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Apollinaire e l’avanguardia

Nel documento Giorgio de Chirico la vita e l'opera (pagine 68-76)

L’enigma di un pomeriggio d’autunno

11. Apollinaire e l’avanguardia

Il rapporto tra Giorgio de Chirico e Guillaume Apollinaire,1 ben noto e

documentato sia dai ricordi dello scrittore, vate delle avanguardie parigine, sia dell’artista e di suo fratello Savinio, è stato spesso visto come uno stimolo profondo ma generico, come una prova di fatto, oggettiva, dell’inserimento di de Chirico nel milieu culturale delle avanguardie francesi. Ciò è certa- mente vero, ma è solo un dato parziale: il loro legame intellettuale fu invece estremamente produttivo, soprattutto per de Chirico. Egli trasse dal mondo poetico di Apollinaire una gamma molto vasta di suggestioni e di immagini, nonché lo stimolo per una sostanziale, ulteriore evoluzione del linguaggio stesso della sua pittura. Non abbiamo dati certi sull’inizio del loro rappor- to, che può oscillare tra l’inverno 1912-1913, successivamente alla prima

esposizione dei dipinti di de Chirico a Parigi2 (Salon d’Automne, ottobre

1912), fino all’incontro più che certo nel suo studio in rue Notre-Dame-des- Champs, dove aveva organizzato una presentazione di circa trenta dipinti nell’ottobre 1913, della quale Apollinaire fece una recensione estremamente positiva. I rapporti tra i due artisti dovettero verosimilmente stringersi verso la metà del 1913; tuttavia è evidente che, seppur uno o più incontri infor- mali tra i due possano essere avvenuti già nel 1912, un maggiore interesse di Apollinaire per de Chirico si sviluppò solo nell’autunno dell’anno seguente, epoca in cui pubblicò due recensioni sul pittore, mentre tralasciò comple- tamente di menzionare la partecipazione dell’artista (con ben tre opere) al Salon des Indépendants nella primavera 1913. Al gennaio del 1914 risale

anche, a riprova di ciò, l’inizio del rapporto epistolare tra i due,3 in un primo

tempo ancora sussiegoso ma non privo d’intimità, per evolvere rapidamente in una confidenza più amichevole.

Alle pagine seguenti:

Le voyage émouvant, fine 1913,

The Museum of Modern Art, New York.

1910-1911 sono ancora composte con un sistema prospettico tradizionale, fondamentalmente frontale, ma già sotterraneamente forzato da un punto di vista laterale; le aperture architettoniche, le arcate, pur apparendo a prima vista sottoposte a una prospettiva centrale, hanno il loro punto di fuga in una zona marcatamente laterale, creando un sottile squilibrio, una discrasia nella percezione, che attribuisce alle composizioni il senso di allarme e di estraneità rispetto a una visione tradizionale. Già a quell’epoca de Chirico aveva evidentemente riflettuto su come, al di là delle immagini e delle icono- grafie, suggerire il senso di un mondo inquietante, in cui la superficie delle cose apparentemente conosciute, perfino velate dalla rassicurante radice del classicismo, potesse suggerire un mistero indecifrabile. Forse indotto dalle

osservazioni di Soffici sulla pittura dei primitivi,13 aveva elaborato un siste-

ma prospettico diacronico, che alla rassicurazione della centralità e addirit- tura (nei primi dipinti fiorentini) di frontalità, associasse la nota “stonata”, stonante, di un punto di vista eccentrico e apparentemente incompatibile.

Se questo sistema all’inizio operava per scarti a prima vista poco leggibili razionalmente, addirittura “sottotraccia”, ma tuttavia evidenti alla percezio- ne psicologica, nei dipinti del 1912 si amplia a scene dalla spazialità ulterior- mente forzata da più marcate e allarmanti incongruità prospettiche, molti- plicando i punti di fuga e disponendoli in zone diverse, ad altezze diverse, accentuando così il senso di percezione sfasata, ubriaca, di un mondo di cui ci sembra di perdere le coordinate pur riconoscendolo iconograficamente grazie ai riferimenti a luoghi della memoria.

Nei dipinti del 1913 de Chirico spinge ancora più oltre, con maggiore parossismo, questo espediente tecnico, inventando prospettive sempre più spericolate e precipiti, rendendo sempre più evidente e spiazzante la defla- grazione del sistema prospettico, che per sua natura dovrebbe rendere plau- sibile la rappresentazione del mondo, e che invece, col suo uso apertamente incoerente e discrasico, lo rende sempre più evidentemente irreale, vicino alle immagini di un sogno. Le scene sono rivolte a far emergere dall’interno della psiche nodi associativi che suggeriscano in maniera progressivamente più esplicita l’equivalente dello spaesamento visionario, della “rivelazione” nietzschiana e schopenhaueriana.

Questo rapporto dialettico con la realtà, con il mondo (pur deformato da prospettive incoerenti), nel corso del 1914 si modifica ancora notevolmen- te: i luoghi divengono sempre meno riconoscibili, si trasformano in “non- luoghi”, privi di riferimenti esteriori, enfatizzati da prospettive e spazialità sempre più distorte. De Chirico evolve ulteriormente la sua visione e modifi- ca anche lo stile; la pittura si fa più antinaturalistica nei colori e nelle forme: è l’epoca dell’amicizia con Apollinaire.

giorgiodeChiriCo. lavitael’opera

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La conquête du philosophe, prima metà del 1914,

Chicago Art Institute, Chicago.

Tra la fine del 1913 e l’inizio del 1914, parallelamente all’intensificarsi del rapporto con Apollinaire, de Chirico ha dunque un’evoluzione significativa, anche stilistica. Egli supera ogni allusione a luoghi esistenti (le Piazze d’Ita- lia), così densi di riferimenti alla sua memoria giovanile, nella costruzione di spazi concitati, che perdono definitivamente qualsiasi legame con la realtà nel periodo finale dell’esperienza parigina (1914-1915).

