo’, ‘stato costituzionale’. A questa altezza dunque la monarchia/regime/governo ‘costituzionale-rappresentativo’ non corrisponde più soltanto ad una forma di governo in cui il popolo prende parte alle decisioni pubbliche tramite rappresentanti, ma ad un modello costituzionale in cui il Sovrano risulta un arbitro del sistema (per Constant addirittura egli detiene un quarto potere, il potere moderatore), mentre tra Esecutivo e Legislativo deve esistere necessariamente una consonanza politica.
Mentre in Francia il dibattito sulle forme costituzionali post-napoleoniche è più aperto, in Italia esso è meno vivo a causa anche della pesante censura. Generalmente il ‘regime rappresentativo’ viene indicato come il regime dei tempi moderni e ancora una volta si sottolinea la sinonimia tra forma ‘rappresentativa’ e ‘monarchico-costituzionale’. Negli anni ’20, se da una parte vi è chi come il conservatore Paolo Vergari sostiene che:
«sotto la denominazione di governo costituzionale s’intendono le monarchie nelle quali la generalità della nazione col mezzo de’suoi rappresentanti partecipa più o meno all’esercizio della sovrana autorità»1,
dall’altra parte avremo autori che attribuiscono vari significati alla forma monarchico- costituzionale.
Il patriota napoletano Carlo Mele (1792-1841) associa il sistema rappresentativo ad una monarchia mitigata col principio della sovranità popolare à la francese2.
Tra i grandi giuristi del tempo troviamo Gian Domenico Romagnosi (1761-1835) che, ponderando una costituzione per la Lombardia della Restaurazione, vede nella «monarchia nazionale rappresentativa» una riedizione del modello politico-amministrativo napoleonico, in cui però la rappresentanza elettiva funge da freno e da contraltare al potere sovrano. Egli distingue nettamente tra ‘governo misto’ e ‘governo temperato’: nel primo il potere è realmente diviso «fra più autorità indipendenti», mentre nel secondo tipo di governo (a cui afferiscono la ‘monarchia rappresentativa’ e la ‘repubblica rappresentativa’) il potere «risiede in un sol centro attivo» e poi viene «raffrenato» entro i limiti della giustizia3 da meccanismi quali appunto le camere elettive.
Al contrario invece il moderato torinese Cesare Balbo (1789-1853) associa il ‘governo rappresentativo’ al classico ‘governo misto’: in entrambi questi regimi si riscontra un equilibrio tra le tre possanze sociali, ovvero monarca, nobili e popolo, e, come ricorda in un suo vecchio manoscritto inedito, solo «la manie de donner des noms nouveaux à une chose connue» ha indotto a chiamare «gouvernement représentatif» quello che fino ad ora è sempre stato conosciuto come «gouvernement mixte»4. Questo filone, che potremmo definire balbiano, in cui si tende a sovrapporre ‘governo misto’ e ‘governo rappresentativo’, comincia così a farsi
1 P. Vergari, Le idee liberali ultimo rifugio dei nemici della religione e del trono, Torino, Pic, 1821, pag. 11. 2
C. Mele, La costituzione spagnuola esaminata secondo i principij della ragione e modificata secondo le circostanze del Regno delle Due Sicilie, Napoli, De Bonis, 1821.
3 G.D. Romagnosi, La Scienza delle Costituzioni, Bastia, 1848, opera postuma, pag. 181 e sgg. 4
C. Balbo, Discours sur les avantages de la legitimité, 1821, memoriale inedito conservato presso l’Archivio di Stato di Torino, Archivio Balbo di Vinadio, mz.49, Manoscritto in quarto, numero. 15. La citazione è tratta dal diciassettesimo capitolo dell’opera, intitolato «D’une mauvaise denomination donnée à ce gouvernement».
