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chirurgico

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Le ultime linee-guida dell’ACCP 17 per la prevenzione del TEV nel paziente medico, si

discostano per la prima volta dal paradigma della profilassi anti-trombotica standard nei soggetti ricoverati per evento acuto. Al contrario, si orientano verso un approccio individualizzato, che prevede la definizione di una strategia profilattica in base al rischio tromboembolico ed emorragico del singolo paziente.

Questo cambiamento radicale deriva dall’evidenza del sostanziale fallimento della profilassi farmacologica “universale”, dal ricovero alla dimissione, nel ridurre l’insorgenza degli eventi tromboembolici in comunità. Le cause di questo fenomeno sono da ascrivere a diversi fattori, quali la minore durata del periodo di ricovero, cui consegue una riduzione della durata e quindi dell’efficacia preventiva del trattamento anticoagulante; il mancato ricorso ad una corretta profilassi anti-trombotica routinaria nel periodo post-dimissione; l’utilizzo inappropriato della profilassi anti-coagulante in relazione al rischio tromboembolico dei pazienti: il paradigma della profilassi “universale” (estesa in maniera analoga a tutti i soggetti ricoverati) ha infatti determinato una buona copertura anti-trombotica nei pazienti a basso rischio, ma ha comportato un under-treatment in quelli con rischio tromboembolico elevato. Bisogna poi considerare alcune caratteristiche dei pazienti ricoverati (età avanzata, comorbidità, poli-terapie) che, incrementando il rischio di eventi avversi ed emorragia, inducono ad una profilassi anticoagulante inadeguata.

Il timore di episodi emorragici e l’errata valutazione del rischio tromboembolico sono responsabili di una profilassi sub-ottimale anche in soggetti non ospedalizzati ad elevato rischio trombotico per fattori acquisiti, quali età avanzata, allettamento e malattie croniche (es. BPCO, insufficienza cardiaca congestizia).

Alla luce di queste evidenze, sono stati proposti dei sistemi di valutazione del rischio tromboembolico nei pazienti ospedalizzati non-chirurgici, col fine di impostare una profilassi anti-coagulante personalizzata al momento del ricovero. Il Padua VTE RAM e l’IMPROVE VTE RAM sono gli unici sistemi di scoring ad aver ricevuto un’ampia approvazione, e si basano sulla valutazione di fattori di rischio tromboembolici paziente- e malattia-specifici. In entrambi i sistemi, il punteggio totalizzato si associa ad un determinato rischio tromboembolico e permette di stabilire se il paziente necessiti o meno di una profilassi anticoagulante (Tabelle 12 e 13).

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Tabella 12: Padua VTE RAM. [Tratta e modificata da: A. C. Spyropoulos, G. E. Raskob, New paradigms in venous

thromboprophylaxis of medically ill patients. Thrombosis and haemostasis 117, 1662-1670 (2017).] RAM, Risk Assessment Model; BMI, Body Mass Index.

Tabella 13: IMPROVE VTE RAM. [Tratta e modificata da: A. C. Spyropoulos, G. E. Raskob, New paradigms in venous

thromboprophylaxis of medically ill patients. Thrombosis and haemostasis 117, 1662-1670 (2017).] RAM, Risk Assessment Model; ICU/CCU, Intensive Care Unit/Critical Care Unit

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Allo stesso modo, è stato proposto e successivamente validato l’IMPROVE Bleed RAM, un sistema di scoring per la valutazione del rischio emorragico nei pazienti ospedalizzati non- chirurgici, con lo scopo di minimizzare l’utilizzo inappropriato (over-treatment) della profilassi anticoagulante (Tabella 14).

In generale, i pazienti che beneficerebbero di una profilassi anticoagulante durante il ricovero, sono quelli con punteggio Padua VTE ≥4 (o IMPROVE VTE ≥2) e con un concomitante punteggio IMPROVE Bleed <7.

Entrambi i sistemi di scoring hanno permesso di stabilire che solo il 35-50% dei pazienti non chirurgici presenta un rischio tromboembolico tale da giustificare una profilassi anti- coagulante e di questi solo il 10-25% ha un rischio elevato. Ciò significa che la profilassi anti- trombotica standardizzata espone a over-treatment ≈ 65% dei pazienti non-chirurgici, con relativo rischio emorragico. Al contempo una strategia profilattica generalizzata e non paziente-specifica, si associa ad un under-treatment di ≈ 25% dei soggetti con rischio tromboembolico elevato (in termini di intensità e durata della terapia).

Tabella 14: IMPROVE Bleed RAM. [Tratto e modificato da: [Tratta e modificata da: A. C. Spyropoulos, G. E.

Raskob, New paradigms in venous thromboprophylaxis of medically ill patients. Thrombosis and haemostasis 117, 1662-1670 (2017).]

RAM, Risk Assessment Model; GFR, Glomerular Filtration Rate; CV, Central Venous; ICU/CCU, Intensive Care Unit/Critical Care Unit, INR, International Normalized Ratio

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Le stesse linee-guida del 2012 non raccomandano l’estensione della profilassi anti-trombotica oltre il periodo di ospedalizzazione. Questa raccomandazione è avvalorata dai risultati di quattro studi che hanno confrontato l’efficacia della profilassi anticoagulante con EBPM o NAO a breve e a lungo termine, senza però riuscire a dimostrare un netto beneficio clinico della extended prophylaxis (52-57).

Studi recenti suggeriscono però che l’associazione del D-dimero ai sistemi di scoring appena descritti, possa permettere di individuare una categoria di pazienti ad alto rischio tromboembolico che beneficerebbe di una profilassi anticoagulante estesa, nel periodo successivo alla dimissione.

A tal proposito, un’analisi a posteriori dello studio MAGELLAN (58) ha mostrato che un valore

di D-dimero 2 volte superiore al cut-off di normalità, consente di identificare un gruppo di pazienti con elevato rischio tromboembolico nel periodo post-dimissione e che questo gruppo non incorre peraltro in un aumentato rischio emorragico. A conferma di ciò, nello studio APEX (52) una coorte di pazienti ad elevato rischio tromboembolico, identificati tramite

dosaggio del D-dimero (cut-off > 2x ULN 18), sono stati randomizzati in due gruppi, di cui

uno sottoposto ad extended prophylaxis con betrixaban e l’altro (controllo) ad una profilassi di 10 giorni con enoxaparina. I risultati hanno mostrato una maggior efficacia della extended prophylaxis, senza peraltro evidenziare differenze in termini di emorragie maggiori tra i due gruppi.

Lo studio MARINER (59), attualmente in corso 19, prevede l’utilizzo dello score IMPROVED

VTE e del D-dimero per identificare, tra i pazienti in dimissione, quelli ad elevato rischio di TEV, per poi randomizzarli con rivaroxaban o placebo per 45 giorni. Se i risultati di questo trial dovessero rivelarsi significativi, mostrando un beneficio nella extended prophylaxis con rivaroxaban, si potrà definire un nuovo approccio, paziente-specifico, per l’identificazione ed il trattamento di soggetti in dimissione con elevato rischio tromboembolico.

In attesa di conferme, è opportuna una profilassi anticoagulante di 6-14 giorni nei pazienti non chirurgici che, alla dimissione, hanno un punteggio IMPROVED VTE ≥ 4.

18 ULN, Upper Limit of Normal

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2.5.3 Approccio terapeutico

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