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Le foreste e i cambiamenti climatici sono strettamente connessi. Infatti, a causa del riscaldamento globale, dei sempre più frequenti eventi estremi e dall’irregolarità delle piogge, il cambiamento climatico sta già avendo un grave impatto sulle foreste. Ad esempio, l’aumento delle temperature dovuto all’incremento dell’effetto serra, potrebbe sconvolgere e alterare il paesaggio forestale del nostro pianeta. In particolare, le specie arboree e vegetali dipendono ampiamente dalla quantità delle precipitazioni e dall’andamento delle temperature e, visto che i cambiamenti climatici hanno modificato e stanno continuando a modificare entrambi questi fenomeni, è assai probabile, che in un futuro ormai prossimo, la distribuzione di diverse specie arboree subirà un consistente riassetto: il riscaldamento globale, infatti, provocherà uno spostamento di molte varietà di piante e alberi verso latitudini ed altitudini maggiori. “Non tutte le specie arboree reagiranno spostandosi” riporta uno studio della FAO (Food and Agriculture Organization of the United Nations), “Alcune potrebbero avere una maggiore capacità di adattamento alle nuove condizioni climatiche e continuare ad avere pressappoco la loro attuale distribuzione” (FAO, 27 marzo 2006). Ma per altre specie, invece, gli effetti provocati dal cambiamento climatico, potrebbero non essere sostenibili, poiché superiori alle loro capacità di adattamento e, quindi, provocarne l’estinzione, soprattutto nei più fragili contesti tropicali. Fra le conseguenze del cambio climatico, l’aumento degli eventi climatici estremi, è senza dubbio uno dei più pericolosi per la sopravvivenza delle foreste. Ad esempio, fenomeni estremi come alluvioni o uragani possono modificare il percorso e l’esistenza stessa di fiumi e corsi d’acqua da cui gli alberi dipendono per la

loro sopravvivenza. Inoltre, i cambiamenti climatici potrebbero causare una invasione di specie arboree non autoctone e dannose per gli ecosistemi forestali maggiormente in difficoltà, nonché, favorire più facilmente un’aggressione da parte di insetti, che condurrebbe ad effetti davvero devastanti. L’aumento delle temperature e l’alterazione delle direzioni dei venti, provocate dal mutamento del clima, stanno intensificando la forza e la frequenza degli incendi boschivi che contribuiscono ad espandere le aree soggette a gravi e persistenti siccità (FAO, 27 marzo 2006). Le foreste coprono una superficie di circa 3.870 milioni di ettari, pari al 31% di tutte le terre emerse. Esse sono fondamentali per la protezione e il sostentamento dell’80% della biodiversità del pianeta, in quanto offrono una moltitudine di ecosistemi per animali, piante e microrganismi (Riccardo Valentini, 9 febbraio 2011, sito protectaweb.it11). Le foreste giocano, anche, un ruolo

fondamentale nella vita economica, sociale e culturale di molte comunità indigene in tutto il mondo. Basti pensare che ben 1,6 miliardi di persone dipendono dalla molteplicità di beni e servizi offerti dagli habitat forestali e che questi, forniscono abitazioni a oltre 300 milioni di persone nel mondo. Allo stesso tempo, a livello mondiale, le foreste forniscono posti di lavoro a centinaia di milioni di persone e il commercio dei prodotti forestali è stato valutato attorno ai 400 miliardi di dollari, ed è tuttora in espansione (WWF, 2015). Abbiamo detto che proteggere e valorizzare le foreste è un imperativo, in quanto offrono un fondamentale servizio ambientale per mitigare gli effetti del cambiamento climatico. Come si è visto, l’anidride carbonica è il principale gas serra prodotto dalle attività umane e, quindi, il maggiore responsabile del contributo antropogenico al riscaldamento globale. Per mezzo della fotosintesi clorofilliana, le piante hanno la preziosa capacità di assorbire CO2 dall’atmosfera e rilasciare ossigeno, contribuendo

in maniera fondamentale all’equilibrio dei gas che vanno a formare la nostra atmosfera (fig.10) (Carraro, Mazzai, 2015, p.141). Però, al contrario, la distruzione delle foreste a causa della selvaggia deforestazione rappresenta, a livello globale, circa un quinto delle emissioni di anidride carbonica totale. Si pensi che le emissioni derivanti dalla deforestazione sono seconde solo a