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strada negli anni ’20 e rimarrà vivo fino agli anni ’80 dell’Ottocento. Anche il conte Francesco Virgilio Barbacovi, grande intellettuale membro della Reale accademia delle Scienze e Lettere di Torino, associa i due regimi chiarendo anche alcuni usi lessicali:
«Io non ignoro che se i molti celebri autori commendano sopra ogni altro il governo monarchico pieno ed assoluto come il più conforme alla tranquillità ed al bene de’popoli, altri non men gravi scrittori preferiscono ad esso il governo monarchico misto o limitato o, come suole chiamarsi oggidì, rappresentativo, nel quale la costituzione separa il potere legislativo dal potere esecutivo, e riunisce e confonde i tre generi di governo monarchico, aristocratico e democratico. In questa forma di governo non può negarsi che la libertà civile viene ad essere meglio assicurata, ma egli è vero altresì, e l’esperienza dimostra che dall’altro canto il governo misto o rappresentativo è troppo sovente agitato da intestine dissensioni e discordie, e da contrarie fazioni e partiti. Esso viene da alcuni paragonato ad un vascello battuto ed agitato continuamente da venti contrari. A me non m’aspetta il decidere, se il governo monarchico pieno ed assoluto sia preferibile al governo monarchico misto o rappresentativo, ovvero se questo sia preferibile a quello.»1.
Adesso il ‘governo rappresentativo’ comincia ad assumere anche in Italia un suo spessore concettuale. Dalla citazione si capisce innanzi tutto che ha lemmi sinonimici quali appunto ‘governo misto’ o ‘limitato’ ed inoltre si intuisce che in esso vige la separazione dei poteri nonostante si faccia riferimento alla mistione dei tre generi classici di governo. Inoltre a questa conformazione di governo viene contrapposto il ‘governo monarchico pieno ed assoluto’, sebbene, almeno per ora, il nostro commentatore si dimostri indeciso su quale forma di governo potrebbe essere la migliore tra le due
Altro passo decisivo in campo costituzionale viene compiuto con la Rivoluzione di Luglio, quando in Francia viene concessa la Carta del 1830. Per quanto riguarda la forma di governo, essa ricalca sostanzialmente la struttura della Carta del 1814, ma, ancora una volta, non si cerca di definire lessicalmente l’intero impianto costituzionale. Tuttavia echi del funzionamento della carta arriveranno in Italia grazie alle lezioni tenute alla Sorbona da un celebre compatriota, Pellegrino Rossi (1787-1848). Le lezioni, impartite tra gli anni 1835-36, verranno raccolte e poi pubblicate in Italia in lingua francese solo molto tardi, nel 1866, «sous les auspices du gouvernement italien» e con una breve introduzione di Carlo Boncompagni che dedicherà l’intera opera a Vittorio Emanuele, Re d’Italia2. Comunque è plausibile supporre che le idee di Rossi circolassero già ampiamente in Italia prima della stampa. Ciò dimostra ancora quanto la cultura italiana fosse debitrice verso la cultura francese.
Rossi spiega sin dalla prima lezione che uno Stato può dirsi ‘costituzionale’ solo se ha una ‘costituzione’.
Queste considerazioni sono strettamente legate così anche all’evoluzione semantica del lemma ‘costituzione’: come sottolinea Luca Mannori3, in questo periodo il termine ‘costituzione’ non ha più solo un significato meramente descrittivo che rimanda alla struttura cioè all’organizzazione politica essenziale che ogni società necessariamente ha, ma acquisisce anche un significato prescrittivo andando ad indicare la norma fondamentale cioè l’atto con cui
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F. V. Barbacovi, Discorsi intorno ad alcune parti della scienza della legislazione, Milano, Giovanni Silvestri, 1824, pag. 108.
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P. Rossi, Oevres complètes de P. Rossi. Cours de droit constitutionelle, Paris, Librairie de Guillaumin, 1866, 4 voll.
3 L. Mannori, Costituzione. Note sulla emersione del concetto nell’ Italia del Settecento, in «Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico», XLV (2016), pag. 87-126.
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il popolo, con l’avallo del sovrano, determina la propria esistenza politica. Di conseguenza tutti gli Stati hanno una costituzione-struttura, ma non tutti hanno una costituzione-norma fondamentale.
Per Rossi gli stati assoluti di certo non hanno una costituzione in questo ultimo senso, anzi è proprio questa nozione che permette di trasformare un ‘governo assoluto’ in un ‘governo libero’:
«Le libertà dell’uomo erano quasi del tutto scomparse dal suolo dell’Europa. Come vedremo in seguito, il potere assoluto era divenuto la regola nella maggior parte dell’Europa, o per lo meno, là dove non vi era forma di governo assoluto, vi era una forma di potere ristretto all’aristocrazia. In breve, il privilegio dominava nell’organizzazione degli Stati. Quando arrivò il momento di una reazione contro questo stato di cose, furono reclamate oppure si formarono quelle che sono state chiamate costituzioni, vale a dire furono ristabilite le leggi di organizzazione sociale e politica maggiormente adatte a garantire i diritti di ciascuno e le libertà naturali dell’uomo. *...+ Ne sono derivati quegli accordi tra potere e paese, quelle Carte ed il significato specifico della parola ‘costituzione’. E’ in questo senso che si afferma oggi che un paese possiede o non possiede una costituzione. Questo significa: in questo paese si sono fatte delle conquiste in materia di libero governo, il regno del privilegio è cessato.
