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PARTE SECONDA: LA TERRA, GLI UOMIN

3.1 L’APICOLTURA E IL MIELE

Scriveva Huntingford: “Il miele per i Dorobo è come il latte per i Nandi” (Huntingford, 1955, p.614), ed infatti, il miele si trova al centro del mondo economico, sociale e religioso del popolo Ogiek, come il latte lo era per i vicini Nandi. Dal punto di vista economico, il miele era fondamentale, poiché rappresentava il principale mezzo di scambio con i popoli vicini, ed era la principale fonte di sostentamento energetico anche nei periodi difficili

(avversità climatiche, carestie, siccità). Il miele, di cui gli Ogiek distinguono ben 8 diversi tipi a seconda dei fiori o degli alberi dai quali le api raccolgono il polline, era anche il cardine della vita sociale, le migrazioni stagionali degli Ogiek avvenivano, infatti, seguendo le api e il loro ciclo produttivo. Inoltre, il miele era l’elemento fondamentale per il pagamento del prezzo della sposa. Ma il miele entrava prepotentemente anche nella sfera religiosa Ogiek. Il miele era qualcosa di mistico, sacro, era usato, infatti, nei riti che celebravano la vita, come il matrimonio, le iniziazioni e le nascite. Ma come mi diceva John “del miele non si butta via nulla, e ha molti usi”, proprio per questo gli Ogiek dalla materia prima ricavavano una bevanda sacra (una specie di birra) legata alla vita. In più, il miele e lo scarto della sua lavorazione venivano usati come base per molte medicine tradizionali, che curavano problemi respiratori, infezioni e dolori articolari e muscolari. Fra gli Ogiek, l’apicoltura e tutto ciò che riguarda la sfera del miele appartiene al dominio maschile. Dopo la raccolta, il miele veniva conservato dagli anziani in un luogo segreto all’interno della foresta, nascosto e tenuto al riparo da furti e da possibili contaminazioni con persone ritualmente impure. Gli Ogiek erano soliti conservare il prezioso miele all’interno di numerosi grandi contenitori in legno, ricavati scavando il tronco di un albero. Il compito di portare il miele dalla foresta al villaggio era riservato alle donne fuori dal ciclo mestruale. Attraverso una borsa fatta con fibre vegetali intrecciate il miele veniva trasportato a casa dove la donna lo utilizzava per le varie necessità familiari: produzione di cibo, medicine, per nutrire bambini ed anziani, per conservare la carne (Micheli, 2013, pp.60-64). Dato che la loro sopravvivenza dipendeva principalmente dalla foresta e dal miele, come detto, gli Ogiek hanno sviluppato una profonda conoscenza del loro ambiente, soprattutto delle api. Sanno molto ben che le api non sono tutte uguali, ne esistono di diverse specie, e che all’interno di queste diverse specie, le api hanno una diversa morfologia in base al loro ruolo specifico nella loro colonia. Gli Ogiek hanno familiarità con 4 tipi di ape: sɛg ɛmiát è l'ape domestica comune (Apis mellifera); kɔsɔmɪàt, è un'ape terricola, che fa i suoi alveari in buchi nel terreno, ed è definita dagli Ogiek come «ape selvatica» perché impossibile da addomesticare. Tuttavia, è molto ricercata dalla popolazione locale, perché produce un miele che è

molto più liquido e dolce di quello comune, che viene usato come medicina; l'ape sɔmɔseriet, «ape rossa», oltre a essere molto aggressiva , non produce un miele di qualità; infine, l'ape denominata «ape nera» ʧéptìɣige, non è aggressiva e produce un miele dal gusto molto buono (Micheli, 2013, pp.65- 66). Il popolo Ogiek possiede anche una grande conoscenza del ciclo annuale delle attività delle api, che gli permette di organizzare al meglio i lavori di apicoltura: gennaio-febbraio sono i mesi in cui le api migrano nelle aree di fredde, gli altipiani. In questo periodo, che segue la stagione delle piogge, gli altipiani sono in fiore, ed è proprio in queste zone che avvengono gli accoppiamenti; il periodo che va dalla fine di gennaio ai primi di marzo è il più ricco per la raccolta di miele; tra fine marzo ed aprile, le api cercano luoghi più caldi e temperati, e così iniziano la migrazione verso le pianure; da aprile a luglio è, per così dire, un periodo di «magra», infatti il clima è troppo freddo per le api e non ci sono fioriture; da luglio a settembre la regina depone le uova; settembre-novembre è il periodo più intenso in cui le api operaie producono il miele (Micheli, 2013, p.69). Il mio avviamento al mondo dell’apicoltura e del miele fra gli Ogiek avvenne un giorno di fine luglio, a Borowo, che avevo già visitato precedentemente, per partecipare alla messa domenicale. Era una mattina soleggiata e abbastanza piacevole. Il giorno precedente c’erano stati tre brutti temporali che avevano reso strade e sentieri quasi impraticabili, fango e pozzanghere ovunque. Con le mie guide, ma dovrei dire con i miei amici John e Panama, in sella alla nostra rossa fiammante HaoJin HJ150, una moto di fabbricazione cinese molto di moda nella zona, in cui viaggiavamo sempre in tre (a volte anche in quattro), raggiungemmo con grande fatica un piccolo bosco nel cuore di Borowo. Ci addentrammo nella boscaglia a piedi, accompagnati da qualche bambino curioso che aveva notato la mia presenza, per vedere gli alveari tradizionali e gli alveari moderni e per assistere ad una piccola lezione che il buon John mi avrebbe fatto. Mi disse che gli Ogiek, attualmente utilizzano tre tipi di alveare, due moderni e uno tradizionale. Il Langstroth (fig.31) è un’arnia a pannelli o cornici mobili, fatta in legno ma soprattutto in plastica a forma di casetta, che può avere varie misure, fornisce una produzione di circa 40 kg all’anno; l’alveare Top bar è fatto con una cassetta rettangolare in legno o plastica molto allungata, ha una produzione annuale di miele di

