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Il successo incredibile dell‟opera precedente, permise a Ōshima di poter girare un nuovo film subito dopo. Per la realizzazione della sua terza pellicola, la Shōchiku gli ordinò di realizzare un film sulla falsariga del precedente Seishun zankoku monogatari, ma il cineasta rispose ponendo a sua volta come condizione di utilizzare un quartiere popolare nella periferia di Osaka come luogo delle riprese: Kamagasaki, location particolare, in cui la troupe nel periodo di riprese, fu sempre accompagnata dalla polizia locale, per prevenire qualsiasi evenienza. Ōshima, dopo la sua seconda fatica, ancor prima di aver ideato una storia, aveva infatti deciso che avrebbe ambientato la sua prossima opera proprio a Kamagasaki. Era rimasto affascinato da quegli spazi immersi nella luce, nei quali camminava per tutto il giorno senza incontrare quasi anima viva, fino alla sera. Quando anche gli ultimi raggi del sole andavano ormai spegnendosi infatti, le strade di Kamagasaki si

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trasformavano completamente, riempiendosi nel giro di qualche minuto di una moltitudine di gente, che si riversava nelle vie per scacciare la stanchezza di una giornata di lavoro.118

Nei vicoli sporchi del quartiere, nel caldo torrido evocato in ogni inquadratura, ritorna in modo ancor più violento la visione pessimistica dell‟autore sulle possibilità di cambiamento e realizzazione dei propri sogni incarnate nei giovani del dopoguerra nipponico. Con questo film Ōshima voleva descrivere una realtà di povertà che dimostrasse cosa ci fosse in realtà sotto quei numeri che, a inizio anni sessanta, venivano sbandierati da più parti per indicare la ripresa economica del Giappone e una diffusione della ricchezza su vasta scala. Ōshima, scegliendo di dipingere le avventure di una serie di personaggi che si muovono in affari poco legali per sopravvivere, sta celebrando un requiem per l‟arcipelago e il suo futuro, ormai morti e sepolti (immagine a cui rimanda lo stesso titolo, traducibile come “la tomba del sole”)119

Il film opera una descrizione realista di quegli ambienti, rifiutando ogni sentimentalismo. I corpi descritti con un interesse quasi entomologico nascondono emozioni e sentimenti sotto uno strato di sudore e sporcizia. Il regista non spinge certamente per un‟identificazione del pubblico verso individui senza speranza, che ricordano quelli descritti da Pasolini in Accattone o Los

Olividados (“I figli della violenza”, 1950) di Buñel, come dichiarato dallo stesso Ōshima.

Quest‟ultimo film, in particolare, sembra abbia costituito una fonte d‟ispirazione importante soprattutto per Ishidō, cosceneggiatore di Taiyō no hakaba. Pasolini invece è una figura che ricorda Ōshima per il rapporto conflittuale che ebbe con la sinistra nazionale, pur condividendone in larga parte le posizioni; forse anche a causa dell‟”ortodossia” o intransigenza che i due intellettuali dimostrarono nei loro rifiuti a condizionamenti e influenze esterne. In ogni caso anche Yomota tira in ballo il paragone con l‟Accattone pasoliniano, nel descrive un inferno in terra grondante desiderio.120 É un mondo pieno di contraddizioni, capace di ospitare fiducia e pusillanimità,

speranza e disperazione, sporcizia e santità, tutto fuso in un unico complesso armonico, sul quale svetta il personaggio di Hanako, che si muove sempre in bilico tra bene e male, salvezza e dannazione. Tutto ciò è perennemente investito dalla luce ardente del sole, rossa come il sangue, la quale trasforma ogni battaglia degli uomini di questo mondo, tutte le loro sofferenze, in fatti senza alcuna importanza, al limite del grottesco.

Il tema dell‟opera è il rosso del sole, un rosso sangue, che cala dietro le rovine del porto di Osaka, quindi le riprese si concentrarono soprattutto nelle ultime ore del giorno e durante il tramonto. La città di Osaka di quegli anni era una città “sporca, ricoperta di fango”.121 Ōshima nel

suo film vuol riproporre questo sporco, il cattivo odore che guardando l‟opera lo spettatore

118 ŌSHIMA, Ōshima Nagisa. op. cit., p. 155.

