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“Io ho fatto questo film in nome del mio profondo amore per quei popoli dell‟Asia, straziato dal senso di colpa di essere un giapponese aggressore”. Parole di Ōshima, riportate nel Quaderno informativo n. 41 della mostra del cinema di Pesaro, che nel 1972 dedicò una delle prime retrospettive in Europa al regista.

Due anni dopo Wasurerareta kōgun, nel 1965, esce Yunbogi no nikki, non più ex-soldati della Corea del Nord che soffrivano a causa di un passato non ancora del tutto risolto, ma un ritratto della condizione di povertà nella alla quale erano costretti numerosi individui.

196 ibid., pp. 130-2.

197 Il 19 aprile 1960 avvenne la cosiddetta Rivoluzione d‟Aprile, che vide il successo delle proteste studentesche nel

rovesciare il governo autoritario di Syngman Rhee.

198 ŌSHIMA, Ōshima Nagisa cho sakushū dai ni maki..., op. cit., p. 97.

199“この両方は戦前戦後を問わず、男性中心主義の日本社会のなかにあって不当に貶められ、周縁的

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Dalla seconda metà degli anni cinquanta e per tutti i sessanta, in diversi paesi dell‟est asiatico, ebbero un incredibile successo diari e memorie di bambini, cioè quelle narrazioni velate di una vena tragica, spesso scritte in prima persona dagli sfortunati protagonisti, come “Il Diario di Anna Frank”. La storia di Yunbogi ha un‟origine simile, e Ōshima al ritorno dal suo soggiorno in Corea, era deciso a girare un film su quel libro. Tuttavia a causa delle numerose difficoltà che un nuovo viaggio nella penisola avrebbe comportato, egli iniziò uno “studio preliminare” per quel progetto partendo da filmati e fotografie realizzate nei due mesi trascorsi al di la del Mare del Giappone. Provò quindi un montaggio preliminare, aggiungendo poi anche musica e parole, è ottenne così un corto di poco meno di mezzora. Tra le altre cose, Yunbogi no nikki fu anche la prima produzione completamente indipendente della Sōzōsha.

Il cortometraggio descrive la storia di Yunbogi, bambino coreano di dieci anni, che con i tre fratelli e sorelle più piccoli cerca di sopravvivere nella città di Tengu, assieme al padre malato. La madre li ha abbandonati e ora Yunbogi cerca di provvedere alla famiglia arrabattandosi tra vari lavoretti, come venditore di gomme da masticare o giornali, lustra scarpe, ecc. Egli diventa l‟incarnazione di una soggettività, che in lui si definisce sotto forma di una sorta di orgoglio che gli impedisce di mendicare passivamente, e lo induce a ingegnarsi in innumerevoli espedienti per sopravvivere.

L‟opera è composta di 294 fotografie (circa 250, se non si considerano le “ripetizioni”), che alla fine poco avevano a che fare col sentimentalismo della trasposizione ufficiale del libro a opera di Kim Su Yon, Ano sora ni mo kanashimi ga. Queste immagini sono fotografie scattate dallo stesso Ōshima, del tutto slegate dalla trama originale. Lo stesso protagonista, Yunbogi, appare nel film di volta in volta diverso, impersonato dai diversi bambini che sono stati i soggetti al centro delle fotografie del regista. Ma sta proprio in tutto ciò la vera forza del film, capace di caricarsi di un valore universale senza precedenti. La narrazione di Komatsu Hōsei poi è un elemento nuovo, non presente nel libro, che permette al film di Ōshima di immergersi ancor più nella realtà di quegli anni grazie ai numerosi riferimenti a processi, dimostrazioni ed eventi che stavano accadendo proprio in quel periodo.

Ma Yunbogi sopravvive alla sua prima, breve apparizione, ritornando per esempio anche in

Shōnen, in cui Ōshima ricorre di nuovo al punto di vista di un bambino per giudicare la realtà. Per

questo l‟unica richiesta fatta dal regista in fase di provinaggio fu di trovare un giovane somigliante a Yunbogi. Infatti non solo scelse un bambino coreano per dare una rappresentazione della Corea del tempo, ma questi divenne anche personificazione di un‟infanzia negata, maltrattamenti, povertà, guerra, ecc.

