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L’Anpo tōsō – gli interpreti principal

L’arrivo di Kishi

Nel 1957, al breve mandato di Ishibashi Tanzan, costretto alle dimissioni per motivi di salute, seguì il governo di Kishi Nobusuke. All‟epoca iniziarono a intensificarsi le voci che spingevano affinché il Giappone ricoprisse un nuovo ruolo sulla scena internazionale: un ruolo adatto allo status di potenza mondiale che si stava avviando a diventare. Se fino ad allora era rimasto schiacciato dall‟opprimente posizione degli USA da una parte, e dalla crescente economia cinese dall‟altra, sul finire degli anni cinquanta sembrò possibile per il Giappone divenire il ponte che avrebbe unito i due blocchi, in modo da appianare anche le divergenze e le tensioni esistenti. Va da se che simili progetti sarebbero dovuti cominciare con la revisione del trattato, che presentava numerosi punti sfavorevoli per l‟arcipelago. Non esisteva infatti alcun limite di tempo ben definito alla permanenza delle truppe a stelle e strisce nel paese, le quali non avevano alcun obbligo di difesa della nazione. Inoltre, potevano essere utilizzate, senza bisogno di alcuna consultazione preventiva, per intervenire in qualsiasi ipotetico conflitto, esponendo, in questo modo, anche il Giappone a possibili ritorsioni. Infine, uno dei punti più problematici riguardava l‟assenza di clausole che impedissero di equipaggiare le truppe americane presenti nell‟arcipelago con la bomba atomica.338

Kishi Nobusuke divenne Primo Ministro in un simile clima di tensioni. Questi era un ex- criminale di classe A, passato nel giro di pochi anni dalla prigionia per aver collaborato col governo Tōjō, al ruolo di premier. La cattiva fama di cui godeva il neo eletto Premier era figlia altresì di decisioni politiche grandemente impopolari, come quella che prese nel 1958, presentando un disegno di legge volto ad aumentare i poteri delle forze di polizia in merito ad azioni preventive per combattere il crimine, quali arresti, interrogatori e indagini. La sinistra riuscì a fare, per un breve periodo, fronte comune contro la proposta di legge, denunciando la violazione di alcuni dei diritti fondamentali dell‟uomo che essa rappresentava. Assieme alle forze più moderate, venne istituito il Keishokuhō kaiaku hantai kokumin kaigi, ovvero una sorta di “consiglio cittadino contro una modifica in peggio della legge sui doveri della polizia”. Kishi continuò indefessamente, scatenando una serie di proteste che si placarono solo dopo che, grazie all‟intervento del partito socialista, il progetto di revisione fu abbandonato. L‟operato del Primo

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Minisito si trovò così, fin dai suoi primi interventi, al centro di molte critiche che stigmatizzarono il suo comportamento apparentemente teso a ripristinare in Giappone un governo autoritario.

Il dibattito sul rinnovo del trattato che ebbe luogo in quegli anni, superò ben presto i limiti di una semplice contrapposizione ideologica tra destra e sinistra, andando a incastrarsi in un discorso molto più ampio di relazioni internazionali: la questione nucleare, il ritorno del Giappone come superpotenza, l‟atteggiamento da assumere con la nascente forza economica cinese, ecc. Furono tutti fattori che andavano tenuti in considerazione nel contesto del rinnovo dell‟Anpo. Inoltre, anche la situazione interna del paese era piuttosto agitata, rendendo così ancora più difficile individuare una soluzione capace di accontentare tutti gli interessi presenti in campo.339

La sinistra

Nei primi anni del secondo dopoguerra, la sinistra giapponese, e in particolare il partito comunista, aveva provato a sfruttare l‟onda favorevole creatasi come una sorta di reazione spontanea alla politica fascista degli anni trenta e quaranta, senza però arrivare a far registrare alcun risultato concreto. La frammentazione delle forze progressiste aveva finito per favorire, involontariamente, la ripresa della marea reazionaria. La revisione del trattato di sicurezza nippo- americano, sembrò fornire un valido pretesto per un‟azione politica combinata che richiamasse quella coesione a lungo assente negli ambienti della sinistra dell‟arcipelago. Coloro che fin dalle prime fasi si configurarono a divenire i leader della nuova, grande coalizione furono il PSG, il PCG, il Sōhyō e lo Zengakuren.

