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La refrattarietà ad abbandonare lessici e schemi mentali consolidati

Capitolo 3. Gli anni Ottanta: dal ‘governo rappresentativo’ al ‘governo parlamentare’

3.1 Tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta: la situazione politica e gl

3.1.2 La refrattarietà ad abbandonare lessici e schemi mentali consolidati

La nostra forma di governo oltre ad essere indicata con vari lemmi sinonimici veniva nella maggior parte dei casi associata all’esperienza del cosiddetto ‘governo misto’. Moltissimi autori seguono così quello che abbiamo definito il “filone balbiano”, in quanto sia il governo ‘rappresentativo-costituzionale-parlamentare’ sia il ‘governo misto’ sono accomunati dall’idea che in essi si realizzi un salutare equilibrio, dei tre poteri o funzioni nel primo caso, delle tre forze sociali nel secondo.

Uscire da questi schemi mentali che erano stati propinati per decenni è difficile: sebbene i commentatori più audaci della vita politica denuncino apertamente gli “squilibri” del sistema, per ora la dottrina non formula nuovi schemi mentali e lessici adeguati per descrivere l’attualità politico-costituzionale e anzi, non esita a sfruttare ancora gli schemi mentali tradizionali ben conosciuti come appunto quello del ‘governo misto’.

L’autore che in questo periodo propone per primo un’evoluzione nel lessico è un personaggio poliedrico (giurista, docente universitario, diplomatico, deputato della sinistra radicale), Alessandro Paternostro (1852-1899). Egli, già scettico sulla dottrina del ‘governo misto’ (la quale elaborata dagli antichi, tiene ben presente il concetto di rappresentanza per classe ma non affronta un problema preponderante al giorno d’oggi come quello della libertà1), espone più ordinatamente le sue idee nel manuale di lezioni Diritto Costituzionale del 1879. In quest’opera Paternostro elenca le varie forme di governo: la ‘monarchia assoluta’, il ‘cesarismo’, il ‘governo presidenziale’ degli Stati Uniti d’America, ed infine il ‘governo rappresentativo’ (sia monarchico che repubblicano). Quest’ultimo però ormai quasi ovunque è ordinato «secondo la forma del Gabinetto». Dunque il ‘governo parlamentare’ sembra derivare dal rappresentativo e si presenta nella sua migliore forma in Inghilterra ed in Francia : «Il Governo Parlamentare è il risultato del Sistema rappresentativo, sia monarchico sia repubblicano, sistema meno perfetto nella forma presidenziale degli Stati Uniti, più perfetto nella forma di Gabinetto inglese e francese.»2.

Paternostro sottolinea la differenza tra il ‘governo presidenziale’3 e il ‘governo rappresentativo’: il primo rispetto al secondo presenta dei «caratteri d’inferiorità» i quali non derivano da una mancanza di libertà, ma piuttosto «da certe imperfezioni pratiche di quella Costituzione». Infatti negli Stati Uniti d’America a causa dello spoil system il rischio di un governo fortemente partigiano anche a livello amministrativo è altissimo, inoltre un altro «carattere d’inferiorità» consiste nella «mancanza di contatto fra i Ministri ed il Parlamento». Si tratta di due “storture” che trovano una “correzione” nella forma di governo parlamentare.

1 In Sulla dottrina della rappresentanza proporzionale delle minoranze, Roma, Tipografia del Senato, 1878, a pag. 126 Paternostro scrive: «Gli scrittori che difendono oggi la monarchia costituzionale come il conseguimento del Governo misto degli antichi o del contemperamento dei tre principi monarchico, aristocratico, democratico, sono indietro di 50 anni al nostro tempo.».

2

A. Paternostro, Diritto Costituzionale. Teorico, patrio e comparato. Lezioni dettate nell’anno scolastico 1878-79, Napoli, Stabilimento tipografico di Vincenzo Morano, 1879, pag. 169.

