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Il D-dimero è un prodotto di degradazione della fibrina stabilizzata, la cui emivita nei soggetti normali è di circa 48 ore ed i suoi livelli ematici aumentano in pazienti con tromboembolismo acuto.

Il dosaggio immunoenzimatico con ELISA (Enzyme-Linked Immunosorbent Assay) ha una sensibilità diagnostica superiore al 95%, con un cut-off di 500µg/ml, mentre un valore inferiore permette di escludere ragionevolmente una TVP in pazienti con probabilità clinica bassa o intermedia, senza necessità di ricorrere alla CUS. In una meta-analisi basata sul metodo immuno-enzimatico ad alta sensibilità VIDAS D-dimer, il rischio tromboembolico a 3 mesi in questa categoria di pazienti è risultato <1% (40).

Al contrario, nei pazienti con probabilità clinica elevata il dosaggio del D-dimero non è raccomandato poiché raramente inferiore al cut-off stabilito e soprattutto perché il limite di intervallo di confidenza del 95% per il rischio embolico a 3 mesi rimane superiore al 3%, anche in caso di risultato negativo del test. In questi pazienti è quindi necessario procedere direttamente con l’indagine ultrasonografica.

L’utilizzo del D-dimero nell’iter diagnostico della TVP ha dimostrato un’accuratezza maggiore quando rivolto a soggetti sintomatici (quindi ad alta probabilità di TVP) e con indagine CUS negativa: in questi casi valore normale del D-dimero può consentire di escludere la presenza di TVP (anche quella a interessamento solo distale, difficilmente escludibile con l’indagine CUS). Un livello elevato permette invece di selezionare i casi da seguire nel tempo con esami strumentali sequenziali, al fine di riconoscere tempestivamente la possibile estensione prossimale della malattia.

Tuttavia, sebbene il D-dimero sia altamente specifico per la fibrina, la specificità della fibrina per gli eventi tromboembolici è scarsa. Ne deriva che elevati livelli plasmatici di D-dimero, oltre che per la presenza di trombi (sia venosi che arteriosi), possono essere frequentemente causati da molte altre condizioni in cui vi sia formazione di fibrina negli spazi vascolari o riassorbimento di prodotti di degradazione dagli spazi extravascolari (ematomi sottocutanei, ferite chirurgiche, necrosi cutanea, ustioni estese, ascite, versamenti pleurici). Un aumento del D-dimero si osserva quindi con estrema frequenza in una grande varietà di condizioni cliniche (CID, neoplasie, angina instabile, infarto miocardico, eclampsia, infezioni, malattie epatiche e renali, chirurgia).

Il dosaggio del D-Dimero si è pertanto dimostrato estremamente sensibile, ma scarsamente specifico per la presenza di trombosi.

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Il riscontro di normali livelli di D-dimero pur in presenza di un processo trombotico è un fenomeno che può verificarsi in un numero limitato di casi: può essere dovuto a ipofibrinolisi, sintomi clinici comparsi da oltre 7-10 giorni, utilizzazione di metodi poco sensibili, erronea definizione del livello di cut-off (limite di anormalità). A tal proposito, non è attualmente consigliabile l’utilizzo di questo test nei pazienti asintomatici ad alto rischio, o in pazienti sintomatici ospedalizzati, non essendo disponibili valori di cut-off validati per queste specifiche situazioni.

Prove di coagulazione

Tempo di Protrombina (PT)

Misura l’efficienza della via estrinseca della coagulazione ed in particolare l’attività dei fattori II, V, VII e X. Viene calcolato aggiungendo al plasma del paziente, raccolto in liquido citrato, un eccesso di ioni Ca2+ e tromboplastina e misurando poi il tempo necessario affinché si formi il coagulo di fibrina.

Tempo di Tromboplastina Parziale attivata (aPTT)

Misura l’efficienza della via intrinseca. Viene calcolato con una procedura simile al PT, aggiungendo al plasma del paziente, raccolto in liquido citrato, un eccesso di ioni Ca2+ e un attivatore, come ad esempio i fosfolipidi anionici, che fungono da piastrine. Si misura così il tempo di formazione del coagulo.

Tempo di Trombina (TT)

Misura il tempo impiegato dal plasma a coagulare dopo che al campione di sangue sia stato aggiunto un eccesso di trombina. In questo modo si elimina l’effetto di tutte le fasi coagulative precedenti alla formazione del fibrinogeno in fibrina ed il test risulta quindi estremamente sensibile per la valutazione di anomalie della fibrinogenesi, dell’efficacia della terapia eparinica e per il monitoraggio della terapia fibrinolitica.

Il tempo di trombina è influenzato dall’attività del dabigatran, ma, per la sua eccessiva sensibilità, risulta utile per escludere la presenza di un’attività anticoagulante residua.

Tempo di Ecarina (ECT)

Misura il tempo di coagulazione di un plasma citrato dopo l’aggiunta del veleno di Echis Carinatus (Vipera Rostrata-Squamata). In questo modo viene esplorata l’attività funzionale del sistema trombina-fibrinogeno.

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Test cromogenico

È un metodo analitico che utilizza una reazione avente come evento finale la formazione di una sostanza colorata (p-NA). Può essere eseguito sia con un comune spettrofotometro, sia con un coagulometro di nuova generazione. Viene utilizzato per monitorare l’attività anti-Xa e anti-IIa durante terapia con NAO (Nuovi Anticoagulanti Orali).

