L‟undicesima regia cinematografica di Ōshima è un film onirico, i cui mille interrogativi che vengono posti alla fine restano per la maggior parte senza una risposta. Tōkyō sensō sengo hiwa è una delle pellicole più enigmatiche e sperimentali del regista, oltre che costituire una riflessione sul potere dell‟arte in generale, in particolare sul ruolo delle immagini e la loro possibilità di un cambiamento concreto della società. L‟opera si apre con delle sequenze apparentemente girate per caso da qualcuno che corre con una telecamera in mano. Lo spettatore viene inserito di colpo in una situazione in cui, vuoi anche per il carattere alquanto precario delle riprese, non è facile capire cosa stia accadendo. Tutto il film in realtà gioca su questa sensazione: il regista cerca in ogni modo di scalzare e disattendere certezze e aspettative di chi guarda, il tutto ricorrendo a un plot riassumibile più o meno completamente nel sottotitolo: eiga de isho o nokoshite shinda otoko no
monogatari, ovvero “storia di un uomo morto dopo aver lasciato come testamento un film”.
Sempre a proposito del titolo, osservando quello originale in kanji, si può notare come il carattere “sen” si ripeta due volte, ma venga scritto con una forma diversa. Il primo (“战”) è la
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versione semplificata cinese, che venne adottata a partire dalla fine degli anni sessanta in certi ambienti della sinistra nipponica, per sottolineare la propria vicinanza ideologica con Mao. Il secondo carattere (“戦”) è quello che si iniziò a utilizzare comunemente dopo la seconda guerra mondiale, durante l‟occupazione americana, al posto di quello vecchio (“戰”). Si potrebbe quindi affermare che nello spazio delimitato da questi due kanji si trova rappresentata una precisa convinzione ideologica, che rimanda alla democratizzazione del dopoguerra (sengominshushugi), e al suo fallimento.262
“Ho provato un interesse profondo per la lotta mortale scatenata dalle varie fazioni del movimento studentesco per impedire al primo ministro Satō di recarsi negli Stati Uniti nel 1969, lotta che al suo apogeo è stata chiamata dalla fazione dell‟Armata Rossa, „Guerra di Tokyo‟. Questo lotta, nel corso della quale non c‟è stato nessun morto, ha concluso le lotte studentesche del decennio ‟60 in un clima di disfatta. Ero presente anch‟io alla manifestazione all‟aeroporto di Haneda con una macchina da presa, filmando ciò che potevo, ma naturalmente neppure io sono morto. Per me l‟interrogativo di come morire negli anni settanta è una risposta all‟interrogativo di come vivere”.263
Se seguissimo il significato letterale di Tōkyō sensō sengo hiwa, esso indicherebbe alcuni episodi nascosti, avvenuti in seguito al termine della guerra di Tokyo. In realtà, dopo la lotta che si dipanò per le strade della capitale nipponica in quell‟occasione, venne abbandonata una simile linea di condotta, quindi tale dicitura di fatto fa riferimento a eventi che non possono essere avvenuti. Il titolo dell‟opera di Ōshima è quindi ingannevole, o per meglio dire è una sorta di “gioco” senza sostanza. In pratica il film fa della “posteriorità” il suo tema, secondo Yomota Inuhiko. Egli offre infatti un‟interpretazione della pellicola basata sul concetto freudiano, il quale, applicato al caso di
Tōkyō sensō sengo hiwa, si riferirebbe a una rielaborazione di un evento passato entro strutture
inesistenti al momento originario.264 In altre parole “risulterebbe rielaborato posteriormente ciò
che al momento in cui è stato vissuto, non ha potuto integrarsi pienamente in un contesto significativo”.265 262 ibid., p. 231. 263 “昨年秋の佐藤訪米阻止をピークとした「東京战争」(赤軍派がそう呼称した)において、各セク トがそれぞれ死を決意して戦うと呼称しながら、ついに一人の死者も出すことなく、敗北の形の中で 六O年代闘争の幕を閉じてしまったことが私のこころを深くとらえたということである。私もカメラ を持って羽田附近をうろついていたが、もちろん私も死ねなかった。私は七O年代をどう死ぬことが できるか ― ということが、どう生きるか!という問いへの答えなのである。”, ŌSHIMA, Ōshima
Nagisa cho sakushū dai san maki., op. cit., pp. 137-8.
