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A questa categoria appartengono i dicumarolici (warfarin e acenocumarolo). Si tratta di antagonisti competitivi indiretti della vitamina K, che espletano la propria azione anticoagulante interferendo con la γ-carbossilazione epatica di nuovi fattori di coagulazione vitamina K-dipendenti (FII, FVII, FIX, FX), impedendone così l’attivazione. In particolare i dicumarolici bloccano l’attività dell’enzima vitamina K-epossido-reduttasi (VKORC1), responsabile della trasformazione della vitamina K ossidata in vitamina K ridotta, che è necessaria per la γ-carbossilazione (Figura 16).

Con lo stesso meccanismo inibiscono anche l’attivazione di due anticoagulanti, la proteina C e la proteina S.

Agendo sui meccanismi di attivazione e non su proteine pre-formate, l’azione anticoagulante del warfarin risulta ritardata, poiché si manifesta solo dopo l’avvenuta clearance dei fattori di coagulazione già circolanti (attivi) che vengono così rimpiazzati da quelli neo-sintetizzati e non γ-carbossilati (inattivi). Considerando l’emivita di FII ed FX (rispettivamente 32-48h e 72h), ne consegue che l’effetto anticoagulante si manifesta dopo 3-4 giorni dall’inizio del trattamento (Figura 17).

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Per questo motivo e per l’iniziale stato protrombotico creato dalla precoce inattivazione delle proteine C e S, per i primi 3-4 giorni di terapia il warfarin va inizialmente associato ad un anticoagulante ad azione immediata (ENF, EBPM o fondaparinux).

Dopo somministrazione orale ed assorbimento intestinale, la biodisponibilità del warfarin è prossima al 100% ed in circolo risulta legato per il 99% a proteine plasmatiche. L’emivita plasmatica è di 36-42h e non coincide con quella d’azione (2-5 gg) poiché quest’ultima dipende a sua volta dall’emivita di eliminazione dei fattori di coagulazione non-γ-carbossilati. Il warfarin è metabolizzato dai citocromi epatici (soprattutto il CYP2C9) ed eventuali polimorfismi a carico degli enzimi metabolizzanti o fattori ambientali che influiscono su assorbimento, legame a proteine plasmatiche e metabolismo della vitamina K (dieta, farmaci, caratteristiche della patologia di base) sono responsabili di una variabilità di risposta al warfarin e possono espletarsi attraverso una riduzione o un incremento del suo effetto, con conseguente aumentato rischio trombotico o emorragico.

Il trattamento con warfarin richiede obbligatoriamente un monitoraggio terapeutico tramite valutazione periodica dell’INR (International Normalized Ratio) (all’inizio 1 volta/die, per arrivare a 1 volta/2-3 settimane), con l’obiettivo di raggiungere un valore di INR di 2-3 ed un TTR (Time in Therapeutic Range) >70%.

Le emorragie rappresentano la reazione avversa più comune, nel 50% dei casi si manifestano in pazienti con INR >3, e possono essere di entità lieve (epistassi, ematuria) o grave (sanguinamenti gastro-intestinali o cerebrali). In caso di emorragia è necessario sospendere il trattamento e, in base all’INR e alla presenza o meno di segni e sintomi, impostare opportuna terapia con vitamina K associandovi, in caso di emorragia grave, la somministrazione di

Figura 16: Metabolismo della vit.K e meccanismo d'azione del warfarin.

[Tratta da: Marder VJ, Aird WC, Bennett JS, Schulman S, White GC. Hemostasis and Thrombosis: Basic Principles and Clinical Practice. 6th ed. New York: Wolters Kluwer Health; 2012.]

Figura 17: Effetto della terapia con warfarin sulla concentrazione plasmatica dei fattori vit.K-dipendenti.

[Tratta da: Marder VJ, Aird WC, Bennett JS, Schulman S, White GC. Hemostasis and Thrombosis: Basic Principles and Clinical Practice. 6th ed. New York: Wolters Kluwer Health; 2012.]

- 60 - plasma fresco congelato e FVII ricombinante.

Una rara complicanza è la necrosi cutanea indotta dal warfarin (warfarin-induced skin necrosis), che si manifesta dopo 2-5 giorni dal’inizio del trattamento con lesioni ben delimitate e a progressione necrotica centrale, localizzate a livello di cosce, glutei, mammelle o dita dei piedi ed è causata da fenomeni trombotici che si realizzano a livello del microcircolo sottocutaneo. Si realizza in genere in pazienti con deficit congenito di proteina C e/o proteina S ed è legata alla rapida riduzione dei livelli plasmatici di queste proteine indotta inizialmente dal warfarin.