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NIHON SHUNKA KŌ

Il titolo del film deriva da uno studio di Soeda Tomomichi che prendeva in esame la canzone popolare giapponese in quanto espressione di malcontento e contemporaneamente come strumento di fuga verso un mondo immaginario. Ma i punti di contatto tra lo scritto di Soeda e la pellicola di Ōshima non vanno oltre il titolo, dal momento che il contenuto delle due opere è completamente diverso.

Nihon shunka kō si apre con la descrizione della marcia di protesta contro il ripristino

dell‟anniversario della fondazione del Giappone, che dopo essere stato abolito nel dopoguerra, era stato risuscitato come festa nazionale l‟11 febbraio 1967 (rimase in vigore dal 1868, anno della Restaurazione Meiji, al 1945). La scena è molto suggestiva, con una lunga sfilata di personaggi che in un paesaggio innevato procedono sventolando degli Hinomaru neri. Paradossalmente, ricorda ancora adesso Ōshima, la partecipazione alla falsa sfilata di protesta che egli ricostruì, risultò alla fine essere più numerosa di quella vera in programma nello stesso giorno.200 Tale scena sembra

rimandare, nell‟eterno gioco di ripetizioni e sostituzioni che caratterizza le pellicole di Ōshima, all‟inizio di Seishun zankoku monogatari, quando Kiyoshi e Makoto assistono a una protesta contro l‟Anpo, ma senza parteciparvi. Anche in Nihon shunka kō infatti abbiamo il quartetto di studenti osservare il corteo contro il Kenkokubi, dall‟esterno.

I quattro protagonisti provengono da una scuola di campagna, e sono giunti in città per l‟esame di ammissione all‟università. Qui uno di loro si invaghisce di una compagna seduta poco distante da lui, di cui non conosce nemmeno il nome, ma solo il numero d‟identificazione dell‟esame, il 469. Ai quattro ragazzi si aggiungono presto altre tre compagne, Sanae, Tomoko e Kaneda, anch‟esse a Tokyo per lo stesso motivo. Tutti insieme vanno in visita di un loro insegnante, Ōtake, il quale li conduce in un izakaya dove si sentono riecheggiare in sottofondo canti impregnati di nostalgia per il Giappone imperale e la seconda guerra mondiale. Nell‟occasione, il professore intona di fronte ai sette studenti una canzone sconcia che farà poi da ritornello all‟intero film, venendo ripetuta in diverse occasioni dai ragazzi, “nell‟illusoria convinzione di dissacrare così la società della quale sono naturalmente destinati a far presto parte”. 201

Le “oscenità” che i ragazzi recitano diventano la marcia trionfale del caos e del disordine sociale che domina nel Giappone degli anni sessanta. L‟Anpo tōsō è definitivamente concluso e gli ideali e le speranze che avevano accompagnato quelle proteste sembrano ormai tramontati. Gli Hinomaru neri rimandano a un simile rimpianto. Ma non solo, anche la scena in cui Nakamura

200 ŌSHIMA, Ōshima Nagisa cho sakushū dai san maki., op. cit., p. 63. 201 NOVIELLI, Storia del cinema..., op. cit., p. 239.

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assiste alla morte del professore senza fare niente per cercare di salvarlo, ha il medesimo obbiettivo: cantando la canzone sconcia vicino allo stesso Ōtake, incosciente, anzi di più, morente, essa si configura quindi come un canto funebre: l‟elegia della generazione passata, rappresentata dal professore. Il carattere dissacrante delle canzoni, la loro oscenità, anticipa poi anche il finale dove, mente Takigawa spiega la teoria del kiba minzoku kokka, cioè che gli antenati della famiglia imperiale sarebbero giunti in Giappone dalla Corea, i giovani studenti non la degnano nemmeno di uno sguardo, completamente presi a dar sfogo alle loro pulsioni sessuali.

Dopo l‟interrogatorio sulla morte del professore, il film procede verso una completa dissoluzione narrativa, diventando simile a una meditazione onirica sulla violenza del desiderio sessuale maschile, un desiderio frustrato, che infatti si risolve solo nel regno della fantasia, il tutto alternato con immagini di protesta alla guerra in Vietnam e allo stato nipponico. Quando il gruppo di giovani studenti borghesi canta canzoni americane contro la guerra, come “This land is

your land” o “We shall overcome”, i protagonisti cercano di interromperli con le loro canzoni sconce.