119 Julian ROSS, “Taiyō no hakaba”, in Directory of World Cinema: Japan, (a cura di John BERRA), Bristol, Intellect,

2010, p. 242.

120 YOMOTA, Ōshima Nagisa..., op. cit., p. 87. 121 ŌSHIMA, Ōshima Nagisa. op. cit., p. 193.

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immagina essere diffuso ovunque. Ecco perché, per esempio, egli aveva enfatizzato molto il sudore dei personaggi: le immagini restituiscono l‟idea di un luogo incredibilmente caldo, quasi torrido. Tanto da pensare che i disordini che scoppiano a Kamagasaki siano in parte dovuti all‟afa.

Taiyō no hakaba, poi, è un perfetto esempio di cosa Ōshima intenda quando afferma di non

voler puntare o ricorrere agli effetti lirici, sentimentali tipici dei precedenti film della Shōchiku. Il mondo che descrive in questo film è molto vivo, pulsante, fatto di personaggi liminali su cui lo sguardo del regista non si posa mai con pietà o commiserazione. È un ambiente spietato, dominato da una violenza che sembra non avere alcun valore simbolico o catartico: è una pura forza violentatrice che tutto divora. Tanto che è lo stesso Ōshima ad ammettere che uno degli obbiettivi che si era posto, era di trasmettere un sentimento di iwakan, di malessere allo spettatore.122

Il film si apre con una lunga inquadratura nella quale spiccano le ciminiere di una fabbrica, immagine ricorrente nell‟opera. Il sole sta tramontando e la scena e le nuvole sono investite di un rosso che sembra tingere tutto il mondo sottostante di sangue. Il richiamo a quest‟ultimo elemento non è certo casuale, e infatti pochi secondi dopo vediamo alcuni giovani ragazzi che cercano di convincere i lavoratori a fine giornata a seguirli in una capanna poco distante a vendere il loro sangue. Uno di loro poi indossa una camicia arancione che continua il gioco di richiami cromatici, ripreso persino dai titoli di testa, anch‟essi rossi. In Taiyō no hakaba, come detto, la maggior parte delle scene sono girate nei momenti appena precedenti il tramonto, col sole che sta per sprofondare oltre la linea dell‟orizzonte. Anche i personaggi principali che pian piano vengono presentati hanno sempre un qualcosa che richiama al rosso o simili, come la camicia di Yasu quando dopo pochi minuti attacca Takeshi e Tatsu. E quando non è un vestito, è un anello, per esempio, come quello indossato da Nobuko, la ragazza con cui Yasu in seguito tenterà la fuga. Il rosso della pietra risalta nel primo piano che la vede coprirsi il volto con le mani per non vedere quando il capo Shin colpisce Yasu.

Chi è escluso da questo bagno di luce rossa, sembra condannato al fallimento. Hanako, Takeshi e Tatsu scorgono per caso due liceali che si baciano, mentre in lontananza si vede il castello di Osaka stagliarsi contro il cielo. Decidono quindi di rapinarli. I due giovani indossano la divisa della scuola, una camicia e una blusa bianchi, con gonna e pantaloni scuri. Il ragazzo viene colpito con un bastone da Takeshi, mentre Tatsu picchia e violenta la studentessa. Hanako assiste immobile alla scena. Takeshi si rivolge ad Hanako chiedendole, retoricamente, se ha visto cosa Tatsu ha fatto alla ragazza. La domanda riporta alla mente la precedente scena voyeuristica della tortura della prostituta con una stampella a opera del Masa di Toura Rokko.

