• Non ci sono risultati.

La prima Metafisica ferrarese

Nel documento Giorgio de Chirico la vita e l'opera (pagine 88-100)

L’enigma di un pomeriggio d’autunno

14. La prima Metafisica ferrarese

Quando l’Italia entra in guerra, nel maggio 1915, de Chirico e il fratello sono richiamati in Italia. Apollinaire era già a sua volta partito militare a metà del 1914. De Chirico affida al suo mercante Guillaume alcune delle sue opere parigine (altre gliene farà in seguito consegnare dalla madre, mentre era già

in Italia,1 altre saranno in seguito – nel dopoguerra – ritirate dall’amico poeta

Ungaretti su sua richiesta), e abbandona Parigi. Inizialmente i fratelli sono destinati al distretto militare di Firenze, città nella quale avevano registrato la cittadinanza italiana, poi vengono trasferiti a Ferrara, nel giugno. L’inter- ruzione del fecondo periodo parigino e l’iniziale difficoltà di dipingere sotto le armi generano in de Chirico un periodo di smarrimento, di incertezza. L’artista tuttavia viene incardinato come “scritturale”, e questo gli dà di fatto la possibilità di ricominciare a dipingere, soprattutto a partire dall’autunno 1915, dopo un periodo di assestamento. Per de Chirico inizia un nuovo ciclo creativo: in contatto, grazie a Guillaume, con Tzara e il dadaismo zurighese, invia disegni e foto delle sue opere alle riviste dadaiste (“291”, “Dada II”). Rimane in contatto con Soffici, con Apollinaire, col suo mercante parigino Guillaume; incontra nuovi amici ferraresi: Filippo de Pisis, il poeta Corrado Govoni; tramite Soffici inizia un rapporto diretto con Papini. Il rapporto con Guillaume, dicevamo, è molto intenso: evidentemente l’artista sperava di tor- nare presto, a guerra conclusa, a Parigi, e intrattiene un epistolario con punte

di toccante amicizia e confidenza con l’amico mercante,2 cui continua a in-

viare quadri ottemperando per quanto può al contratto stabilito in Francia. I quadri dipinti nella seconda metà del 1915 a Ferrara oscillano tra diverse riflessioni: ritratti, come quello dell’amico commilitone Carlo Cirelli (dell’ot- tobre), che si collocano nella scia dei ritratti parigini come quello di Mme Gartzen; una Natura morta decisamente eccentrica, un unicum, dall’aspetto naturalistico ma esposto a una luce elettrica innaturale, dove la materia ve- getale sembra trasformata in pietra dura; e infine scene che derivano sì dalla metafisica “apollinairiana” dell’ultimo periodo parigino, ma come “zoomate”, incardinate sui particolari che rendono la scena se possibile ancor più claustro- fobica, in cui i primi piani prendono campo sugli sfondi. Al culmine delle so-

Portrait de Paul Guillaume, prima metà del 1915,

Musée de Grenoble, Grenoble.

Ritratto di Carlo Cirelli, ottobre 1915,

Natura morta, autunno 1915,

collezione privata. Alla pagina a fronte:

Les jouets du prince, autunno 1915,

giorgiodeChiriCo. lavitael’opera

180

Les projets de la jeune fille, inverno 1915,

The Museum of Modern Art, New York.