Alla fine Kaneda afferrando il microfono riuscirà a cantare una canzone sulle comfort women,

Ama shopo no uta, evocando di fronte a tutti i presenti il passato imperialista del Giappone.202

La scena si sposta nuovamente nell‟aula dove si è tenuto l‟esame. Il film, che sembra voler rivelare la finzione dell‟origine dello stato nipponico e mostrare la stupidità delle azioni di coloro che pretendono di incarnare una simile ipocrisia, alla fine raggiunge il suo apice quando Takigawa, la fidanzata del professore defunto, afferma apertamente che il Giappone non era altro che un‟ex- colonia coreana (“La patria dei giapponesi è la Corea”). Ma gli studenti protagonisti che avevano assistito alla rivelazione, si dimostrano del tutto indifferenti alle parole della donna, cui rispondono intonando la canzone sconcia presente per tutto l‟arco del film. Quest‟episodio rivela come le loro menti in realtà si preoccupino solo di mettere in atto la fantasia che essi avevano partorito di violentare la studentessa no. 469. Il film si chiude improvvisamente quando l‟ultimo dei giovani, mentre sta stuprando la ragazza, le cinge con forza il collo e la strangola a morte su un tavolo sormontato da una bandiera giapponese. La chiusura del film per quanto improvvisa, sembra richiamare l‟inizio dell‟opera con la fiamma che brucia lo Hinomaru: la violenza che si inserisce senza preavviso nell‟opposizione intorno alla questione della bandiera, simbolo per eccellenza della nazione e che conclude questa farsa.

In Nihon shunka kō risulta molto difficile separare la realtà dalla fantasia, ovvero capire fin dove si tratta di un sogno a occhi aperti, di un processo mentale di uno dei personaggi e dove invece cominci la realtà del film. Perché se nella prima metà, la pellicola mantiene un andamento tutto sommato “realistico”, nella seconda parte invece c‟è uno scatto verso l‟imprevedibile, una forte

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virata verso l‟astratto, il surreale.203 Ma proprio in questa incapacità di distinguere i piani di mito e

realtà, verità e immaginazione, si riscontra una chiave di lettura dell‟opera. Quello che Ōshima vuol trattare nel film infatti non è certamente né la ricostruzione di una verità storica celata nelle pieghe del tempo, né tantomeno una spiegazione delle difficoltà del presente. Ōshima presenta il carattere fittizio, intrinsecamente comico, del concetto di origine della nazione, sia esso storia o mito. E per fuggire da ciò, sembra affermare, “non c‟è che da interiorizzare quel caos rappresentato dal canto in coro di canzoni sconce”.204

La ripresa, la continuazione di questa “farsa”, avverrà nel 1968 con Kōshikei.205 Ma Nihon

shunka kō sembra prefigurare anche l‟andamento di non solo “L‟impiccagione”, ma anche Kaette kita yopparai, a proposito di illusioni collettive sulla questione coreana e fantasie scapiste dei

protagonisti che utilizzano l‟immaginazione per fuggire dalla realtà. Un tema per certi versi che avvicina la pellicola anche a Shōnen e Gishiki, dove invece verranno rappresentate fantasie di fuga individuali: alieni da Andromeda per il ragazzino de “Il bambino”, e la scena della partita di baseball per Masuo.

L‟opera è attraversata da tutta una serie di giochi cromatici tra il rosso e il nero: a cominciare dai titoli di testa, per poi ritornare nella sciarpa del professore, nell‟uniforme della ragazza no. 469 o nella scenografia generale dell‟aula. “Il Rosso e il Nero” è poi il titolo della celeberrima opera di Stendhal, di cui, in Nihon shunka kō, si vede il manifesto di una riduzione cinematografica. Ma la contrapposizione tra i due colori è soprattutto evidente nei confronti tra gli Hinomaru, quello rosso tradizionale e quello nero. E lo Hinomaru, come detto, è nero perché è a lutto, simbolo della morte dello stato nipponico. Così il giorno in cui viene ripristinata la data di fondazione del Giappone diventa anche il giorno in cui i quattro ragazzi entrano all‟università, altra istituzione statale. Ma per loro l‟università diventa unicamente una sorta di postribolo in cui mettere in pratica le proprie fantasie sessuali, evocate continuamente anche attraverso le canzoni sconce.