122 ”『太陽の墓場』の場合は、釜ヶ崎をモノとして提示して違和感を観客に与えるというのがひとつ

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Qualche giorno dopo Takeshi rimane sconvolto nell‟apprendere che il ragazzo si è suicidato, accusato dello stupro della compagna. Hanako invece cerca di rincuorare il giovane, che si sente responsabile in prima persona, sbeffeggiando la debolezza e l‟incapacità del defunto. In seguito i due giovani, ritornando nel luogo dell‟aggressione, trovano la ragazza che attacca Takeshi con un coltello. La camera si sofferma su ognuno dei tre personaggi, girando loro intorno, poi la ragazza viene spinta giù dal bordo dell‟edificio durante la colluttazione con Hanako. I due fuggono velocemente, e si abbracciano appena allontanati a sufficienza dal luogo. La macchina da presa riprende poi il castello di Osaka, inquadrato in una fatiscente cornice di ferro. Spesso l‟immagine altamente riconoscibile del maniero viene alternata, anche nella stessa ripresa, con le ciminiere, o con altri elementi del paesaggio. Nel film infatti la sagoma del castello di Osaka che si staglia nel rosso sangue del cielo e del villaggio ai suoi piedi, contrasta con l‟immagine quasi da cartolina associata alla popolare meta turistica della città. Per Scott Nygren tale immagine rimanda al contrasto tra ricchi e poveri, tra tradizione contro modernità, turisti borghesi contro i lavoratori della slum in cui è ambientato il film, monumento aristocratico contro le condizioni delle classi più basse.123 Tanto cha a un certo punto l‟immagine del castello viene “sostituita” da quella di

ciminiere all‟orizzonte. Questi due ambiti non hanno nessun punto comune, e soprattutto non esiste nessun modo affinché lo spazio che li separa possa essere colmato.

C‟è solo una scena verso la fine del film girata in una luce diversa da quella del tramonto o di quella della sera: quando Takeshi annuncia a Tatsu di voler abbandonare il mondo malavitoso nel quale era finito: la scena è un esterno immerso nella luce pomeridiana. Come a voler sottolineare ulteriormente il desiderio di distacco da quella dimensione fatta di sangue e luce rossa, accentuato anche dall‟abbigliamento di Takeshi, che non porta più un capo riconducibile a quelle tonalità scarlatte. L‟ambiente è uno spiazzo vuoto, con gli degli edifici sullo sfondo che fanno da testimoni a una lotta furiosa tra i due. Ma la macchina da presa rimane sempre in lontananza senza mai avvicinarsi a riprendere la scena, accompagnata anche da una musica il cui andamento allegro, acuisce la sensazione di straniamento dovuta a un punto di vista così distaccato. La ripresa non si interrompe fino alla fine, quando sarà Takeshi a prevalere, ma subito dopo invece si ritorna alle atmosfere tipiche dell‟opera: un sole al tramonto inonda con la sua luce un paesaggio industriale fatto di gru e ciminiere. Abbandonare quella luce rappresenta la fine per individui come Takeshi, e infatti la sua morte avviene poco dopo, schiacciato da un treno.

L‟immagine successiva è un sole al tramonto, al centro dell‟inquadratura, in una composizione che richiama esplicitamente la bandiera del Giappone e che cambia dopo pochi secondi in un primo piano di Hanako. Questo momento segna il “punto di rottura” del film. La ragazza,

123 Scott NYGREN, Time frames : Japanese cinema and the unfolding of history, Minneapolis, University of Minnesota Press,

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sempre rimasta all‟interno della protezione della luce rossa, decide per la prima volta di ribellarvisi. Si precipita nel luogo in cui poveri e lavoratori senza speranza si ritrovano per bere, e fomenta gli animi alla rivolta. La notte tutto il quartiere di baracche viene distrutto e poi avvolto dalle fiamme. La mattina successiva, uno dei personaggi, per descrivere la scena dice: “È come quando era finita la guerra!” Hanako si allontana quindi prendendo per mano il dottore, il vecchio partner del commercio di sangue, e dirigendosi verso la luce del sole, chiara rappresentazione della fine della guerra e, al contempo, della fine dell‟Anpo tōsō. Per la prima volta nell‟opera si tratta della luce del mattino. È un nuovo inizio.