Il warfarin non va somministrato in gravidanza poiché teratogeno (passa la barriera emato- placentare) ed è inoltre responsabile di emorragie placentari.

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Nuovi anticoagulanti orali (NAO)

(45, 46)

I nuovi anticoagulanti orali (New Oral Anticoagulants – NOACs) o anticoagulanti orali diretti (Direct Oral Anticoagulants – DOACs) sono farmaci di recente introduzione che espletano il proprio effetto anticoagulante mediante inibizione diretta dei fattori della coagulazione. Quelli attualmente utilizzati in ambito clinico sono rivaroxaban, apixaban, edoxaban (anti-FXa) e dabigatran (anti-FIIa).

Questi farmaci hanno il vantaggio di poter essere somministrati in dosi fisse giornaliere, di non richiedere un monitoraggio terapeutico routinario (eccetto che in situazioni di urgenza/emergenza in cui è necessario poter valutare lo stato coagulativo del paziente), di presentare un minor numero di interazioni farmacologiche e nessuna interazione alimentare (al contrario del warfarin, l’effetto anti-coagulante dei NOAC non è influenzato dall’assunzione di cibi contenenti vit.K).

L’attività anticoagulante diretta garantisce inoltre un’azione rapida (poiché rivolta verso fattori già attivi e circolanti) e la mancata necessità di un’iniziale embricazione con eparine (poiché non sussite il rischio di un transitorio stato pro-trombotico nei primi giorni di trattamento, non essendo inibite le proteine C ed S). Tuttavia, in caso di trattamento con dabigatran ed edoxaban, è necessaria un’iniziale terapia con anticoagulante parenterale per 5- 10 giorni, per poi passare al NAO.

La breve emivita e la sovrapposizione tra l’emivita di azione e quella di eliminazione garantiscono un miglior profilo di sicurezza e maneggevolezza, poiché sono sufficienti 24h per annullare l’effetto del farmaco (non inibendo alcun meccanismo enzimatico, la clearance del farmaco coincide infatti con la scomparsa dell’effetto anticoagulante). Questo aspetto è importante soprattutto nelle condizioni in cui il paziente debba essere sottoposto ad un intervento chirurgico in regime di urgenza.

Farmacocinetica

Il dabigatran (anti-FIIa) è in grado di legare sia la trombina libera che quella legata alla fibrina, viene assunto come pro-farmaco (dabigatran etexilato mesilato) e successivamente attivato a livello epatico e plamatico con un meccanismo citocromo P450-indipendente (idrolisi mediata da esterasi), per cui non presenta interazioni con farmaci inibitori del citocromo P450. Ha una bassa biodisponibilità (3-7%) poiché è un substrato ad altà affinità per la P-gp 11 (o MDR-1 12), un trasportatore localizzato a livello della mucosa intestinale e

11 P-gp, Permeability glycoprotein 1 12 MDR-1, Multidrug Resistance protein-1

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responsabile dell’estrusione di xenobiotici, determinandone un ridotto assorbimento. Per questo motivo presenta interazioni con farmaci induttori o inibitori della P-gp, che ne modificano le concentrazioni plasmatiche (es. atorvastatina, verapamil, amiodarone, ketoconazolo, itraconazolo, macrolidi, rifampicina, barbiturici) (47). A tal proposito, data la

bassa biodisponibilità, l’utilizzo di un profarmaco consente di prevenirne un’ulteriore riduzione in seguito all’effetto di primo passaggio epatico. Ha un’emivita di 12-17h (aumenta nei soggetti di età avanzata e in quelli con ridotta funzione renale), raggiunge il picco plasmatico in 1h (2h se assunto col cibo), il legame alle proteine plasmatiche è scarso (35%) e rende quindi il farmaco dializzabile e l’escrezione è per lo più renale (80%), per cui è necessario modificare la dose in base alla funzione emuntoria (Tabella 8).

Gli antogonisti del FXa sono in grado di legare sia il FXa libero che quello legato al complesso protrombinasico, vengono assunti come farmaci già attivi, la biodisponibilità di apixaban ed edoxaban è rispettivamente del ≈ 50% e 62% mentre per il rivaroxaban è variabile, potendo aumentare dal 66% fino al 100%, se assunto col cibo, sebbene anche la biodisponibilità dell’edoxaban possa variare (+ 6-22%) in base alla concomitante assunzione di cibo.