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quelle del settore energetico, e che superano quello dei trasporti nel contributo al riscaldamento globale. Negli ultimi 8.000 anni, abbiamo perso circa il 45% della copertura forestale originaria, fenomeno che si è intensificato negli ultimi ottant’anni, soprattutto a partire dagli anni Settanta. Nel tempo, la deforestazione si è presentata sotto diverse forme, fra cui incendi e disboscamento per fini agricoli, allevamento, sviluppo, urbanizzazione, mercato del legname (Carraro, Mazzai, 2015, p.143). La distruzione delle foreste (ne perdiamo 13 milioni di ettari ogni anno) provoca notevoli variazioni al regime meteo-climatico regionale e globale (come siccità sempre più prolungate, frequenti e gravi, piogge imprevedibili e irregolari che generano alluvioni) ed, inoltre comporta un aumento degli stress e delle pressioni sulle risorse che posso sfociare in conflitti intertribali per il possesso delle stesse. Per questi motivi, una buona gestione forestale è di fondamentale importanza per contrastare il cambiamento climatico. Ridurre la deforestazione e incentivare le attività di riforestazione rappresentano, attualmente, le due principali soluzioni per aumentare la capacità di assorbimento di anidride carbonica e contribuire in maniera decisiva alle politiche di mitigazione. Inoltre, gestire in modo corretto le foreste, consentirebbe di utilizzarle per reperire combustibili alternativi alle fonti fossili e materie prime naturali in sostituzione di tutti quei materiali che provocano enormi quantità di emissioni per la loro produzione (Carraro, Mazzai, 2015, p.141). Nel terzo volume del suo Quinto Rapporto di Valutazione, l’IPCC ha inserito la riforestazione tra le più importanti tecnologie per rimuovere l’anidride carbonica dalla nostra atmosfera. Tuttavia, la riforestazione è avvenuta principalmente piantando specie dotate di maggiore valore commerciale come le conifere (aumentate di 633.000 chilometri quadrati, ne sono un esempio il pino silvestre, l’abete rosso e il faggio) a discapito delle latifoglie, la cui copertura è diminuita di ben 436.000 chilometri. Questa conversione di specie vegetali ha avuto degli impatti negativi: si è accumulato un debito di carbonio che ha creato uno sbilanciamento fra le emissioni e l'assorbimento di CO2, c'è stata

l'alterazione dei flussi di energia e di acqua fra il suolo e l'atmosfera in diverse aree, è accresciuta l'escursione termica soprattutto nelle ore diurne, è stato riscontrato un aumento delle temperature medie, in particolare nelle

zone più aride. In sostanza, secondo i risultati di questi due studi, nonostante un complessivo incremento della copertura forestale per mezzo di campagne di riforestazione, la gestione umana tecnocratica e lucrativa delle foreste sta contribuendo ad accentuare il riscaldamento globale del clima invece di mitigarlo. Vedremo più avanti che, invece, la riscoperta dei saperi tradizionali delle popolazioni indigene e la gestione nativa delle foreste possono essere prese d’esempio come modello virtuoso di lotta al cambiamento climatico. Per quanto riguarda le politiche in campo forestale, nel 2013, durante la COP 19 di Varsavia, si è raggiunto per la prima volta un accordo a livello internazionale, che mira a ridurre le emissioni causate dalla deforestazione e dal degrado forestale e, contemporaneamente, dando un valore finanziario al carbonio intrappolato nelle foreste. Questo accordo ha condotto alla fondazione del Warsaw Framework for REDD+, un meccanismo formale con l’obiettivo di stabilire principi di riferimento, progettare azioni adeguate volte alla mitigazione e creare sistemi di finanziamento improntati sulle effettive performance di ciascun Paese in campo forestale. L’idea di base che ha portato allo sviluppo e alla realizzazione del progetto REDD+ è quella di attribuire un valore di tipo economico alle foreste e al carbonio che hanno immagazzinato e, inoltre, incentivare i Paesi in via di sviluppo ad investire risorse per lo sviluppo sostenibile. E’ proprio per questo motivo che le economie maggiormente sviluppate (come ad esempio Stati Uniti, Norvegia e Regno Unito che assieme hanno investito un totale di 280 milioni di dollari) finanziano i Paesi emergenti, nei quali territori sono presenti la maggior parte delle principali foreste intatte del pianeta, per il servizio ambientale di mitigazione che queste, se adeguatamente tutelate, sono in grado di fornire attraverso l’assorbimento e lo stoccaggio di CO2 dall’atmosfera. Dagli inizi

del XXI secolo, quando è prepotentemente emerso il tema foreste e deforestazione, è maturata progressivamente la consapevolezza, che queste non siano solo uno strumento per assorbire anidride carbonica e quindi mitigare gli effetti del cambiamento climatico, ma che siano piuttosto un sistema complesso, ricco di processi e aspetti ambientali, sociali, culturali, politici ed economici (Carraro, Mazzai, 2015, pp.142-144).