Hanako è il personaggio centrale della pellicola e funge da raccordo tra due gruppi maschili: la

Shineikai, formata da giovani teppistelli dediti al furto e allo sfruttamento della prostituzione, e un

mondo di imbrogli e raggiri in cui si muovono piccoli criminali di mezza età, che gravitano attorno alla compravendita di documenti agli immigrati e altri piccoli lavoretti. Su tutti spicca la figura di Omaha, un vero criminale di un certo spessore. Anche Hanako ricorre al crimine per guadagnarsi da vivere, in particolare al commercio di sangue. Ella svolge una funzione di critica dell‟intero modello femminile giapponese. La sua condotta dissoluta, priva apparentemente di qualsiasi morale, viene vista non come una mancanza di genere, ma come una scelta volontaria, una reazione alla propria situazione. Hanako è un personaggio forte, attivo, ben diversa per esempio da una prostituta che si potrebbe vedere in un film di Mizoguchi, lontana da modelli femminili tradizionali; è logica, intraprendente e cinica. Ma allo stesso tempo è anche spietata. Non si scompone minimamente quando Tatsu violenta una ragazza di fronte a lei. Neanche la relazione con Takeshi riesce a “redimere” Hanako, che continua a non mostrare compassione ed empatia, segni di debolezza. La giovane infatti non può permettersi di provare quei sentimenti, se vuol sopravvivere all‟interno di una realtà come quella di Kamagasaki. Ella poi, così come il gruppo di ragazzi della Shineikai, sono vestiti all‟occidentale, in un chiaro rifiuto dei modelli e della tradizione nipponica che inizia dal proprio abbigliamento. Gli abiti servono anche a datare la narrazione come post-occupazione. In caso contrario, infatti, osservando solo il villaggio di baracche, si sarebbe potuto pensare a un Giappone all‟alba del dopoguerra, in cui le miserie del conflitto bellico non erano ancora state superate. Invece questa rappresentazione è tesa a enfatizzare il clima nichilistico che regna nel corso di tutto il film.

In Taiyō no hakaba poi, fa il suo ritorno un tema, accennato anche in Seishun zankoku monogatari: la gang come microcosmo collettivo che nega l‟individualismo. Ma al di là della lettura più superficiale, essa richiama i vari membri ai suoi codici di lealtà e obbedienza estremi, che conducono questi giovani alla morte. Ovvero se il gruppo richiede lealtà dai suoi membri, esso può però decidere in piena libertà anche di tradire i membri. Allargando il discorso, per quanto il cittadino dimostri fedeltà allo stato, quest‟ultimo non è tenuto a fare altrettanto. La gang è creata

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per un intento economico, che nel film spazia da prostituzione, furti e commercio illegale di sangue. Ma nel suo paragone della situazione del gruppo con lo stato, Ōshima di fatto sottolinea nuovamente quanto le dinamiche economico-materialiste sono alla base della moderna società giapponese. Una visione pessimistica rafforzata egregiamente dall‟immagine allegorica del commercio di sangue.124

Come detto, tutto il film è girato nei momenti precedenti il tramonto, nelle ultime ore di luce della giornata immerso in toni rossastri, che sembrano “proteggere” i vari personaggi. Anche Yomota offre un‟interpretazione del valore o significato di quella luce in chiave positiva: speranza! Per lui la luce rossa che accompagna Takeshi, Hanako e gli altri vestiti con varie tonalità carmine, è una forza capace di guidarli ovunque. Lo stesso per i poveri e i lavoratori a giornata, che passano il loro tempo a spendere in alcol i soldi che guadagnano, e sono in realtà in attesa di un miracolo. Quando poco prima della fine Hanako incalza con le sue domande il reduce sulla possibilità di una rivoluzione, e sui suoi effetti, esso risponde che il mondo sarebbe cambiato, sicuramente. In tal senso Taiyō no hakaba, è una storia di speranza. 125

La cosa interessante tuttavia è data dal fatto che questa intensità, questo slancio emotivo rappresentato dal sole e dalla speranza che sembra rappresentare, è come se scomparisse non appena arriva la parola “fine”. Il successivo Nihon no yoru to kiri, sarà girato di notte e sempre in ambienti interni. E comunque la narrazione non lascia certo intendere un messaggio positivo, di attesa. Ma anche le vicende narrate in Amakusa Shirō tokisada (id., 1962) sono spesso ambientate di notte, e la storia parla comunque del tentativo di rivolte dei protagonisti, destinato a fallire.