Questi farmaci sono substrati della P-gp, ma con minore affinità rispetto al dabigatran (47).

L’emivita è di 5-9h, 8-15h e 10-14h, il legame alle proteine plasmatiche è del 92-95%, 87% e 55% (non sono dializzabili), mentre il picco di concentrazione plasmatica si raggiunge dopo 2-4h, 3-4h e 1-2h rispettivamente per rivaroxaban, apixaban ed edoxaban.

Rivaroxaban e apixaban sono metabolizzati a livello epatico con meccanismi citocromo P450- dipendenti (CYP-3A4) (47). L’edoxaban è presente nel plasma principalmente in forma

immodificata ed è minimamente metabolizzato dal CYP3A4.

L’eliminazione varia per i diversi farmaci: 65% epatica e 35% renale per il rivaroxaban; 73% epatica e 27% renale per l’apixaban; 50% epatica e 50% renale perl’edoxaban. Anche per gli anti-FXa è quindi necessario modificare la posologia in base alla funzione renale (Tabella 8).

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Monitoraggio terapeutico

La prevedibilità dei NAO in termini di farmacocinetica ed effetto anti-coagulante fa sì che questi farmaci non necessitino di un monitoraggio terapeutico routinario, salvo nei casi in cui il paziente debba essere sottoposto a procedure chirurgiche o interventistiche in regime di urgenza/emergenza. La valutazione periodica (almeno annuale) della funzione renale ed epatica è invece utile per stabilire se sia necessario modificare la posologia.

Il dabigatran influenza tutti i test di coagulazione (PT, aPTT e TT), ma per la loro scarsa (PT) o eccessiva (aPTT, TT) sensibilità risultano poco utili ad esprimere la concentrazione plasmatica del farmaco. In ogni caso, il riscontro di normali valori di aPTT e TT può essere sufficiente ad escludere la presenza di livelli plasmatici di dabigatran clinicamente rilevanti. Per questo motivo l’aPTT viene utilizzato in regime di emergenza per ottenere informazioni circa l’attività residua del farmaco, sebbene allo stato attuale non sia stato definito un range terapeutico per il dabigatran.

Test più accurati per la valutazione quantitativa del farmaco sono rappresentati dal tempo di trombina diluito (dTT), dal tempo di ecarina (ECT) e dai test cromogenici per la valutazione dell’attività anti-FIIa (Tabella 9).

Tabella 8: Dosaggio e controindicazioni all’utilizzo dei NAO nel trattamento del tromboembolismo venoso. [Tratto da: A. N. Raval et al., Management of Patients on Non-Vitamin K Antagonist Oral Anticoagulants in the Acute Care and Periprocedural Setting: A Scientific Statement From the American Heart Association. Circulation 135, e604-e633 (2017).]

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Tabella 9: Livello di affidabilità dei test di coagulazione per il monitoraggio della terapia con NAO.

PT, Prothrombin Time; aPTT, activated Partial Thromboplastin Time; TT, Thrombin Time; ACT, Activated Clotting Time; dTT diluted Thrombin Time; ECT, Ecarin Clotting Time; INR, International Normalized Ratio.

Gli inibitori del FXa influenzano l’ACT (Activated Clotting Time) e i saggi cromogenici per la valutazione dell’attività anti-FXa, sebbene per entrambi i test non sia stato definito un range terapeutico per questi farmaci.

Il PT è invece meno sensibile (specialmente per l’apixaban), vi è una certa variabilità tra i reagenti in commercio e non è nota inoltre la correlazione fra un aumento del suo valore ed il rischio emorragico nel paziente in terapia con NAO. Per questo motivo, un PT normale non consente di escludere la presenza di concentrazioni plasmatiche sgnificative del farmaco. Allo stesso modo, l’aPTT mostra una scarsa sensibilità ed un andamento non lineare, tali da non consentirne l’uso per la valutazione quantitativa degli anti-FXa.

Allo stato attuale, i test cromogenici per la valutazione dell’attività anti-FXa risultano i più sensibili nella determinazione quantitativa di questi farmaci e, se negativi, consentono di escludere con ragionevole sicurezza la presenza di concentrazioni plasmatiche clinicamente rilevanti (Tabella 9).