Il Partito Socialista Giapponese (Nihon shamintō) dopo la fine della guerra era andato incontro a una grande crescita, destinata ad arrestarsi però intorno al 1958, quando, progressivamente, iniziò a perdere consensi. Uno dei problemi con cui il PSG ha sempre dovuto fare i conti era stato il rapporto col partito comunista. A metà degli anni cinquanta infatti si ripresentò in tutta la sua urgenza la questione di un‟alleanza tra i due schieramenti. Il PCG peraltro stava sempre più smorzando la sua linea politica, la quale aveva finito per presentare un‟incredibile quantità di punti in comune con quella socialista. Le maggiori perplessità riguardavano il timore per cui una simile collaborazione avrebbe potuto alienare le simpatie delle frange più moderate dell‟elettorato popolare.340 Dal punto di vista delle questioni internazionali,

poi, le posizioni del partito spinsero per un progetto più ampio, una sorta di patto di non aggressione che comprendesse anche Cina e Russia, alla ricerca di un equilibrio alquanto precario con l‟occidente. Gli anni che precedettero l‟Anpo tōsō tuttavia videro un netto peggioramento dei

339 Victor J. KOSCHMANN, Authority and the individual in Japan: citizen protest in historical perspective, Tokyo, University of

Tokyo Press, 1978, p. 36

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rapporti con gli USA, dovuto in particolare all‟inversione di rotta compiuta sulle politiche interne del paese. Ma l‟opposizione agli Stati Uniti era figlia anche dell‟ideologia di fondo che animava il partito, e che considerava una minaccia quel sistema capitalista di cui l‟America era l‟emblema perfetto. Senza contare che Washington, in Asia, aveva sempre appoggiato governi conservatori, al limite della dittatura: Syngman Rhee in Corea, famoso per la sua crociata contro il comunismo, Ngo Dinh Diem in Vietnam oppure Chiang Kai-Shek, per citare i nomi più noti. Apparivano quindi ben più che legittimi i dubbi espressi da molti giapponesi a proposito della “democrazia capitalista” d‟ispirazione americana, anche alla luce di alcuni aspetti del mondo politico a stelle e strisce di quegli anni: il maccartismo, l‟estremismo di certe frange del partito repubblicano, pregiudizi razziali, la pesante influenza dell‟esercito nelle sale di potere dello stato, ecc. Per l‟ala sinistra del PSG tutto ciò, assieme al prezzo che gli Stati Uniti pretesero dal Giappone per il riottenimento della propria sovranità, erano sufficienti per considerare proprio l‟America come la principale minaccia alla pace mondiale. Di contro l‟ala destra tendeva a rimanere su posizioni più caute, sempre vicini a principi neutralisti, vagamente filoccidentali.341

I principali consensi provenivano dalla classe operaia, dagli insegnati, impiegati pubblici e privati e dagli studenti. Lo schieramento socialista fu un alleato dello Zengakuren nell‟opposizione all‟imperialismo statunitense, e incoraggiò sempre la partecipazione studentesca nelle attività del partito. Inoltre il PSG cercò di rispettare quella autonomia che le associazioni studentesche avevano sempre rivendicato, a differenza invece delle numerose intromissioni comuniste. Tuttavia anche all‟interno del Consiglio Popolare, il rapporto tra queste organizzazioni non fu affatto semplice. Non solo perché le strategie degli studenti mal si sposavano con l‟attendismo e la cautela dimostrate in più occasioni dal PSG, ma soprattutto perché, nella sostanza, tutte le varie correnti presenti all‟interno dello Zengakuren erano di fatto filocomuniste. Quella “anti-mainstream” rimase più fedele al PCG e condivise con esso la lotta all‟imperialismo americano, considerato il maggior nemico del Giappone. La corrente principale invece, si attestò su posizioni più puramente marxiste, rifiutando di sottostare alle direttive del Kyōsantō e concentrata nell‟opposizione al monopolio capitalista.