Secondo questo significato più ristretto, la costituzione è la legge dei paesi liberi, dei paesi che sono sfuggiti al regno del privilegio e sono giunti all’organizzazione di un popolo che gode delle sue libertà.»1. I giacobini italiani sul finire del Settecento chiedendo un ‘governo libero’ avevano in mente un governo dove vigesse la sovranità popolare e la rappresentanza nazionale: nella contemporaneità di Rossi, circa un trentennio dopo, per ‘governo libero’ si intende un ‘governo costituzionale’, cioè un governo dotato di una costituzione-norma fondamentale. E cosa implica questa costituzione? Implica un certo assetto del potere, ovvero il rispetto delle libertà individuali, la separazione dei poteri, una rappresentanza nazionale che comunque, è questa la grande differenza rispetto alla rivoluzione dell’89, deve necessariamente convivere con una mai svilita prerogativa regia.
Le ultime tre lezioni del corso di Rossi, riguardanti le Carte francesi del 1814 e del 1830, fanno luce sul funzionamento delle forme di governo ivi regolate, che l’autore continua ad indicare in maniera fungibile come ‘monarchie constitutionelle’, ‘système réprésentatif’, ‘gouvernement réprésentatif’: è qui, nei rapporti tra Esecutivo e Legislativo, che ci rendiamo conto come il ‘governo costituzionale-rappresentativo’, novello ‘governo libero’, sia una sorta di governo dualistico in quanto in esso convivono sia il principio democratico, esaltato dai partigiani della rivoluzione francese, sia il principio monarchico, vessillo dei reazionari del post Restaurazione. Ci occuperemo però nel dettaglio di queste dinamiche nel capitolo successivo poiché, anche con lo Statuto Albertino si cercherà di imitarle.
Sul finire degli anni ’30 un autore di notevole importanza per la cultura politica italiana è Jean Charles Léonard Sismonde de Sismondi (1773-1842), il quale però, seppur scrivendo le sue opere più importanti nella seconda metà degli anni Trenta, rimane ancora saldamente ancorato alla tradizione e ai canoni del governo misto. Egli si differenzia dagli autori citati precedentemente, poiché sostiene che ‘governo misto’ e ‘governo rappresentativo’ non coincidono affatto, preferendo nettamente il primo al secondo.
Sismondi ha una visione dei reggimenti politici che rispecchia l’antichità classica per cui,
1 P. Rossi, Lezioni di diritto costituzionale alla Sorbona, a cura di G. Ciaurro, A. Leoncini Bartoli, G. Negri, Roma, Colombo, 1992, pag. 41.
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accanto alle forme semplici ed instabili, si staglia inevitabilmente il ‘governo misto’: tutta la sua produzione intellettuale inclina verso l’esaltazione di questo regime. Il pensiero di Sismondi viene espresso chiaramente nelle Recherches sur les constitutions des peuples libres, un’opera giovanile, composta tra il 1796 e 1801 che però non vedrà mai la luce fino al 19651.
Per Sismondi il ‘governo rappresentativo’ è quel modello che deriva dall’esperienza rivoluzionaria francese e si basa sulla teoria dell’eguaglianza giuridica e della sovranità nazionale. Si tratta di:
«un gouvernement libre approprié aux grands empires, dans lequel les magistrats nommèes par le peuple, ou reconnus par lui, sont les seuls organes de la volonté nationale. Ce gouvernement ne peut être parfait, l’Etat ne peut être libre, ni la nation souveraine, qu’autant que la volonté exprimée par ces organes de la nation est réellement maintenue conforme à la volonté nationale, au moyen d’une combinaison bien entendue des diverses classes de magistrats, qui soient animés des divers intérêts nationaux, et d’un équilibre parfait entre ces différentes classes.»2.