264 YOMOTA, Ōshima Nagisa..., op. cit., p. 223.
265 Sarantis THANOPOULOS, “Posteriorità”, in INTERAZIONI (a cura di Katia GIACOMETTI e Diana
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Il termine “posteriorità” deriva dal tedesco Nachtriiglichkeit,e venne usato in maniera “originale” da Lacan, per indicare una rielaborazione mitica del proprio passato, senza alcuna obbiettività storica. Portando agli estremi il senso di questo concetto psicoanalitico, se ne deduce una soggettivizzazione di qualsiasi evento, che si colora, di conseguenza, unicamente per la decodificazione che ne dà l‟individuo. L‟interpretazione possibile diventa solo quella personale, visto che un avvenimento si definisce unicamente in base al soggetto osservante. Si potrebbe arrivare addirittura al celebre motto nietzschiano “non esistono fatti, solo interpretazioni”, per spiegare la realtà del film di Ōshima. Una conclusione non così distante da quella a cui anche Arecco sembra giungere, quando afferma che “il cinema stesso, per O., vive l‟identica schizofrenia di Motoki. S‟illude di vedere e filmare il vero, e non coglie che i fantasmi di una finzione, fatta a loro immagine e somiglianza. (...) Non esiste visione oggettiva. Ogni visione è soggettiva, è visionaria”.266
PARTE A – Qualcuno sta riprendendo una strada, ma l‟immagine trema vistosamente. Si capisce che chi manovra la telecamera è un dilettante, che non ha un‟idea precisa di come filmare la scena. Si avvicina un giovane, Motoki, per riprendere l‟apparecchio, ma il cameraman improvvisato non vuole restituirgliela e comincia a scappare, rendendo ancor più difficile capire cosa mostrino le immagini.
PARTE B – Motoki insegue il presunto ladro della sua telecamera. Lo scorge sopra il tetto di un alto edificio, nell‟atto di gettarsi giù. Sul marciapiede sottostante il cadavere del giovane stringe ancora la telecamera, che Motoki prende prima di fuggire. La polizia lo ferma e poi confisca l‟attrezzo. Il ragazzo allora si butta all‟inseguimento dell‟auto delle forze dell‟ordine.
PARTE C – Motoki è disteso su una branda. È circondato dagli altri membri di quello che sembra un circolo cinematografico, e stanno discutendo di come riprendere dalla polizia la cinepresa.
PARTE D – Tutti si ritirano e viene lasciata solo Yasuko a occuparsi di Motoki. La ragazza gli racconta come sono andate veramente le cose: si trovavano a Sendagaya per riprendere la manifestazione del 28 aprile, quando a causa dell‟accendersi della protesta, loro due assieme a Endō vennero separati dal resto del gruppo. Endō continua a riprendere, ma un poliziotto in borghese gli confisca la macchia da presa. Per riprenderla Motoki insegue l‟auto della polizia, senza riuscirvi. Egli non crede alle parole di Yasuko, dicendo che non ci si può fidare di una ragazza che rimane tanto tranquilla nonostante il proprio fidanzato si sia suicidato da poco. Preda della rabbia, Motoki cerca di violentarla.
PARTE E – Mentre scorrono le immagini che lo sconosciuto ha ripreso, cioè il presunto ladro dell‟inizio del film, le voci in sottofondo dei membri del circolo commentano. Si tratta di
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immagini di case, strade, un profilo urbano banale. Nessuno sembra in grado di capire perché abbia girato quelle scene.
PARTE F – Tra le immagini riprese a un certo punto appare Motoki che ordina al ladro dietro la macchina da presa di restituirgli l‟apparecchio. Si tratta ovvero della ripetizione di quanto visto in apertura (parte A).
PARTE G – Finito di vedere le immagini riprese dallo sconosciuto, i vari membri cercano di nuovo di trovare una soluzione per riavere la telecamera, ma senza risultato. Motoki, camminando per strada, crede di vedere il presunto ladro e si butta al suo inseguimento, ma senza risultati. Per caso finisce nella parte di città che poco prima aveva visto nel girato.