In tal modo gli spazi dei quadri dechirichiani assumono, dopo l’incontro con le idee di Apollinaire, prospettive sempre più vertiginose, e l’ambienta- zione diviene decisamente innaturale: gli elementi architettonici perdono il valore di riferimento della memoria, per disporsi in insiemi spaziali concitati quanto privi di connotati particolari. Gli spazi e i contesti che vanno crean- dosi sono sempre più vicini a quelli irrazionali dei sogni, in un percorso che era già iniziato con la Metafisica fiorentina, ma che ora va approfondendosi in iconografie sempre più complesse e articolate. In questo senso va let- ta e valutata la profonda influenza di Apollinaire sullo stile di de Chirico, parallela allo svilupparsi del loro rapporto. Anche il tema celeberrimo del “manichino” ha origine dalla letteratura di Apollinaire, come profonda in- fluenza rivestì l’onirocritique, cioè il metodo del sogno innestato alla poesia praticato dal poeta, “trionfo della falsità, dell’errore, dell’immaginazione”, “niente che ci rassomigli e tutto a nostra immagine”: sogno e automatismo psicologico come motivi e motori di uno stile poetico nuovo, collegato da de Chirico ai suoi precedenti riferimenti (Nietzsche, Schopenhauer, Eraclito,

Papini ecc.), che costituirà uno dei punti di partenza del surrealismo4 (che,

ricordiamo, è parola coniata da Apollinaire).

In questo periodo occorre anche collocare, secondo la preziosa (e finora inspiegabilmente ignorata) testimonianza dell’amico Castelfranco, l’appro- fondimento di Weininger: notizia che egli ha sicuramente desunta già intor- no al 1919 da una testimonianza diretta del pittore.

De Chirico aveva già dato le sue “piazze d’Italia” e le sue prime compenetra- zioni spaziali, come La Partenza, quando leggeva nell’opera postuma di Otto Weininger, Intorno alle cose supreme, il breve e illuminante capitolo “Metafi- sica – Idea di un simbolista universale”, proposta di ricerca del significato di ogni singolo nella totalità. “Ai fenomeni psichici – scrive Weininger – appartie- ne una realtà maggiore che ai fenomeni fisici”; la realtà fisica va esplorata sul metro della nostra psiche; ogni concetto psichico nostro è via di collegamento, di scoperta di analogie reali fra cose […] Per dare un esempio, quanto mai suggestivo a proposito di de Chirico: “la calma meridiana, nella quale tutti i suoni si perdono è il lato inquietante dell’apparente perfezione, dell’assenza di desiderio, della apparente soddisfazione. Al lato inquietante del meriggio (Pan) corrisponde forse il timore della totale chiaroveggenza intellettuale, della solu-

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zione di tutti i problemi…” Dall’opuscolo di Weininger de Chirico trae, insom- ma, intorno al 1914, oltre all’uso di questo nuovo senso del termine “metafisi- co”, una convalida della sua fantasia, mezzi mentali di definizione e in un certo senso nuovi impulsi.5

In realtà, come abbiamo visto, l’uso del termine “metafisico” era già cor- rente tra de Chirico e Apollinaire (e ovviamente all’interno del loro milieu) almeno dall’ottobre 1913, sicché va considerato che probabilmente l’appro- fondimento di Weininger da parte di de Chirico risalga alla metà circa del 1913, e l’apertura “psichica” che questo approfondimento gli offre lo mette certamente in ancor maggiore sintonia con le analoghe ricerche oniriche e inconsce, “automatiche” di Apollinaire.

È l’epoca dei quadri innovativi e stupefacenti dipinti prevalentemente nella prima metà del 1914, come La conquête du philosophe, L’énigme de la fatalité, La sérénité du savant, La joie du retour, Le revenant (Le cerveau de l’enfant), Le temple fatal, Le chant d’amour, dove gli oggetti dilagano, monu- mentali, in spazi incomprensibili e serrati, dove anche i formati dei dipinti possono deformarsi in inconsueti triangoli o trapezi, completamente alieni rispetto ai canoni della storia dell’arte. Anche le rappresentazioni di Piazze d’Italia, quando ancora compaiono, sono scosse da un terremoto interiore e onirico più profondo e minaccioso: L’énigme d’une journée I, Mystère et mélancolie d’une rue, Nature morte. Turin printanière, Le jour de fête.

Sembra quasi inutile cercare significati iconologici in dipinti che rinne- gano qualsiasi nesso logico. I nessi sono ormai solo psichici: ritroviamo sì i topoi dell’immaginario dechirichiano, ma essi sono contraddetti e messi in crisi da contesti intenzionalmente spiazzanti, a somiglianza di ciò che accade nei sogni più intimi e misteriosi, che ci lasciano al risveglio angosciati e inca- paci di comprenderne il senso.

L’énigme de la fatalité, prima metà del 1914,

La joie du retour, prima metà del 1914,

collezione privata. Alla pagina a fronte:

La sérénité du savant, prima metà del 1914,

Le temple fatal, prima metà del 1914,

The Philadelphia Museum of Art, Philadelphia.

Le revenant (Le cerveau de l’enfant), prima metà del 1914,

Mystère et mélancolie d’une rue, prima metà del 1914,

collezione privata.

L’énigme d’une journée I, prima metà del 1914,

Le jour de fête, prima metà del 1914,

collezione privata.

Nature morte. Turin printanière, prima metà del 1914,

12. Il Ritratto di Guillaume Apollinaire

Nel documento Giorgio de Chirico la vita e l'opera (pagine 68-76)