3 Abbiamo visto nei capitoli precedenti come nelle decadi passate ci si riferisse alla forma di governo degli Stati Uniti d’America usando molto spesso la generica etichetta ‘repubblica rappresentativa’. Paternostro è probabilmente insieme a Luigi Palma (la prima edizione del suo Corso di diritto costituzionale risale al 1877) uno dei primi autori ad usare consciamente il sintagma ‘governo presidenziale’ per descrivere la realtà americana.

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Infatti nella Terza Repubblica francese, passando da un sistema ‘rappresentativo’ ad uno ‘parlamentare’, si è realizzato un sistema di governo che si presenta comunque migliore del governo presidenziale americano: come in America, anche in Francia il capo dello Stato rimane elettivo e questo è senza ombra di dubbio un pregio poiché l’eletto viene scelto proprio in virtù della sua competenza e autorità, cosa che non accade quando invece siamo di fronte alla successione ereditaria. Inoltre proprio per la presenza del Gabinetto si assicura quella sintonia tra Esecutivo e Legislativo che oltre oceano manca.

Dunque per Paternostro la forma parlamentare (unitaria) della Terza Repubblica, originatesi dal governo rappresentativo, non solo è migliore della forma repubblicana presidenziale americana (una forma federale), ma è addirittura migliore della forma parlamentare (monarchica e accentrata) dell’Inghilterra e dell’Italia.

La preferenza per la forma repubblicana porta il nostro autore a dialogare proprio con l’ambiente repubblicano italiano, tuttavia la differenza tra ‘sistema/governo rappresentativo’ e ‘governo parlamentare’ che Paternostro sembra abbozzare non viene recepita dai più.

Fin dalla sua nascita e per bocca del suo direttore Alberto Mario (1825-1883)1 , la «Rivista Repubblicana», si mostra interessata a discutere, a differenza del filone socialista ed internazionalista, di forme di governo2.

I repubblicani che si rispecchiano nella rivista esprimono la loro predilezione per una «democrazia ordinata in repubblica federale»3, da qui l’ammirazione per gli Stati Uniti d’America. Alberto Mario sin dai suoi primi interventi sembra utilizzare un linguaggio politico- costituzionale essenziale, limitandosi a distinguere tra ‘monarchia rappresentativa’ e ‘repubblica rappresentativa’ (quest’ultima unitaria o federale).

Più interessante invece dal punto di vista lessicale è la recensione allo stesso manuale del Paternostro4 scritta da Napoleone Colajanni (1847-1921) sulle pagine della «Rivista». Colajanni espone le sue impressioni sul libro di Paternostro, che, ci tiene a precisarlo, più volte in passato ha collaborato anche con il periodico. Ebbene Colajanni commenta vari stralci del manuale, polemizzando per esempio sulla superiorità di una repubblica rappresentativa unitaria sul modello francese rispetto a una repubblica federale come quella svizzera o americana, tuttavia non coglie la specificazione lessicale del giurista. In linea con gli stilemi del periodo il recensore usa come sinonimi sintagmi quali ‘governo di gabinetto’, ‘parlamentarismo’, ‘monarchia rappresentativa’ ecc.

Probabilmente proprio a causa della sua poliedricità Paternostro non verrà citato come “fonte” nemmeno da altri autori successivi, in modo tale da mantenere inalterato il quadro dell’indeterminatezza lessicale.

Al 1879 risale La monarchia rappresentativa popolare in Italia, un discorso di Attilio Brunialti letto il 9 Luglio all’Accademia Olimpica di Vicenza e poi raccolto anni dopo, insieme ad altri

1 Sulla figura di Alberto Mario si veda tra i vari contributi L. Briguglio, Il federalismo repubblicano di Alberto Mario, Padova, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 1994; R. Balzani, F. Conti, Alberto Mario e la cultura democratica italiana dell’Ottocento, Atti della giornata di Studi, Forlì, 13 maggio 1983, Bologna, Boni, 1985.