circa 25-30 kg. C’è poi il tipico e tradizionale log-hive, l’alveare fatto con il tronco, in lingua Ogiek è chiamato mùingét. Le sue dimensioni sono variabili, la lunghezza non supera mai i 150 centimetri, mentre il diametro varia dai 35 ai 55 centimetri, ed è di solito posizionato su alberi moto alti all’interno della foresta, ad una altezza di circa 8-10 metri, ma come mi diceva John, in alcuni casi anche a 15 metri dal suolo. Ha una produzione media molto buona che si aggira intorno ai 20 kg. Il log-hive viene costruito con un tronco di un albero molto resistente, solitamente il cedro e viene modellato e intagliato con un’ascia. Il tronco viene tagliato nella misura giusta e diviso in due parti, le quali vengono svuotate e modellate con ascia e scalpello. Una volta levigata anche la parte esterna e lasciati i due gusci a riposo per alcuni giorni, il costruttore deve forare il legno dei gusci sui lati, per creare una serie di fori in cui passeranno piccoli cavi in fibra vegetale, oggi in plastica, attraverso i quali i due gusci vengono uniti a formare la tipica forma a tronco. Inoltre, i buchi sul legno che chiudono la struttura lateralmente, servono come accesso alle api all’alveare. Infine, nella parte inferiore del log-hive viene fatta una fessura rettangolare della lunghezza di 20-25 cm e della larghezza di 8-10 cm, che serve a facilitare l’operazione di raccolta del miele e che veniva chiuso con fibre vegetali (fig.32-33). Secondo John e Panama in molti casi l’alveare tradizionale produce un miele molto più buono e qualitativo rispetto a quelli moderni, per il fatto che l’ambiente interno del log-hive è decisamente più temperato e caldo di quello che può essere un Top Bar o un Langstroth. Ma soprattutto la vera differenza, continua Panama, la fa l’altezza: le api preferiscono nidificare in cima agli al alberi perché possono sentire meglio gli odori e spingersi in prati più lontano, vari e diversi. Tuttavia, l'alveare tradizionale, almeno da un decennio, è stato affiancato in maniera sempre più frequente da quelli moderni, ma solo per una questione pratica, per non dover scalare gli alberi, operazione assai pericolosa, e permettere anche ai ragazzi più giovani e alle donne di praticare l’apicoltura. Alcuni mesi dopo la collocazione del nuovo alveare, che possono variare dei 2 ai 4, il proprietario dell’alveare inizia a controllare se uno sciame di api lo ha colonizzato. Se questo è avvenuto, egli sa che alcune settimane dopo la fioritura sarà possibile cominciare la raccolta del miele. La raccolta tradizionale del miele avveniva nei periodi di

settembre-ottobre e di gennaio-febbraio. L’apicoltore indossava un lungo mantello in pelle, che proteggeva la testa, il viso e la maggior parte del corpo. A tracolla portava una borsa in pelle di antilope, possibilmente maschio, in cui c’era un gomitolo intrecciato di fibre vegetali, al cui interno c’erano piccoli pezzetti di legno di cedro che erano stati fatti precedentemente bruciare, attraverso la tecnica dello sfregamento di due legnetti e l’aiuto di un coltello, e dal quale usciva il fumo utile a scacciare le api e raccogliere il miele (fig.34-35-36-37). Una volta raggiunto l’alveare posto in alto sull’albero (fig.38), l’apicoltore controllava se il miele era maturo, mettendo il braccio all’interno della fessura sottostante il log-hive, e se era pronto lo metteva nella borsa in pelle. Una volta calato lo metteva in alcuni contenitori in legno che venivano consegnati alle donne per essere portato al villaggio, oppure trasportato all’interno della foresta dove gli anziani lo avrebbero conservato (Micheli, 2013, pp.73-74).