Nakamura, il protagonista, è interpretato da Araki Ichirō, un cantante molto popolare all‟epoca. Se è vero che questa non è certamente la prima volta in cui Ōshima ricorre a cantanti e musicisti nei suoi film, nel caso specifico di Nihon shunka kō, il fatto di aver insistito così tanto sulla dimensione canora, può molto probabilmente essere considerato anche come una sorta di omaggio alla nascita della Nuova Sinistra nipponica, con lo sviluppo per la prima volta della soggettività (“pseudo”) negli Utagoe undō.

203 ibid., p. 136.

204 YOMOTA, Ōshima Nagisa..., op. cit., p. 151. 205 ibid. p. 152.

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KŌSHIKEI

La seconda metà degli anni sessanta in Giappone fu caratterizzata per un‟incredibile vitalità artistica, che si tradusse nella creazione di una serie di opere lontane da quegli standard cui le produzioni precedenti, nazionali e internazionali, avevano abituato il loro pubblico. Si trattava di opere a volte definite addirittura come “art cinema”, film per certi versi dal retrogusto sperimentale, tra i quali si contano senza dubbio anche le opere di quegli anni di Ōshima, nelle quali per la Turim “narrative and film expression are interrogated in new, complexly innovative ways. Philosophically, the films address a common issue, the nature of consciousness and its virtual antithesis, the unconscious, evoking a post-Nietzschean and post-Freudian meditation on subjectivity, will and values.”206 Per lo sviluppo di queste opere, essenziale fu il contributo

dell‟ATG, cui si deve anche la produzione di Kōshikei. La pellicola di Ōshima fu la prima a inaugurare la pratica dei “film a 10 milioni di yen”, prodotti a metà tra l‟Art Theatre Guild e il cineasta di turno. Questa era una società nata originariamente con l‟intento di distribuire in Giappone film di difficile collocazione entro i circuiti nazionali, la quale nella seconda metà degli anni sessanta allargò il proprio campo d‟azione, iniziando a produrre direttamente alcune opere.207

“L‟impiccagione” fu la prima pellicola di un periodo fortemente sperimentale anche per lo stesso Ōshima, che portò il processo di decostruzione dell‟impianto narrativo tradizionale a un nuovo livello, come testimoniato anche dai seguenti Kaette kita yopparai, Shinjuku dorobō nikki e

Tōkyō sensō sengo hiwa (“Storia segreta del dopoguerra dopo la guerra di Tokyo”, 1971). Ma, come

detto, i prodromi di una simile svolta si ritrovano già tutti in Kōshikei, il più brecthiano dei film di Ōshima, a detta di vari commentatori; senza contare inoltre gli innumerevoli aspetti che la pellicola in questione condivide col teatro dell‟assurdo. Nella rappresentazione distorta e grottesca dell‟apparato di giustizia dell‟arcipelago si possono individuare, poi, anche alcune tracce de “Il processo” o “Nella colonia penale” di Kafka, a cominciare proprio dallo stratagemma di chiamare il protagonista semplicemente con l‟iniziale: l‟uso della lettera R, come a voler prendere le distanze dal Ri Chin‟u reale, sottende a un processo di astrazione, metaforico, verso una dimensione universale della storia. Anche tutti gli altri personaggi non hanno un nome e si rivolgono l‟un l‟altro utilizzando il ruolo o la carica che ricoprono all‟interno del mini-mondo carcerario. Non è quindi esagerato affermare che quello che gli attori stavano recitando non era tanto un personaggio quanto piuttosto una funzione, un compito, che quindi non necessita di un nome proprio. Ōshima si ispira dichiaratamente alla storia di Ri Chin‟u, ma nel trasfigurarlo in un metaforico R, compie lo stesso processo che aveva adoperato qualche anno prima quando aveva

206 TURIM, The films of Ōshima Nagisa., op. cit., p. 61.

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fatto interpretare il piccolo Yunbogi da bambini differenti: come il fanciullo al centro della pellicola del 1965 nelle sue varie forme era divenuto l‟incarnazione di tutti i bambini coreani, R cessa di essere un entità dai precisi connotati individuali e diventa rappresentazione vivente di tutte quelle figure anonime che vivono nella società dell‟arcipelago e che vengono in questo caso impersonate da uno zainichi, caricando così l‟opera di un forte significato allegorico.208