2

A. Mario, Il nostro ideale, in «Rivista Repubblicana», 9 aprile 1878, oggi in La repubblica e l’Ideale, antologia degli scritti, a cura di P.L. Bagatin, Lendinara, 1984, pag. 101-105.

3 Ivi, pag. 101. 4

N. Colajanni, Diritto Costituzionale, in «Rivista Repubblicana», settembre 1880. Tutti gli articoli della rivista si trovano riproposti nella ristampa anastatica della stessa: La rivista repubblicana: politica, filosofia, scienze, lettere ed arti (1878-1881), Bologna, Forni, 1969, 4 voll. L’articolo citato si trova nel terzo volume, pag. 616-624.

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scritti, nel volume Le moderne evoluzioni del governo costituzionale1.

Brunialti si riferisce alla forma di governo italiana con il mix di etichette a noi ben noto nel quale spicca il sintagma ‘monarchia rappresentativa popolare’. La ‘monarchia popolare’ è da contrapporsi nel discorso di Brunialti alla ‘monarchia assoluta’, e, cosa che a noi interessa particolarmente, tale forma di governo è una forma mista che si è venuta creando gradualmente, col passare del tempo:

« A temperare il potere sovrano [della monarchia assoluta], dove per dividerlo, dove per farne suo monopolio, si fa innanzi dapprima l’aristocrazia, e ne derivano le monarchie feudali e le repubbliche aristocratiche. Da ultimo vi si aggiunge l’elemento popolare, e tempera in varia guisa le due forme di governo, sino a quella risultante delicata, complessa, saldamente compaginata, e per ogni riguardo eccellente, che è la monarchia popolare rappresentativa.»2.

La lezione di Brunialti viene recepita anche dal suo giovanissimo discepolo Camillo Montalcini (1862-1948), destinato a diventare un eminente funzionario parlamentare. Appena diciannovenne Montalcini pubblica nel 1881 Condizione politica e giuridica del Re nel regime costituzionale, dove, prima di passare in rassegna le caratteristiche delle prerogative del Sovrano non manca di specificare che all’odierno sistema vigente sia in Inghilterra che in Italia, indicato come ‘regime costituzionale’ o ‘governo rappresentativo, «tre elementi vi concorrono: Democrazia [...], Aristocrazia, Monarchia.»3.

Staccarsi dunque dai vecchi lessici e dalla vecchia forma mentis è davvero difficoltoso. Prendiamo ad esempio uno dei documenti più importanti del periodo che incarna questa tendenza lessico-concettuale: la seconda edizione del 1881 del Corso di Diritto costituzionale4 di Luigi Palma.

Il manuale, punto di riferimento per la scienza giuridica italiana, risulterà uno dei più citati, forte del successo che riscuoterà. Palma infatti nel 1883 darà alle stampe anche una terza edizione dell’opera rivista ed ampliata, il cui confronto con la seconda edizione lascia una traccia indelebile della specificazione lessicale in atto nel nostro Paese in quel periodo.

Per ora concentriamoci sulla seconda edizione del 1881 partendo dalle fonti lette dal giurista di Corigliano Calabro. Palma si dimostra un giurista molto preparato, capace di sfruttare fonti classiche (Aristotele, Polibio, Cicerone, Machiavelli, Montesquieu) e coniugarle con autori contemporanei come Constant, Guizot, Bluntschli e soprattutto i “nuovi” autori inglesi quali Todd, Grey, Bagehot e soprattutto Gladstone.

Dal punto di vista teorico Palma afferma che la sovranità non risiede in nessun organo in particolare, ma nella Nazione intera ed è esercitata dai più capaci. Al contrario dissente aspramente dal concetto di ‘monarchia costituzionale’ del Bluntschli5. E’ inevitabilmente verso

1 A. Brunialti, La monarchia rappresentativa popolare in Italia, 1879, in Id., Le moderne evoluzioni del governo costituzionale. Saggi e letture, Milano, Hoepli, 1881, pag. 45-93.

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Ivi, pag. 48.