Controindicazioni ai NOAC ed utilizzo in categorie particolari

Tutti i NOAC sono controindicati in caso di ClCr 13 <15ml/min e gli anti-FXa non sono

raccomandati nei soggetti con insufficienza epatica di grado moderato-grave (classe C secondo Child-Pugg). Altre controindicazioni sono gravidanza, allatamento e la presenza di valvole cardiache meccaniche: negli studi che hanno dimostrato l’efficacia dei NOAC nel trattamento del TEV queste categorie di pazienti sono state escluse o poco rappresentate e sono quindi necessarie ulteriori indagini per la valutarne il profilo di sicurezza in questi soggetti.

L’uso dei NOAC va inoltre valutato con attenzione nei soggetti con peso corporeo < 50kg e > 120kg o con BMI ≥35kg/m2, limitandone possibilmente l’utilizzo ai casi in cui non è possibile

ricorrere agli AVK.

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L’utilizzo dei NOAC in soggetti portatori di stati trombofilici ereditari e in quelli affetti da APLS è ancora controverso e le attuali conoscenze in merito si basano per lo più su case report e case series e su revisioni degli studi RE-COVER I e II, EINSTEIN, AMPLIFY e HOKUSAI-VTE (nei quali le trombofilie ereditarie non rientravano tra i criteri di esclusione). Ad oggi, i NOAC sembrano essere un’alternativa potenzialmente valida per il trattamento del tromboembolismo venoso, sia in acuto che in profilassi secondaria, nei soggetti portatori di stati trombofilici ereditari a minor rischio (es. FV Leiden in eterozigosi), specie se la terapia standard con VKA non consente un buon controllo della coagulazione. Il loro utilizzo andrebbe invece evitato nei pazienti con trombofilie ad elevato rischio, quali sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi (specie in soggetti con sierologia triplo-positiva) e HIT, in attesa di studi che ne avvalorino l’efficacia e la sicurezza. Bisogna inoltre considerare che i NOAC influenzano i risultati dei test di laboratorio per trombofilia (specie quelli per il dosaggio dei LA) (48).

Gestione delle emorragie in corso di terapia con NAO

L’emorragia è l’evento avverso più comune e la gestione del quadro emorragico può rivelarsi complessa sia per la limitata accuratezza dei test di coagulazione routinari, sia per l’assenza di antidoti specifici (fatta eccezione per il dabigatran).

Dabigatran e rivaroxaban determinano un maggior rischio di eventi avversi gastro-intestinali e quindi non dovrebbero essere considerati come prima scelta in soggetti ad elevato rischio emorragico del tratto G-I o con storia di emorragia G-I. Il dabigatran può inoltre determinare dispepsia.

In prima istanza è necessario sapere quando è stata assunta l’ultima dose, poiché per i NAO l’acme dell’effetto anticoagulante corrisponde al picco di concentrazione plasmatica e l’emivita relativamente breve può consentire la messa in atto di strategie terapeutiche temporanee, in attesa che si realizzi una completa clearance del farmaco.

Oltre all’anamnesi farmacologica, è necessario procedere alla valutazione della funzionalità epatica e renale del soggetto e all’esecuzione di test rapidi di coagulazione (aPTT, TT o PT) ed eventualmente di test cromogenici quantitativi (Tabella 10).

L’algoritmo per la gestione dell’emorragia in soggetti in terapia con NAO prevede in prima istanza procedure terapeutiche di ordine generale: dilazionamento della dose successiva, emostasi meccanica o chirurgica, infusione di fluidi e/o plasma fresco congelato, somministrazione di emazie concentrate e/o piastrine, a seconda che l’emorragia sia lieve, moderata o grave (Tabella 10).

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In caso di emorragia grave, specie se di entità tale da mettere a rischio la vita del paziente, bisogna considerare il ricorso a trattamenti più complessi e specifici, quali la somministrazione di FVIIa ricombinante e concentrato di complesso protrombinico o l’emodialisi (solo per il dabigatran, data l’elevata percentuale di legame alle proteine plasmatiche degli anti-FXa) (Tabella 11).

Come già accennato, ad oggi non sono disponibili antidoti specifici per i NAO, fatta eccezione per il dabigatran (Tabella 11), per il quale esiste un anticorpo monoclonale, l’idaracizumab, in grado di annullarne l’effetto anti-coagulante entro pochi minuti dalla somministrazione. Questo anticorpo agisce legando il dabigatran con un’affinità 350 volte superiore rispetto alla trombina, favorendone la successiva clearance da parte del sistema reticolo-endoteliale.

Tabella 10: Algoritmo procedurale per la gestione dell'emorragia in pazienti in trattamento con NAO.