PARTE H – Motoki riconosce di essersi sbagliato a proposito dello sconosciuto e inizia a negare che sia mai esistito. Ma questa volta è Yasuko a insistere che esiste, affermando che si tratta del proprio fidanzato. A un certo punto ella si spoglia di fronte al film che viene proiettato su una parete e inizia a masturbarsi. Motoki, arrabbiato, toglie la bobina e la getta via.
PARTE I - Mentre tutti sono occupati in vista della “riconquista” del film confiscato, Motoki fa autocritica per il proprio comportamento. Egli poi ammette l‟esistenza dello sconosciuto, smentendo il suo atteggiamento nella parte H.
PARTE L – Mentre il film viene proiettato, Motoki abbraccia Yasuko, come a voler far rivivere il rapporto sessuale che la ragazza e lo sconosciuto hanno avuto la mattina prima che lui morisse. In contrasto con la scena H, questa volta le immagini riprese rimangono nello sfondo, appena visibili, mentre a spiccare sono i corpi nudi dei due protagonisti.
PARTE M – Motoki e Yasuko decidono di lasciarsi alle spalle lo sconosciuto e per farlo cercano tutti i luoghi che egli ha ripreso prima di suicidarsi, e girare là lo stesso filmato. Durante la ricerca i due arrivano fino alla casa paterna di Motoki.
PARTE N – I membri del circolo esprimono le loro lamentele per l‟atteggiamento di Motoki e Yasuko.
PARTE O – Motoki torna dopo tanto tempo nella casa dei suoi genitori, e nota che il panorama che si vede dalla sua camera è lo stesso che compare nel filmato lasciato dallo sconosciuto.
PARTE P – Motoki si decide a girare lo stesso filmato del presunto ladro, per poter cancellarlo una volta per tutte, dal momento che lo diverrebbe lui stesso. Ma Yasuko si oppone controbattendo che così facendo l‟unico che sopravvivrebbe sarebbe proprio lo sconosciuto. Per questo, per proteggere Motoki, si butta in ogni inquadratura, ostacolando il suo lavoro.
PARTE Q – Durante le riprese i due vengono portati via a forza su una macchina da tre uomini, che poi a turno violentano Yasuko. Quest‟ultima continua a guardare il panorama fuori
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dall‟auto, che si trasforma in una sorta di versione sottosopra del filmato ripreso anche dallo sconosciuto.
PARTE R – Dopo l‟incidente, Yasuko dice di aver trionfato sia su Motoki, che sullo sconosciuto e arriva alla conclusione che egli non sia mai esistito. Il ragazzo invece ribadisce che quell‟individuo c‟è e non c‟è nello stesso tempo in ogni panorama.
PARTE S – Yasuko, sul cornicione del tetto, osserva il marciapiede in basso e prova a immaginare il proprio cadavere.
PARTE T – Motoki gira per la città facendo riprese. Compaiono gli altri membri del circolo che gli ordinano di restituire la macchina da presa. Questa è la seconda variazione che riprende la parte A. Motoki fugge correndo e si dirige sul tetto dell‟edificio in cui c‟è Yasuko. Egli si uccide buttandosi giù. A quel punto qualcuno prende la telecamera che ancora stringeva in mano e scappa via.
La ripetizione circolare di certe immagini, con variazioni più o meno vistose, e con un eventuale intento umoristico, è un espediente che Ōshima aveva già brillantemente usato in Kaette
kita yopparai o Kōshikei, ad esempio. In Tōkyō sensō sengo hiwa c‟è un‟interessante riproposizione tra
A, F e T, in cui le immagini sono riprese di corsa, con la telecamera che balla vistosamente senza riuscire a mettere a fuoco qualcosa.
Nella parte A chi si lamenta del soggetto e delle immagini, cercando di riprendere la telecamera dallo sconosciuto è Motoki. Ma nella parte G si afferma che è stato Takagi, un altro membro del circolo a girare quelle scena (in D invece pare sia stato addirittura Endō). Infine nel finale T è lo stesso Motoki a filmare quelle riprese, girando per la città con la macchina da presa in mano. Egli è identico allo sconosciuto nella parte B, e come lui si suicida lanciandosi dal tetto.