Le politiche violente di estrema sinistra del partito comunista (che avevano condotto a scontri come quello del “primo maggio di sangue”), avevano fatto perdere molti voti al PCG, il quale nel corso degli anni cinquanta decise di ammorbidire la propria condotta. Una serie di scandali sia interni che internazionali, poi, avevano indebolito lo schieramento, sempre più convinto della necessità di un unico fronte democratico da formare col PSG, anche a costo di rivedere la propria

341 COLE, Allan B., TOTTEN, George B., UYEARA, Cecil M., Socialist parties in postwar Japan, New Haven, Yale

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agenda. Alla fine però, quello che rimase uno dei punti su cui i due schieramenti fecero maggiormente fatica a trovare una posizione d‟intesa, fu la scelta del “nemico”. Se infatti i socialisti (divisi in due anime interne) si scagliarono duramente contro Kishi e il suo governo, l‟obbiettivo degli attacchi dei comunisti molto spesso erano gli Stati Uniti d‟America, accusati di aver corroso le libertà del Giappone, con le loro politiche imperialiste. Tale differenza si farà vedere soprattutto durante la crisi del 1960, quando, per citare uno dei casi più “controversi”, le manifestazioni dei due partiti andranno a colpire obbiettivi diversi: il Parlamento nipponico (PSG) e l‟ambasciata americana (PCG). 342

La mancanza di esperienza, nei primi anni del secondo dopoguerra condusse il PCG a scelte infelici che minarono seriamente il suo futuro: l‟eccessiva fiducia dimostrata inizialmente nei confronti degli USA, lasciò lo schieramento completamente impreparato al repentino cambiamento delle politiche americane che videro, all‟inizio degli anni cinquanta, l‟epurazione di molti membri del partito in posizioni di rilievo. L‟altra grave colpa che Bellieni riconosce poi ai comunisti nipponici è l‟apertura allo stalinismo, che contribuì enormemente ad alienare le simpatie di numerosissimi sostenitori.343

Lo Zengakuren (abbreviazione di Zennihon gakusei jichikai sōrengō, ovvero “Federazione nazionale giapponese delle associazioni autonome studentesche”) fu l‟elemento che giocò il ruolo principale nell‟impedire la visita del presidente Eisenhower nell‟arcipelago e nel rovesciare il governo Kishi. Fin dalla sua fondazione assunse posizioni vicine al partito comunista, compresa una certa propensione alla violenza, che in diverse occasioni fece piovere aspre critiche sul suo operato.

La ripresa piuttosto lenta dei primi anni del dopoguerra contribuì a creare una situazione estremamente tesa anche nell‟ambito studentesco, che portò a diversi scioperi e contestazioni, come quello che, nel 1946, spinse circa sei mila studenti dell‟Università Waseda a marciare verso il Parlamento nipponico. L‟anno seguente, complice finanche un aumento superiore al 200 per cento delle iscrizioni universitarie, si moltiplicarono le agitazioni, che nel 1948 si erano allargate tanto da comprendere 29 università nella sola area urbana di Tokyo. L‟adesione aumentò ulteriormente, fino a coinvolgere quasi 150 atenei su tutto il suolo dell‟arcipelago. Spinti dal successo di queste azioni, il 18 settembre 1948, venne deciso di costituire un organo in cui potessero convergere i rappresentanti da ogni università: lo Zengakuren.

All‟epoca l‟influenza del partito comunista era fortissima. L‟incontro tra le due realtà era avvenuto quasi spontaneamente. Il PCG oltre a essere l‟unica sigla politica a essersi opposto

342 ibid. pp. 114-115.

343 Stefano BELLIENI, Zengakuren Zenkyoto Giappone: rapporto su una generazione in rivolta, Milano, Feltrinelli, 1969, pp.

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apertamente al precedente regime fascista, era anche quello che fin dall‟inizio dimostrò una spiccata sensibilità per le esigenze degli intellettuali e dei giovani. In ogni caso, non dovettero trascorrere che pochi mesi che lo Zengakuren cominciasse a manifestare una spiccata identità indipendente e un desiderio d‟autonomia dalle ingerenze del mondo della politica.

Nel 1949 il governo nipponico presentò una legge sul controllo delle attività universitarie, per poi passare al licenziamento di circa 50.000 lavoratori dell‟industri privata, cui né il PCG né i sindacati seppero opporsi con sufficiente vigore, ma fu solo lo Zengakuren ad abbozzare una qualche protesta. Un ulteriore spacco si registrò nel 1950 quando Stalin, attraverso il Comintern, spinse le forze di sinistra giapponesi ad abbracciare i propri obiettivi antiamericani. In altre parole il leader sovietico tentò un‟estremizzazione della lotta, la quale per quanto non fosse certamente un‟ idea del tutto estranea a certi ambienti studenteschi, nella sostanza si ridusse solo a un tentativo di imporre un controllo più stretto sull‟operato dello Zengakuren.

