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Considerato il rischio associato a queste mutazioni, sarebbe importante identificare precocemente i soggetti che ne sono portatori attraverso specifici screening genetici. Infatti il valore predittivo di una storia familiare positiva per episodi tromboembolici venosi è scarsamente affidabile e comunque l’assenza di un riscontro anamnestico non esclude a priori la presenza di uno stato trombofilico congenito (24-27). Allo stesso modo, un episodio

tromboembolico verificatosi in presenza di uno o più fattori di rischio acquisiti non permette di escludere la contestuale presenza di una predisposizione genetica.

Allo stato attuale, tuttavia, poiché il rapporto costo/beneficio di questi test genetici rimane ancora incerto, l’indicazione allo screening trombofilico risulta indicata solo in alcune categorie di pazienti quali soggetti con primo episodio trombotico in età giovanile, coloro i quali sviluppano recidiva dopo sospensione della terapia anticoagulante e pazienti in cui la trombosi venosa si manifesta clinicamente in siti inusuali (arti superiori, encefalo, distretto splancnico) (28-31). In particolare, stati di ipercoagulabilità geneticamente determinata si

riscontrano in 1/3 dei pazienti con trombosi venosa splancnica, soprattutto nei casi in cui siano interessati i distretti mesenterico e/o portale.

Per quanto riguarda il gene MTHFR, in base alle evidenze più recenti, l’American College of Medical Genetics and Genomics (ACMG) ed il Thrombosis Interest Group of Canada (TIGC) non ne raccomandano lo studio routinario nella valutazione clinica del rischio trombotico, nemmeno in individui portatori di stati trombofilici ereditari, come il FV Leiden (20, 22).

L’ACMG suggerisce inoltre che la valutazione dei livelli di omocisteina plasmatica fornisca informazioni più utili nell’inquadramento dello stato coagulativo del paziente (22) e delle linee-

guida raccomandano la valutazione dell’omocisteina totale plasmatica come prima indagine laboratoristica nel caso di sospetto clinico di disordine della ri-metilazione (compreso il deficit di MTHFR) e raccomandano inoltre che il campione ematico venga centrifugato per 1h e successivamente mantenuto a +4°C fino al momento dell’analisi (21). Allo stesso modo, la

British Committee for Standars in Haematology (BCSH) e la British Society for Haematology (BSH) non raccomandano lo studio dei polimorfismi del gene MTHFR nell’ambito della valutazione degli stati trombofilici ereditari (22).

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2.3 Caratteristiche cliniche

La trombosi venosa profonda può localizzarsi in qualsiasi distretto (arti superiori e inferiori, vena renale, distretto splancnico e cerebrale), ma nella maggior parte dei casi si localizza a livello del circolo venoso profondo degli arti inferiori.

Le trombosi venose in altri distretti riconoscono fattori di rischio peculiari, si presentano con manifestazioni cliniche diverse e sono spesso indice di una sottostante trombofilia geneticamente determinata.

2.3.1 Trombosi venosa profonda degli arti inferiori

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Negli arti inferiori i trombi tendono a formarsi a livello del muscolo gastrocnemio, interessando la vena peroneale e la tibiale posteriore, per poi estendersi prossimalmente (trombosi ascendente). In particolare la TVP degli arti inferiori si distingue in prossimale e distale, a seconda dell’estensione rispetto alla vena poplitea (Figura 12).

Questa distinzione è importante dal punto di vista clinico poiché il potenziale emboligeno delle trombosi prossimali è nettamente maggiore. In alcuni casi (gravidanza, neolpasie maligne) la trombosi venosa può svilupparsi inizialmente in sede prossimale, ad esempio a livello della vena iliaca comune o della vena iliaca esterna, per poi estendersi in senso distale (trombosi discendente). Dal punto di vista clinico la TVP può essere asintomatica o sintomatica. Le trombosi venose asintomatiche si realizzano più frequentemente nei pazienti allettati, in particolare nel periodo post- operatorio, poiché i segni e sintomi sono legati alla stasi venosa indotta dalla trombosi e si estrinsecano maggiormente in ortostatismo.

La sintomaticità comunque non correla necessariamente con la gravità clinica.

Figura 12: Anatomia del sistema venoso profondo dell'arto inferiore.

[Tratta da: Marder VJ, Aird WC, Bennett JS, Schulman S, White GC. Hemostasis and Thrombosis: Basic Principles and Clinical Practice. 6th ed. New York: Wolters Kluwer Health; 2012.]

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Segni e sintomi tipici, determinati dall’ostruzione al deflusso venoso e dall’infiammazione associata a carico della parte vasale, sono dolor, calor, rubor e tumor: dolore sordo (spontaneo ed evocato), aumento della temperatura cutanea a livello locale, eritema, senso di pesantezza, e gonfiore a livello dell’arto coinvolto. Data la loro scarsa specificità e sensibilità, la contemporanea presenza di fattori di rischio tipici è utile nell’implementarne l’accuratezza diagnostica.

Il dolore è escarcebato dalla stazione eretta e dalla deambualazione e può estendersi cranialmente fino a livello inguinale. Altre evidenze cliniche includono dolore alla palpazione e dilatazione del reticolo venoso superficiale (il sangue venoso refluo viene deviato verso il circolo venoso superficiale nel tentativo di by-passare l’ostruzione trombotica) e cianosi (dovuta all’ipossia stagnante).

A tal proposito, sono importanti tre segni che, se positivi, sono fortemente indicativi di TVP: - segno di Bauer: il ballottamento e la compressione della muscolatura surale evoca dolore. - segno di Homans: la dorsi-flessione forzata del piede con la contemporanea flessione della gamba sulla coscia evoca dolore.

- segno di Lisker: la percussione esercitata con le dita sulla faccia anteriore della tibia evoca dolore.

Nei casi più gravi si realizza una condizione nota come phlegmasia alba dolens, che implica un’occlusione totale del sistema venoso profondo e quindi la necessità di veicolare tutto il flusso ematico verso il circolo superficiale. Ne conseguono edema, dolore ed un colorito bianco latteo dell’arto interessato.

Se la situazione progredisce ulteriormente, si realizza un’occlusione anche a carico del sistema venoso superficiale, con conseguente arresto completo del drenaggio venoso dall’arto inferiore. Questa condizione è nota come phlegmasia cerulea dolens, oggigiorno rara (1% di tutte le TVP) e si caratterizza per edema, cianosi, dolore ingravescente, pelle tesa e lucida, iperestesia cutanea, fino alla gangrena.

Il quadro di phlegmasia cerulea dolens è frequentemente associato ad una sottostante neoplasia maligna.

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2.3.2 Trombosi venosa profonda in altri distretti

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