Come detto la vicenda alla base del film affonda le proprie radici nella realtà. Si tratta della versione cinematografica del cosiddetto Komatsugawa kōkō jiken. Nel maggio del 1958 sul tetto dell‟omonima scuola venne trovato il corpo senza vita di una studentessa strangolate a morte. A settembre dello stesso anno venne arrestato Ri Chin‟u, studente coreano di diciotto anni che frequentava dei corsi serali nel medesimo edificio. La stranezza della vicenda è legata anche al fatto che il ragazzo aveva telefonato a un giornale, confessando di essere il vero assassinio, ancor prima di essere arrestato. Lo shock della nazione fu acuito ulteriormente dall‟ammissione del giovane di un secondo omicidio. Nel 1959 egli venne condannato a morte, nonostante fosse ancora minorenne al momento del crimine. La sentenza fu poi eseguita nel 1962, dopo il respingimento del ricorso in appello.209

Ōshima dimostrò fin dall‟inizio un grande interesse per l‟intera vicenda, in particolare per il background di estrema povertà nel quale Ri Chin‟u era cresciuto. Va da sé che nelle intenzioni del regista non c‟era la volontà di dipingere con umanità la figura di Ri, o di trasformarlo in un martire. Quello che lo incuriosiva particolarmente era il racconto dettagliato del crimine e il suo movente. Ad ogni modo le vicende di Ri si legano con un altro tema importante per il regista, quello della pena di morte. Anche il titolo del film richiama esplicitamente questa tematica: il termine “Kōshikei” non esiste; solitamente si dice koshukei, per indicare l‟impiccagione. Ma Ōshima volle sottolineare chiaramente la volontà di toccare anche l‟argomento dell‟esecuzione capitale, sostituendo il kanji centrale della dicitura originaria per creare una sorta di neologismo molto particolare.210

L‟opera si apre come una sorta di documentario sulla pena di morte, che conduce lo spettatore dentro una prigione. Ma improvvisamente, col fallimento di un‟impiccagione, viene rivelato il suo contenuto paradossale: la rappresentazione veritiera di un presente oggettivo viene infatti messa in crisi dalla falsa esecuzione, che interviene a scardinare ogni codice narrativo della realtà, sprofondando lo spettatore in una sorta di abisso, in cui la differenza tra veridicità e fantasia non viene mai nettamente distinta. Il film si muove così attraverso diversi livelli di verità, principiando come un documentario, poi muovendosi verso i toni della farsa, e infine configurandosi come una realizzazione delle fantasie dei personaggi.

208 YOMOTA, Ōshima Nagisa..., op. cit., p. 155. 209 ŌSHIMA, Ōshima Nagisa 1968, op. cit., p. 154. 210 ibid., p. 152.

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Nella prima parte è la voce del regista a rivolgersi direttamente al pubblico, chiedendo allo spettatore per esempio se abbia mai assistito a un‟esecuzione. La domanda è in effetti una sorta di anticipazione. Ōshima sembra voler solleticare l‟istinto voyeuristico di chi guarda, facendogli pregustare l‟idea di poter assistere a un atto proibito, una sorta di tabù, come l‟uccisione di un essere umano. Dopo aver snocciolato dati a proposito dell‟abolizione di tale metodo punitivo, egli passa poi a una descrizione degli interni della struttura, cercando come di infondere colore nelle immagini in bianco e nero della pellicola, attraverso le descrizioni di mura “rosa salmone”e di una stanza “luminosa”, di cui passa poi a elencare ogni mobile presente. Dettagli apparentemente inutili, se non per cogliere la nota ironica della voce fuori campo impegnata a descrivere la scena “as a semiotic joke on metacommentary”211. Tale senso è ulteriormente

rafforzato dal racconto delle funzioni religiose. L‟illusione documentaristica viene spezzata anche dal comparto audio: si possono sentire in sottofondo grida, echi di voci e suoni metallici che non appartengono al mondo della prigione, introducendo in questo modo un universo audio, anch‟esso del tutto immaginario, non diversamente da quello visivo.

Kōshikei è diviso in sette capitoli, ognuno dei quali introdotto da una sorta di titolo, scritto in