Umeko inizialmente deride Motoki e la sua ossessione nei confronti del presunto ladro. Tuttavia in H i ruoli tra i due si invertono: è lui a sostenere che questa misteriosa figura non esiste, mentre Umeko inizia a considerarlo una presenza reale. Di più, quell‟individuo andrà a coincidere col fidanzato di Umeko, trasformando quindi i rapporti tra la ragazza e Motoki in un anomalo triangolo amoroso. Il protagonista per avere il sopravvento sullo sconosciuto decide di imitarlo, e di conseguenza arriva alla conclusione che sia in tutti i paesaggi. Ricalcando pedissequamente la sua storia, finirà per suicidarsi allo stesso modo. Per dirla in parole diverse, con la morte riuscirà finalmente a provare di aver magnificamente interpretato il protagonista di una storia che lui stesso ha scritto, oltre che di essere lui il presunto ladro.267 Di contro Umeko, grazie alla
sofferenza sessuale, riuscirà a scorgere che i paesaggi ripresi dallo sconosciuto sono ovunque capovolti e a liberarsi così dal suo giogo. Riuscendo a capire alla fine che lo sconosciuto non è mai esistito, sopravvive.
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Le immagini banali, senza alcuna caratteristica peculiare riprese da quest‟ultimo, che scorrono per esempio nelle parti E e L, sono molto diverse rispetto a quelle filmate dalla stessa mano che vediamo in A. Per quanto comuni infatti, sono immagini fisse, riprese con una certa abilità. Invece quelle che aprono Tōkyō sensō sengo hiwa sono piene di aloni, tremolanti, di pessima realizzazione. Questo perché la “guerra di Tokyo” è finita, e la città è potuta tornare alla sua pace borghese, al suo ordine e tranquillità. Il filmato realizzato dallo sconosciuto sarebbe il contributo di Ōshima alla cosiddetta fūkeiron (“Teoria dei paesaggi”)268: il cinema stesso diventa parte
integrante della perenne allucinazione del reale. In essa tutto si dissolve, tutto si annulla, anche la politica. Ed ecco allora che la “guerra di Tokyo”, osservando bene, non è altro che la “guerra dei paesaggi”, ovvero una ricerca personale, nascosta, della propria soggettività.
Il film sembra quindi interrogarsi sull‟efficacia del mezzo cinematografico stesso, su quale debba essere il suo ruolo per esempio nel contesto delle proteste degli anni sessanta. Le due posizioni sono quelle che compaiono in Tōkyō sensō sengo hiwa quando si presenta la scelta tra un‟attività militante che rifiuta in pratica la funzione artistica del cinema, subordinandolo in un ruolo velleitario di documentazione, e la fuga estetica di che cerca invano di capire ed esprimere il mondo seguendo schemi appartenenti a una cultura intesa come rappresentazione, testimonianza e non come intervento. Sono in pratica le due posizioni rappresentate dal collettivo di amici di Motoki e dallo “sconosciuto”, autore delle sequenze di paesaggi.
Motoki inizia una ricerca del giovane suicida seguendo l‟itinerario tracciato dagli sfondi naturali e gli scorci cittadini che si intravedono nelle immagini del film nel film. In questa ricerca Yasuko è destinata a subire ogni volta delle violenze alle quali il ragazzo non reagisce mai. Ma proprio grazie a simili vessazioni la giovane alla fine diventerà capace di prendere coscienza del suo ruolo di vittima, supera la propria distruzione (la scena in cui sul bordo di un edificio vede il proprio cadavere spiaccicato al suolo ma non si butta, a differenza di quanto farà Motoki) e pone il protagonista di fronte alle proprie responsabilità svelandogli il senso del suo non intervenire: “l‟adeguamento pedissequo al ruolo di testimone è (...) già in sé un suicidio.”269 In pratica Motoki
non muore per una sua libera scelta ma perché quello è il significato che sceglie di attribuire al suo soggettivismo. Egli si identifica con lo sconosciuto che gli ha lasciato il film come testamento e finisce per fare la stessa fine. Motoki, cercando di recuperare le esperienze che il presunto ladro
268 La Fūkeiron fu sviluppata da Adachi Masao, Matsuda Masao e dal fotografo Nakahira Takuma a partire dal film
sperimentale che realizzarono nel 1969, Ryakushō renzoku shasatsuma (“A.K.A. serial killer”). L‟opera ricostruisce la storia di un serial killer diciannovenne, Nagayama Norio, unicamente attraverso i paesaggi che l‟assassino (assente) ha visto durante gli spostamenti tra i vari luoghi dei suoi crimini. Diverse interpretazioni vennero assegnate a quelle idee, a cominciare da un‟anticipazione della trasformazione post-fordiana dello spazio; starebbe a indicare il passaggio da una “guerra di manovra” (attacco frontale) a una di “posizione” negli scontri cittadini. Altri commentatori invece hanno individuato nella teoria proposta da Adachi, Matsuda e Nakahira una “premonizione” del tenkō
(“conversione”) degli anni settanta.