Il ‘governo misto’ invece è quello in cui:
«la nation exerce la souverainetè par elle même et no pas par des représentants, pour établir cet équilibre de pouvoirs qui seul peut servir de frein aux usurpation de ceux qui sont revétus de l’autorité suprême, elle doit commencer par tracer des divisions dans l’Etat, et former des corps revétus de prérogatives indépendantes: le reste de la nation qui conservera la nom de peuple, aura aussi les siennes, et les exercera dans des assemblées, où chaque citoyen aura voix déliberative.»3.
Anche il concetto di sovranità cambia nei due tipi di governo perché:
«dans un bon gouvernement représentatif la nation seule est souveraine, parce que ses députés ne sont que ses organes, et qu’ils doivent être combinés de manière à représenter tous les partis et toutes les divisions dont la nation est composée.
Dans un bon gouvernement mixte, c’est aussi la nation seule qui est souveraine, parce que la division des différentes classe d’hommes qu’elle contient *...+ chacune d’elles est écutéé à part et a droit de se faire entendre au lieu de voir sa voix confondue dans le tumulte universel, rejetèe ou approuvèe au hazard, et san dinstinction comme il arrive dans la démocratie.»4.
Interpretare il pensiero di Sismondi non è facile. A mio avviso per Sismondi sia nel ‘governo misto’ che nel ‘governo rappresentativo’ la sovranità è in mano alla nazione, tuttavia mentre nel primo essa è esercitata direttamente, nel secondo caso è esercitata indirettamente tramite rappresentanti: questo spiega perché il ‘governo misto’ e la ‘democrazia’ siano regimi adatti ai piccoli stati mentre il ‘regime rappresentativo’ sia adeguato ai grandi stati moderni. Ma c’è di più. Nel regime misto ogni classe «è ascoltata a parte» e conta veramente in base al prestigio che detiene; nel regime rappresentativo vige invece la regola della maggioranza numerica e conta di più chi è più numeroso.
E’ quest’ultimo concetto che trasmette Sismondi in Etudes sur les constitutions des peuples
1 J.C.L. Sismondi, Recherches sur les constitutions des peuples libre, [1796-1801], a cura di M. Minerbi, Genève, Droz, 1965. 2 Ivi, pag. 142. 3 Ivi, pag. 126. 4 Ivi, pag. 127.
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libres del 1836, opera che verrà tradotta anche in italiano nel 1839.
Qui Sismondi sostiene che esistono quattro tipi di costituzioni: ‘monarchica’, ‘aristocratica’, ‘democratica’ e ovviamente ‘mista’. Successivamente Sismondi intavola un discorso nel quale si dichiara contrario «all’assoluta uguaglianza». Chi invece si dichiara a favore di questo tipo di uguaglianza, che potremmo definire materiale, si definisce ugualmente favorevole alla ‘democrazia’ oppure, in subordine, al ‘governo rappresentativo’, che verrebbe quindi a costituire una quinta specie di governo:
«Noi crediamo fermamente che il governo rappresentativo sia un ritrovato felice per mettere in aperto gli uomini esimii, per porgere loro occasione di cattivarsi ed anzitutto di meritare la confidenza di tutti, e per condurli al maneggio della cosa pubblica. Crediamo che questo ritrovato torni più ancora in acconcio per porre l’uno a fronte dell’altro i varii interessi, i varii sentimenti, le varie opinioni, porgendo loro il mezzo, o la voce per farsi intendere, per illuminarsi scambievolmente, per equilibrarsi, per riunirsi in un tutto che si possa riguardare come l’interesse, il sentimento, l’opinione nazionale. Crediamo che una tale istituzione giovi a formare, a promuovere e ad accertare il trionfo dell’opinione pubblica in modo che questa, nata tra tutti quelli che sanno e che sentono, elaborata dalle discussioni di quelli cui la nazione dà ascolto, si insinui nelle moltitudini e le penetri d’un pensiero comune, il quale venga poscia trasformato in legge. Crediamo infine che felici ma difficili combinazioni possano, mercè del governo rappresentativo, proteggere tutte le località, tutte le opinioni, tutte le classi di cittadini e tutti i diversi interessi. Ma se tale si è veramente lo scopo e l’ufficio del governo rappresentativo, tutto il fardaggio, tutto l’apparato di astrazioni e di supposizioni vane che tuttodì ci si pongono innanzi come se fossero i