La violenza che Ōshima dispiega per le strade di Kamagasaki fa un po‟ il paio con quella che in quegli stessi giorni stava accadendo al di fuori del Parlamento giapponese. Sulle rovine di quei luoghi si sovrappone poi anche l‟immagine del Giappone del dopoguerra, i cui abitanti però hanno perso quell‟”energia rivoluzionaria”, quella spinta al cambiamento che nei primi anni dell‟occupazione sembrava possibile. E in un simile ambiente il “rivoluzionario” interpretato da Ozawa Eitarō attende con trepidazione l‟arrivo di una terza guerra mondiale che di nuovo bruci il Giappone fin nelle sue fondamenta e riporti il paese a un nuovo inizio.

Il film è un inno alla forza: ogni immagine infatti pare ricordare allo spettatore che solo i forti possono sopravvivere, in una denuncia spietata di qualsiasi sentimento di umanità, pietà o compassione, come per esempio Hanako che cerca di strangolare il suo stesso padre quando si accorge che sta cercando di imbrogliarla, in aperto contrasto con lo stile tradizionale della Ōfuna. Da questo punto di vista, Taiyō no hakaba, al pari del precedente Seishun zankoku monogatari dimostra il superamento delle posizioni di quegli autori che nel dopoguerra avevano abbracciato

124 DESSER, Eros plus..., op. cit., p. 51. 125 YOMOTA, Ōshima Nagisa..., op. cit., p. 91.

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una sorta di umanismo progressista. Ōshima esprime così il suo disappunto, il suo disinganno per la sinistra organizzata, quella istituzionale rappresentata dal PCG.

Sono stati fatti notare altri punti di contatto tra i due film, come quell‟”energia” presente sia nella gioventù, che tra coloro che vivono nei bassifondi. Un simile potenziale viene in parte perso, non essendo strutturato in alcun modo.126 Tale “mancanza” rappresenta la volontà di Ōshima di

delineare personaggi che non incarnino una volontà soggettiva completamente realizzata, che avrebbero corso il rischio di non essere “compresi” dal vasto pubblico. Sceglie quindi figure che non sono in grado di indirizzare verso un bersaglio preciso le loro energie, le quali non riescono a superare la fase di “rivolta, distruzione”, per approdare quindi a un nuovo inizio, se non in potenza, come nel finale d‟opera. Da questo punto il film può essere letto come una critica alla natura “pseudo” della soggettività in occasione dell‟Anpo tōsō. Non si discosta molto il giudizio di Max Tessier, che vede nella “tomba del sole” del titolo, la tomba dei taiyōzoku, la tomba della tribù del sole, riferendosi alla sconfitta dell‟energia vitale della gioventù, schiacciata dalla derivazione capitalista della società nipponica.127 (ma non solo, dato il frequente uso che Ōshima

fa dell‟immagine del sole reale, e quello simbolico dello Hinomaru nei suoi film).

“If Japan‟s rising sun is pictured in the process of being buried in 1960, the funeral is conditioned by the right wing first having driven the country to self-annihilation in the war, than trying to profit on the aftermath. It is symbolically important that while the scene of profiteering burns at the end, even the antiheroic survivor has nowhere to escape. The film ends on the promise of the repetition of the scene and a savage refusal of heroism as a structure for allegory. Instead of a complete and logical system of equivalencies, allegory here takes the shape of fragmented images: a setting sun, self-annihilation, pimping, commerce that steals identities and traffics in human blood.”128

Il Sole è tramontato, anzi di più: è morto, lasciando spazio alla notte nebbiosa che farà da sfondo al successivo Nihon no yoru to kiri.

APPARIZIONE DELLO HINOMARU ATTRAVERSO I FILM DI ŌSHIMA NAGISA

Anche se Taiyō no hakaba ne descrive la “tomba”, il sole non scomparve del tutto dalle pellicole di Ōshima. Osservando la sua filmografia infatti, si può notare come esso si sia solo “trasfigurato”: dal sole reale è diventato sole simbolico, più precisamente quello dello Hinomaru, ovvero la

126 Donald RICHIE, A hundred years of Japanese film : concise history, with a selective guide to DVDs and videos, Tokyo,

Kodansha International, 2005, p. 197.

127 Max TESSIER, Images du cinema japonais, Parigi, H. Veyrier, 1981, p. 234. 128 TURIM, The films of Ōshima Nagisa., op. cit., p. 51.

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bandiera nazionale del Giappone. Per rintracciare i “passaggi” di questa trasformazione si può