A inizio degli anni cinquanta, quando l‟associazione studentesca denunciò furiosamente la reazione sterile e tardiva del PCG, diviso da frizioni interne e indebolito dai ripetuti attacchi, alle epurazioni promosse dalle autorità americane, il risultato fu che otto leader dello Zengakuren furono espulsi dal partito, segnando in questo modo una frattura interna irreversibile tra coloro che nonostante tutto rimanevano ancora vicini allo schieramento comunista, e i membri più radicali. I leader rimanevano ancorati alle vecchie posizioni, con tutte le sue contraddizioni (approvazione dei test nucleari sovietici, dell‟invasione ungherese, ecc.), mentre dall‟altro lato si andò gradualmente rinforzandosi la fazione di quanti auspicavano una ricostruzione dello Zengakuren al di fuori delle logiche del Kyōsantō, accusato di aver assunto posizioni eccessivamente conservatrici.344 Il fallimento poi dello sciopero promosso dal Nikkyōso nel 1958

contro i tentativi statali di limitare la libertà d‟insegnamento, a causa del “disinteresse” del PCG e di alcuni sindacati, segnò l‟ennesimo strappo. È in questo periodo che nasce ad esempio la “Lega Comunista” (Kyōsanshugi dōmei), formatasi nel dicembre del 1958 in seguito ai fatti del cosiddetto “Incidente del Primo Giugno”.345 L‟associazione, assieme a molti altri studenti,

scontenti per il controllo che il PCG esercitava sullo Zengakuren, andrà a formare la corrente “mainstream”, che si opponeva quindi a quella più vicina sostanzialmente alle posizioni del partito comunista. Furono gli anni che videro la nascita ufficiale di una Nuova Sinistra Giapponese.346

344 TSURUMI Shinsuke, A cultural history of postwar Japan: 1945-1980, London-New York, KPI, 1987, p. 56.

345 Il Primo Giugno del 1958, durante un convegno nazionale dello Zengakuren, 130 studenti, iscritti anche al PCG,

avanzarono i loro dubbi sul mancato processo di “de-stalinizzazione” del PCG, oltre a lamentarsi sulle continue intrusioni negli affari dello Zengakuren. Ne seguirono scontri fisici, oltre che verbali, che portarono all‟espulsione dal partito comunista degli studenti ribelli, che, assieme a molti altri membri, andarono a formare l‟ala principale dello Zengakuren.

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Tra gli schieramenti principali che si opposero al rinnovo dell‟Anpo, dobbiamo aggiungere anche la coalizione che si formò nel 1959, sull‟onda del successo che le azioni del Keishokuhō kaihaku hantai kokumin kaigi avevano riscosso: una volta rimossa la minaccia della revisione della legge sui doveri della polizia, le medesime forze politiche si riversarono nella formazione dell‟Anpo jōyaku kaitei soshi kokumin kaigi, “il consiglio popolare contro la revisione del trattato di sicurezza nippo-americano”.347

La frammentata sinistra giapponese arrischiò col “Consiglio Popolare”, uno dei tentativi più ambiziosi in tutta la sua storia, ovvero un‟unione alquanto allargata, che comprendeva PCG e PSG, il movimento studentesco e quello dei lavoratori (soprattutto lo Sōhyō). Messi da parte i particolarismi, si cercò attraverso tale coalizione di sferrare un attacco il più possibile efficace e concreto. Tuttavia il fallimento dell‟Anpo tōsō, sarà proprio da ascriversi, in ultima istanza, all‟incapacità endemica della sinistra giapponese di superare le proprie divisioni interne. Neanche al termine del ciclo di proteste, le varie anime progressiste riuscirono infatti ad accordarsi sul futuro del Consiglio Popolare. Il PCG ad esempio voleva che continuasse a esistere, andando a rappresentare il fronte unico delle forze d‟opposizione dell‟arcipelago. Anche lo Sōhyō e altri sindacati erano d‟accordo, aspirando a un coinvolgimento del consiglio anche nelle questione di natura economica e di lavoro. Tuttavia il PSG, in particolare l‟ala destra, non sembrò particolarmente intenzionato a protrarre oltre quell‟alleanza, intento com‟era a consolidare una maggioranza più moderata.

Circoli e associazioni indipendenti

Accanto agli interpreti “tradizionali” della scena politica nazionale, fu possibile individuare poi una fauna molto ricca di associazioni e gruppi di natura estremamente variegata ed eterogenea, che andarono a costituire il cuore pulsante dell‟Anpo Tōsō. Tra i più importanti ricordiamo per esempio lo Yamanami no kai.