2.4.3 Strategie diagnostiche

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Sono state proposte diverse strategie diagnostiche non invasive che hanno dimostrato avere un’elevata sensibilità nell’identificare una TVP dell’arto inferiore, ma che sono gravate da criticità variabili per quanto riguarda i rapporti costo/beneficio, sia in termini predittivi che in termini economici .

In particolare, il follow-up ecografico del tratto venoso prossimale (asse venoso femoro- popliteo) eseguito a distanza di una settimana nei pazienti inizialmente negativi alla CUS, col fine di identificare un’eventuale estensione prossimale di una trombosi distale, si è rivelato poco vantaggioso in termini di resa diagnostica e molto dispendioso.

L’associazione della probabilità clinica all’ultrasonografia ha permesso di ridurre l’utilizzo ripetitivo della CUS, consentendo di evitarla nei pazienti con probabilità clinica bassa. In maniera analoga, l’utilizzo della CUS limitato ai soli pazienti con D-dimero>500µg/L ha permesso di ridurre l’esecuzione degli esami ecografici del 30% (41).

Queste strategie basate sulla combinazione di ultrasonografia e probabilità clinica o D-dimero sono associate ad un basso rischio tromboembolisco a 3 mesi (2% circa), dimostrando quindi un potenziale predittivo molto simile a quello della flebografia .

Allo stesso modo, in uno studio randomizzato del 2003, Wells et al. (42) hanno confrontato il

rischio tromboembolico a 3 mesi tra due gruppi di pazienti: un gruppo di controllo (530 pazienti), sottoposto direttamente a CUS del tratto venoso prossimale ed un altro (566 pazienti), valutato inizialmente col D-dimero e poi con ecografia (a meno che il D-dimero non risultasse negativo e i pazienti non avessero una probabilità clinica bassa). Il rischio tromboembolico a 3 mesi risultò essere dell’1,4% nel gruppo di controllo e dello 0,4% in quello primariamente valutato con il D-dimero. La differenza non è risultata statisticamente significativa, ma ha dimostrato un’evidente riduzione (del 39%) nell’uso della CUS.

A tal proposito, uno studio del 2006 condotto da Goodacre et al. (43) ha evidenziato come

l’algoritmo diagnostico basato sulla combinazione di score di Wells, D-dimero e CUS fosse quello migliore in termini di rapporto costi/efficacia.

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Figura 14: Algoritmo diagnostico per sospetta TVP.

Nell’algoritmo si fa riferimento al dosaggio del D-dimero altamente sensibile; in caso di metodiche di dosaggio meno sensibili, un D-dimero negativo permette di escludere la TVP solo in caso di probabilità clinica bassa.

In caso di indagine CUS negativa e probabilità clinica elevata, considerare il ricorso ad ulteriori esami (es. flebografia).

MDCTA, Multidetector Computed Tomographic Angiography (per sospetta EP). [Tratta da: Marder VJ, Aird WC, Bennett JS, Schulman S, White GC. Hemostasis and Thrombosis: Basic Principles and Clinical Practice. 6th ed. New York: Wolters Kluwer Health; 2012.]

Alla luce di queste evidenze, l’attuale algoritmo diagnostico prevede l’embricazione fra la probabilità clinica ed il D-dimero nella valutazione del rischio tromboembolico e nella selezione dei pazienti da sottoporre all’esame ultrasonografico, con conseguenti vantaggi in termini prognostici ed economici (Figura 14).

E’ stata inoltre valutata l’opportunità di eseguire o meno uno studio ultrasonografico completo dell’arto inferiore (tratto venoso prossimale e distale), considerando che le trombosi distali sono caratterizzate da un basso rischio emboligeno.

In uno studio prospettico del 2009, Gibson et al. (44) randomizzarono dei pazienti con sospetto

clinico per TVP in due gruppi: un gruppo (257 pazienti) sottoposto a CUS del solo tratto venoso prossimale e l’altro (264 pazienti) in cui fu studiato ecograficamente anche il tratto venoso distale. La TVP fu diagnosticata in 59 pazienti (23%) nel primo gruppo, e in 99 pazienti (38%) nel secondo, mentre il follow-up a 3 mesi mostrò un rischio tromboembolico simile nei due gruppi. Questo studio dimostra come i costi di un esame ultrasonografico

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esteso anche al tratto venoso distale non si traducano in un vantaggio prognostico.

Oltre allo scarso vantaggio predittivo, l’utilizzo routinario della CUS estesa a tutto l’arto inferiore comporterebbe un elevato rischio di over-treatment in pazienti con diagnosi di TVP distale, con svantaggi in termini clinici (rischio emorragico dovuto alla terapia anticoagulante) ed economici.

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2.5 Terapia della trombosi venosa profonda

2.5.1 Farmaci anti-coagulanti

I trombi venosi sono costituiti soprattutto da globuli rossi inglobati in un reticolo di fibrina (trombi rossi) e contengono un numero molto esiguo di piastrine, sono prodotti principalmente dalla cascata coagulativa, mentre risulta minoritario il ruolo svolto dall’emostasi piastrinica. Da questa evidenza fisiopatologica deriva il razionale della terapia medica delle trombosi venose, i cui farmaci di riferimento sono gli anticoagulanti.