3 C. Montalcini, Condizione politica e giuridica del Re nel regime costituzionale, Torino, Loescher, 1881, pag. 19.

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L. Palma, Corso di diritto costituzionale, Firenze, Pellas, 1881². La prima edizione risale al 1877, mentre la terza edizione rivista, corretta ed ampliata verrà pubblicata nel 1883.

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Il concetto di ‘monarchia costituzionale’ sostenuto da Bluntschli per Palma è inconcepibile. A pag. 349 della seconda edizione del Corso si legge: «Tutto ciò è inaccettabile; ponendosi effettivamente il potere nella Corona si rende impossibile la sua irresponsabilità, come succedeva nel Medio Evo, quando non si avevano bensì i freni giuridici del potere del re, le limitazioni odierne, ma spesseggiavano le congiure, le

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l’Inghilterra che il nostro autore guarda per elaborare una sua teoria del ‘governo monarchico rappresentativo’. Ed è in particolare dagli scritti1 di William Ewart Gladstone (1809-1898), politico di punta del partito liberale inglese, più volte primo ministro tra il 1868 e il 1894, che Palma attinge importanti intuizioni: non per niente secondo Luca Borsi2 il pensiero gladstoniano avrà molta più incidenza dell’opera di Bagehot sulla cultura politica italiana. Infatti sia per Gladstone che per Bagehot i tre poteri dello Stato non sono separati meccanicamente come voleva Montesquieu, ma sono intrecciati l’uno con l’altro specialmente il Legislativo e l’Esecutivo, di cui ovviamente il Gabinetto è la prova. Tuttavia per Gladstone tutti i poteri sono ugualmente importanti (non esistono parti nobili e parti efficienti della costituzione) e sostanzialmente il Gabinetto costituisce un quarto potere, in grado di coordinare gli altri tre.

Con questa premessa si può arrivare ad affermare che:

- checché ne dicesse Bagehot, il Re mantiene un ruolo importante nel sistema: non si limita ad un mero ruolo notarile nell’assetto costituzionale, ma ha uno spazio di manovra e autonomia di scelta politica qualora le situazioni lo richiedano (per esempio nella risoluzione delle crisi di governo);

- ancora una volta Bagehot sbaglia a considerare il Gabinetto “il comitato esecutivo della maggioranza”: in realtà esso ha una funzione depuratrice. Il Gabinetto, ovvero il quarto potere, diviene il titolare di una funzione propria di governo, che gli permette di essere indipendente davanti alla stessa maggioranza parlamentare: è proprio nel Gabinetto che le forze di maggioranza, faziose per loro natura, si vedono depurate dalle scorie della soggettività politica: così il Gabinetto permette di fare una sintesi non-politica delle forze di maggioranza. Il Gabinetto diventa una clearing house che trasforma la persecuzione di interessi di parte in interessi generali, neutralizzando gli effetti dannosi del “governo di partito”. Di conseguenza la compagine governativa non dovrà seguire alla lettera le direttive della maggioranza che la supporta, ma dimostrare una propria autonomia nell’indicare e realizzare un proprio indirizzo politico.

L’”ideologia” di Gladstone avrà in Italia molto ascendente, non solo su Luigi Palma, ma ache su molti altri autori. Perché le spigolature (dall’inglese gleanings) di un uomo politico, seppur eminente, avranno così tanto successo in Italia? Secondo me perché si tratta dell’intervento giusto al momento giusto.

rivoluzioni, le deposizioni; si rende impossibile la responsabilità dei ministri, impossibile che la nazione abbia la gaurentigia di vedersi governata, non da un essere che può essere disadatto, un uomo mediocre per non dir di peggio, ma da se stessa; il re non è più un’istituzione al di sopra dei partiti, e quindi in grado di tenerli in pace e di moderarli, ma è il capo di essi, e perciò è soggetto ai loro errori, e alle loro odiosità; i diritti stessi dei cittadini come individui e come assemblee non sarebbero assicurati, l’ideale della costituzione sarebbe quel governo indeterminato della Prussia dal 1848 al 1866. Una tal forma potrà essere legittima e benefica in un dato momento storico, come furono nella stessa Inghilterra il regno di Elisabetta e dello stesso Guglielmo III, che aveva nel governo una parte ben altrimenti più attiva della regina Vittoria, ma sicuramente non può essere il concetto organico, razionale della monarchia costituzionale.».