269 Giorgio CREMONINI, “L‟impiccagione – Diario di un ladro di Shinjuku – Storia segreta del dopoguerra dopo la
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aveva fermato su pellicola e riproducendole fedelmente, finisce per assumere completamente le sue spoglie una volta morto. La struttura circolare del film si chiude quindi con le immagini di un suicidio, proprio come quelle che avevano aperto l‟opera, trasmettendo un senso di impotenza (di cui Ōshima si guarda bene dal dare segnali o indizi per un suo superamento). Anche i compagni di Motoki, infatti, coi loro discorsi per ismi non rappresentano certo un‟alternativa valida a questo senso di inadeguatezza.
In realtà non dovremmo tanto parlare di una volontà lasciata su un film, ma pensare invece alla radicalità di un soggetto la cui divisione primordiale è quella che vede, non tanto il contrasto tra uomo e natura, ma tra un soggetto e un sistema rappresentativo (in questo caso: un film); soprattutto se, come l‟opera di Ōshima dimostra, si tratta di una pellicola il cui significato è generato empaticamente attraverso la frammentazione di quel soggetto. 270 Di conseguenza è
alquanto inutile cercare di individuarvi un senso utilizzando i normali canali della conoscenza:
Tōkyō Sensō sengo hiwa ricorre a strutture narrative contraddittorie e inconsistenti che sfidano, come
detto, la validità delle metodologie cognitive esistenti.
Il film nel suo interrogarsi sulle possibilità del mezzo cinematografico, inteso sia in maniera “documentaristica”, come si evince dai discorsi dei ragazzi del gruppo, che in maniera “fantastica”, non trova una risposta all‟interno della narrazione. Ōshima lancia la sua domanda, ma tutto quello che fa, in ultima analisi, è di far terminare la pellicola esattamente come era cominciata, in una struttura circolare, o meglio a spirale, la cui soluzione non è all‟interno dell‟opera, ma al di fuori, nella mente di chi guarda. Quello a cui lo spettatore assiste è cinema soggettivo, un mezzo che rifiuta l‟univocità della scrittura, offrendosi come “negazione programmatica di una sola verità, perché egli (lo spettatore) ne possa scoprire molte, dando le sue personali risposte alla folla di interrogativi che la trama degli eventi ha suscitato”.271
GISHIKI
Non un caso che Gishiki venga realizzato dopo Tōkyō sensō sengo hiwa. La pellicola precedente ha rappresentato un traguardo oltre il quale era pressoché impossibile spingersi per un‟ulteriore frantumazione dell‟unità narrativa filmica. Ōshima, allora, fece apparentemente un balzo indietro, ricorrendo a forme classicheggianti, che gli permisero di imbastire un‟intricata epopea famigliare sulle altrettanto intricate vicende della storia nipponica del dopoguerra, nella quale le cerimonie
270 Maureen TURIM e John Mowitt, “Thrity Seconds Over ... Ōshima's The War of Tokyo or The Young Man Who
Left His Will on Film," Wide Angle 1, 19770, p. 38. cit. in DESSER, Eros plus..., op. cit., p. 200.
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fanno da metronomo allo scorrere degli eventi. Tale procedimento ricorda molto il caso di Shōnen, arrivato dopo un‟altra opera fortemente trasversale: Shinjuku dorobō nikki. Il cineasta scelse la rappresentazione più tradizionale possibile, ovvero quella della famiglia giapponese (tema tanto caro a registi “classici” quali Ozu e Naruse), declinata attraverso una serie di rituali che gli permisero di sovvertire ogni schema narrativo e mettere sotto sopra la visione abituale di queste