Nel secondo dopoguerra gli intellettuali giapponesi sentirono il bisogno di tracciare definitivamente una linea che segnasse il superamento anche degli ultimi resti del proprio passato feudale, in modo da poter costruire una nuova e moderna soggettività. Questo discorso andò a intrecciarsi, fin dai suoi albori, con un‟altra questione molto sentita nell‟arcipelago, ovvero quella della responsabilità di guerra. Pur riconoscendo i propri errori, ovvero l‟incapacità di sviluppare una coscienza morale capace di opporsi al totalitarismo fascista nato negli anni trenta, permase comunque la tendenza a tacciare la classe militare quale unico colpevole. Soprattutto dopo il 1936 infatti, lo Stato aveva sviluppato un‟ideologia capace di riempire ogni vuoto, ogni spazio, sia

347 SASAKI-UEMURA, Wesley Makoto, Organizing the spontaneous: citizen protest in postwar Japan, University of Hawai‟i

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pubblico che privato, annullando così qualsiasi barlume di soggettività o autonomia. Le riflessioni successive quindi si concentrarono soprattutto partendo dal presupposto della colpevolezza di una ristretta cerchia di individui. Gli stessi che in sostanza furono al centro anche dei processi militari imbastiti dalle forze d‟occupazione statunitensi. Persino l‟Imperatore, pur costretto a rinunciare al proprio carattere divino, uscì tutto sommato indenne dal giudizio dei vincitori. Anzi, la nuova Costituzione, pur privandolo di qualsiasi potere effettivo, ne sanciva il ruolo di simbolo dell‟unità nazionale. Di conseguenza, anche gli americani contribuirono, così facendo, alla diffusione di un sentimento vittimistico tra la quasi totalità della popolazione: sia i civili, che i militari di rango medio-basso finirono per abbracciare la verità per cui loro stessi erano le vittime della guerra, sospendendo di fatto qualsiasi considerazione sulla responsabilità individuale.

Il problema di questa sorta di amnesia storica verrà denunciato anche da Oda Makoto nel 1966 in relazione alla guerra del Vietnam. Egli lamentò infatti che dal momento che qualsiasi documento o resoconto del conflitto veniva raccontato dal punto di vista dei più deboli, l‟idea di “esperienza di guerra” andò a confondersi con quello di “esperienza come vittima”.348 Altro grave

sintomo fu la controversia sui libri di testo, che il Ministero dell‟Educazione voleva edulcorare delle atrocità peggiori commesse dall‟esercito nipponico in tempo di guerra, come il massacro di Nanchino, la questione delle “comfort women”, ecc.

Lo Yamanami no kai nacque proprio per difendere il valore della memoria e proteggere una narrazione storica corretta. Essi promossero incontri in tutto il Giappone in cui venivano lette, per esempio, lettere e diari dei soldati nipponici che fornirono un‟importante testimonianza non solo delle loro esistenze, ma rappresentarono un punto di partenza perfetto per discussioni sulla guerra o il ruolo rivestito dall‟arcipelago nel conflitto. La partecipazione alle proteste dell‟Anpo venne quasi naturale; temevano in pratica per la deriva fascista che il governo Kishi stava assumendo. Il gruppo in sé non prese tuttavia alcuna posizione pubblica in merito, preferendo affidare la scelta di partecipare o meno alle proteste, ai singoli membri, in modo da rinforzare ulteriormente l‟idea di responsabilità personale. Questa infatti era l‟unica strada possibile per quella ricostruzione, anche morale, che per milioni di giapponesi si rese necessaria dopo il 15

348 «There is a kind of indulgence (amae) that especially adheres to the victim experience. Label this indulgent

psychology “victim consciousness” (higaisha ishiki). Indulgent reliance on it blurs the fact that we were, in principle at least, among the perpetrators in the war. We should have carefully gauged our own complicity in waging war and made a sharp distinction between it and our victim experience... But it is an important fact that at some moment we conspicuously lost consciousness that we ourselves might have been perpetrators (kagaisha). The only inevitable and outrageous conclusion from this is that everyone had been “fooled”, that everyone was indiscriminately and

unlimitedly a victim; but of course on the basis of this conclusion it was impossible to determine who had victimized whom and how. It was easy to use the victim experience as a wedge to cut ourselves off from the state, assigning all blame to it, and leaving it as a mere abstraction, devoid of any constituent people who had subjective responsibility for having deceived. » Oda Makoto, in The Victim as hero: ideologies of peace and national identity in postwar Japan, (di James