1

W.E. Gladstone, Gleanings of the past years (1875-1878). The Throne and the Prince Consort; The Cabinet and the Constitution,in Id., Gleanings of the past years: 1843-1878, vol. I, London, Murray, 1879. L’opera ebbe una notevole diffusione in Italia grazie alla sua traduzione in francese: A. Gigot, Questions constitutionnelles : (1873-1878) : le trone et le prince-époux, le cabinet et la constitution / par W. E. Gladstone ; traduit de l'anglais et précédé d'une introduction par Albert Gigot,Parigi, Librairie Germer Bailliere et C.ie, 1880.

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La dottrina che vede nel gabinetto un quarto potere “coordinatore” che resiste alle eccedenze della camera rappresentativa è un tentativo in extremis di vedere il sistema costituzionale ancora in equilibrio e non sbilanciato irrimediabilmente dalla parte della rappresentanza nazionale, come aveva spietatamente descritto Bagehot alcuni anni prima e osservatori italiani come Bonghi e Sonnino non esitavano a rilevare. Le riflessioni di Gladstone costituiscono dunque una risposta che cerca di ribattere ai denigratori del sistema che abbiamo visto nel primo paragrafo e allo stesso tempo non rompe con la tradizione. E’ vero, ormai nessuno crede più che i poteri dello Stato siano meccanicamente separati, ma si pensa ancora che il fine ultimo dello Stato sia quello di mantenere quei poteri in equilibrio.

Così, seppur con dei distinguo, neanche il brillante Palma riesce ad allontanarsi dalla dottrina del ‘governo misto’, imperniata proprio sull’equilibrio costituzionale.

Nella seconda edizione del suo Corso di diritto Costituzionale, l’autore sostiene una certa continuità tra ‘governi misti’ e ‘governi rappresentativi’.

Per Palma i tipi di governi si succedono storicamente: prima abbiamo «le forme dei governi semplici ed assoluti» ovvero la monarchia, l’aristocrazia, la democrazia e le loro rispettive degenerazioni; poi abbiamo «i governi misti degli antichi» ovvero quei governi in cui la sovranità è divisa variamente tra i diversi elementi della società; infine abbiamo i governi rappresentativi in cui sono i poteri sovrani, ossia le funzioni del potere pubblico, ad essere suddivisi tra i vari organi dello Stato. Tra il “governo misto degli antichi” e il “governo rappresentativo dei moderni” esiste una continuità “storica”. In entrambe le forme si cerca di ricreare un equilibrio, ma sono le condizioni di partenza che sono diverse, anche se talvolta i due regimi possono coincidere:

« Il misto [degli antichi] considera ogni società come composta essenzialmente di tre elementi, l’Unus, i pauci e i plurimi, e forma lo Stato dando ad ognuno di essi elementi partecipazione e interesse; perché nessuno possa abusare del suo potere esclusivo e diventare tiranno, e tutti e tre possano cooperare al bene dello Stato e nelle vie legali. Il rappresentativo invece ripartisce il potere sovrano, nelle sue principali funzioni, il legislativo, l’esecutivo ed il giudiziario, tra i vari organi, fra cui possono essere o non essere un monarca e un corpo aristocratico. *…+ Il governo rappresentativo ha per carattere speciale *…+ di dare il potere sovrano delle umane società, non ad Uno, né al popolo adunato inorganicamente in piazza come confusa moltitudine, ma al popolo considerato organicamente nel suo capo e nelle sue membra; rappresentato dai suoi migliori dichiarati tali dalle elezioni nazionali, di maniera che il popolo non esercita organicamente altro vero potere proprio politico che l’elettorale.»1.