CBC, Complete Blood Count; BUN, Blood Urea Nitrogen; CrCL, Creatinine Clearance; PRBC, Packed Red Blood Cells; PLT, Platelets; IV, Intravenous.

[Tratto e modificato da: H. Heidbuchel et al., Updated European Heart Rhythm Association Practical Guide on the use of non-vitamin K antagonist anticoagulants in patients with non-valvular atrial fibrillation. Europace : European pacing, arrhythmias, and cardiac electrophysiology : journal of the working groups on cardiac pacing, arrhythmias, and cardiac cellular electrophysiology of the European Society of Cardiology 17, 1467-1507 (2015).]

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Sono tuttavia in fase di studio delle molecole ad attività antagonista specifica per gli anti-FXa. In particolare, andexanet alfa è un FXa ricombinante umano che funge da ligando-trappola per gli anti-FXa, legandovisi e neutralizzandone l’effetto anti-coagulante. Un recente studio ne ha dimostrato l’efficacia nell’antagonizzare l’effetto di rivaroxaban e apixaban, tramite la normalizzazione dei relativi test di coagulazione (49). È attualmente in corso lo studio

ANNEXA-4 14, il cui scopo è valutare i benefici clinici e la sicurezza di andexanet alfa in

pazienti che sviluppano eventi emorragici maggiori durante il trattamento con farmaci anti- FXa o enoxaparina.

Un altro antidoto in fase di studio è ciraparantag (PER977), una molecola cationica sintetica, piccola e idrosolubile, progettata per legare in maniera specifica l’ENF e l’EBPM e che lega in maniera simile anche gli inibitori diretti del FIIa e del FXa.

In uno studio di fase I placebo-controllo in doppio cieco, ne sono stati valutati l’efficacia antagonista e il profilo di sicurezza in soggetti trattati con edoxaban (50). I risultati ottenuti

hanno indotto la prosecuzione dello studio ad un trial di fase II 15. È inoltre attualmente in corso uno studio di fase II placebo-controllo, il cui scopo è valutare l’efficacia e la sicurezza del ciraparantag in soggetti in trattamento anticoagulante con rivaroxaban 16.

14 Studio ANNEXA-4, https://clinicaltrials.gov → numero identificativo: NCT02329327 15 https://www.clinicaltrials.gov → numero identificativo: NCT02207257

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Tabella 11: Misure terapeutiche specifiche per la gestione dell’emorragia grave in pazienti in trattamento con NAO.

PCC, Prothrombin Complex Concentrate; IU, International Units.

[Tratto da: A. N. Raval et al., Management of Patients on Non-Vitamin K Antagonist Oral Anticoagulants in the Acute Care and Periprocedural Setting: A Scientific Statement From the American Heart Association. Circulation 135, e604- e633 (2017).]

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2.5.2 Profilassi

Profilassi primaria

(51)

➢ Ricovero per evento acuto

• Soggetti con aumentato rischio trombotico (Tabella 12 e 13): si raccomanda profilassi anticoagulante con EBPM o ENF a bassa dose o fondaparinux.

• Soggetti con basso rischio trombotico (Tabella 12 e 13): non vi è raccomandazione alla profilassi antitrombotica.

• Soggetti con emorragia o ad elevato rischio emorragico (Tabella 14): è sconsigliata la profilassi anticoagulante.

• Soggetti con aumentato rischio trombotico che sanguinano o che hanno elevato rischio di emorragia maggiore: si suggerisce l’utilizzo di una proflassi meccanica con calze compressive graduate o compressione pneumatica intermittente.

• Soggetti che ricevono un’iniziale profilassi anticoagulante: si suggerisce di non proseguire il trattamento al termine del periodo di immobilizzazione o di ricovero.

➢ Soggetti in condizioni critiche

• Soggetti senza emorragia in atto o con basso rischio emorragico: si suggerisce profilassi con EBPM o ENF a basso dosaggio ed è invece sconsigliato uno screening ultrasonografico routinario per TVP.

• Soggetti con emorragia o con elevato rischio per emorragia maggiore: si suggerisce profilassi meccanica con compressione pneumatica intermittente. Dopo riduzione del rischio emorragico si suggerisce di passare a profilassi farmacologica.

➢ Soggetti con neoplasia maligna non ospedalizzati (si rimanda la trattazione al capitolo successivo)

➢ Soggetti con trombofilia asintomatica (in assenza di un pregresso episodio di TEV) • Non si raccomanda l’utilizzo quotidiano a lungo termine di profilassi farmacologica o

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