Alla luce di queste osservazioni Palma conclude che l’Inghilterra è ad un tempo un governo misto “degli antichi” e uno Stato rappresentativo; l’Italia e il Belgio sono governi rappresentativi, ma misti solo di monarchia e democrazia; gli USA e la Francia sono governi rappresentativi, ma non misti poiché non hanno «Grandi, né Re; hanno Senati e Presidenti, non aristocrazia né monarchi».

A livello concettuale Palma non si discosta dalla tradizione e particolari innovazioni non si riscontrano neanche a livello lessicale: l’autore continua ad usare in maniera sinonimica ‘governo costituzionale’, ‘governo rappresentativo’, ‘governo rappresentativo costituzionale’, ‘governo monarchico rappresentativo’ e anche ‘governo parlamentare’. Solo con la successiva terza edizione del Corso Palma si preoccuperà di affinare il suo lessico seguendo evidentemente la tendenza del periodo, ma di ciò ci occuperemo nel paragrafo successivo.

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Anche il giovanissimo Vittorio Emanuele Orlando (1860-1952)1 nello stesso periodo intavola una sua riflessione sulle forme di governo, non staccandosi dalla tradizione e ispirandosi alle opere di un famoso filosofo inglese: stiamo parlando di Herbert Spencer (1820-1903), che proprio in questo periodo comincia ad essere conosciuto anche in Italia2. Secondo Orlando le riflessioni di Spencer costituiscono un avanzamento nella dottrina delle forme di governo rispetto alla tradizionale classificazione aristotelica perché questa teneva conto solo della forma esteriore che un popolo poteva darsi. Invece per il filosofo inglese in ogni società esistono tre “forze”: l’elemento democratico, quello aristocratico e quello monarchico.

Nel ‘governo misto’ del passato i tre elementi convivevano in equilibrio tra loro e solo quando uno di essi prevaleva sugli altri cominciava un lento declino degenerativo della società. Oggi i tre elementi si ritrovano in maniera equilibrata nella monarchia rappresentativa « la quale a prima vista pare un vero quartum quoddam genus rei publicae»3. Conclude così Orlando: « E per una via diversa assai da quella tenuta da J. Stuart Mill arriviamo alla stessa conclusione che “l’ideale di un governo è quello rappresentativo”. Difatti è in questa forma che le tre forze principali politiche spiegano normalmente e legittimamente la loro influenza solo in quanto essa è buona e salutare *…+ Senonchè, come tutti gli organismi delicati, il sistema rappresentativo spesso funziona male, si ammala e deperisce. Chi ben guardi, ciò deriva sempre dalla prevalenza eccessiva di qualcuna delle tre forze di cui sopra si è detto.»4.

Dunque anche per Orlando il ‘governo rappresentativo’ è la forma di governo ideale: in esso gli elementi sociali si trovano in equilibrio, ma allo stesso tempo l’equilibrio è precario, la forma di governo è delicata e soggetta a degenerazione qualora uno dei tre elementi tenti di prevalere sugli altri (qui Orlando sembra essere conscio della “deriva democratica” che il sistema sta prendendo).

Dal punto di vista lessicale il giovane Orlando si limita appunto a parlare di ‘governo rappresentativo’ o ‘monarchia rappresentativa’ e non fa nessun accenno a alcun lemma più tecnico.

L’ultimo documento che vogliamo presentare è un articolo dell’avvocato Antonio Romano- Catania pubblicato su «Il circolo giuridico» nel 1881, ma risalente in realtà al 18805.

Si tratta di un documento “di passaggio”, è per questo che lo abbiamo inserito alla fine del nostro paragrafo. Infatti se dal punto di vista lessicale l’autore mantiene una certa indeterminatezza, dal punto di vista concettuale possiamo dire che la sua visione è piuttosto avanzata.

Secondo Romano-Catania le forme di governo possibili ai nostri giorni sono quattro: la «ereditaria e assoluta»; la «rivoluzionaria o dittatoriale»; la «presidenziale» che vige in USA e