lite prospettive precipiti derivate dall’immagine dei tavolati delle navi (pacco- botti) o di una scena teatrale, cominciano a emergere edifici ferraresi (facciate di chiese rinascimentali, scorci del castello ducale), che vanno a sostituirsi alle architetture delle passate Piazze d’Italia, rinnovandone il senso di melanconica lontananza, di spiazzante nostalgia architettonica. Ma anche gli oggetti inizia- no a presentare modifiche essenziali: gli oggetti parigini, per lo più indefinibi- li e misteriosi, vanno trasformandosi in comuni rocchetti, biscotti, scatole di cartone colorato. Les projets de la jeune fille ricalca, rinnovandolo, il tema di Le chant d’amour: ma il guanto di gomma arancione è ora un guanto di pelle dall’aspetto più familiare, l’architettura dalle arcate misteriose si è trasmutata nel castello estense, la sfera rossa e assoluta si è trasformata in rocchetti di filo cilindrici; l’effetto non è meno spiazzante, ma gli elementi sono tratti da un’imagérie diversa, che fa riferimento alle vuote strade della capitale esten- se, alle vetrine ricolme di oggetti semplici e affastellati, depositati in negozi sonnolenti in attesa di qualcuno che gli dia uno scopo (come nel “guanto” di Klinger, una delle matrici della sua ispirazione metafisica). Sembra insomma che de Chirico cerchi di riannodare i fili della sua ispirazione, con occhi nuo- vi, di inserire nella sua particolare “mitologia” i nuovi segni che Ferrara gli suggerisce. Vetrine di provincia con oggetti disordinati, dimenticati forse da generazioni, quasi vetrine di una Wunderkammer dove si annidano stranezze di mondi lontani, oggetti il cui uso è stato apparentemente dimenticato e sem- bra appartenere ad altre, remote culture. In questo contesto si inserisce l’acuto interesse per il ghetto ebraico di Ferrara, dove questi elementi erano enfatizzati da un senso persino maggiore di staticità, di atemporalità. Chi abbia avuto una consuetudine con la Grecia, ancora alla fine del secolo scorso, troverà queste immagini di oggetti polverosi accumulati in una vetrina di una familiarità estre- ma. De Chirico dovette vedervi e riconoscervi, in contrasto con la brillantezza delle vetrine di Parigi, una straniante analogia con le sue impressioni elleniche infantili; il carattere mercantile e balcanico della Grecia doveva avere molti lati simili al carattere mercantile e a un tempo cosmopolita e conservatore delle botteghe del ghetto: “Quello che mi colpì soprattutto e m’ispirò nel lato meta- fisico nel quale lavoravo allora, erano certi aspetti d’interni ferraresi, certe ve- trine, certe botteghe, certe abitazioni, certi quartieri, come l’antico ghetto, ove si trovavano dei dolci e dei biscotti dalle forme oltremodo metafisiche e strane.

A tale periodo appartengono i quadri detti ‘interni metafisici’.”3 Ma partendo

da questo stimolo de Chirico, che fin dalle incursioni nella Biblioteca Nazio- nale di Firenze si interessava profondamente di culture “altre”, mediorientali,

orientali, storiche, religiose,4 scopre un fascino analogico tra la visione ebraica

e le sue personali ricerche. Ma a mio parere, non è, come è stato interpretato

giorgiodeChiriCo. lavitael’opera 14. laprimametafisiCaferrarese

182 183

Estremamente significativo quest’ultimo dato, che viene elaborato in dia- lettica con Soffici, uscito l’anno precedente dal futurismo ma ancora impli- cato nei risvolti di quell’estetica; nonostante ciò questa riflessione di “italia- nità” lo coinvolge sinceramente, e a partire dal 1916 si cominciano a vedere, negli affastellamenti di oggetti geometrici (squadre, righe da architetto, go-

niometri, strumenti curvilinei),11 riflessi delle composizioni “meccaniche”

futuriste, come aveva giustamente segnalato Calvesi.12 Ma certo nelle recenti

composizioni geometriche e serrate, si coglie anche un riferimento alla co-

pertina del libro di Soffici B

ї

f§zf+18. Simultaneità. Chimismi lirici, che de

Chirico vede in una libreria di Ferrara nel gennaio 1916 e compra e sfoglia costantemente, come non cessa di ricordare nelle lettere allo stesso Soffici.

Il rapporto con Soffici si consolida velocemente, al punto che questi sug- gerisce di organizzare a Firenze una mostra assieme a de Chirico e al suo intimo amico Carrà, le cui ultime opere ancora de Chirico non conosce.

I dipinti del 1916 vanno chiudendo l’apertura spaziale elaborata nell’anno precedente disponendo, in spazi astratti e paradossalmente privi di elementi architettonici, oggetti di studio (quelli che vedeva intorno a sé negli uffici militari), elementi meccanici inspiegabili, biscotti e dolci ferraresi, la cui de-

Ardengo Soffici Bїf§zf+18. Simultaneità. Chimismi lirici, 1915, copertina.

co”, bensì più complesso: comparativo, strutturale, culturale, filologico. Ce lo suggerisce non solo la gamma delle sue letture note, quelle fiorentine intorno al 1910, nelle quali già rientrava pure un preciso interesse per la religione ebraica, ma anche quella altrimenti nota del Reinach, non archeologo ma storico delle

religioni.6 Nell’interpretazione di Reinach l’ebraismo è, assieme al paganesimo

greco, la religione fondante della civiltà occidentale, e dunque in questo senso de Chirico la legge sotto un aspetto “primitivo”, asciutto, icastico, originario, che coincide, tanto quanto la visione pagana, con l’essenza semplificativa della sua visione avanguardistica, fondata sulla figura divinatoria dell’oracolo, che crea il corto circuito tra sovrumano e umano, come i profeti ebraici lo crea- no tra divino e umano. L’ange juif, Natura morta evangelica I, ma soprattutto Le rêve de Tobie sono i paradigmi di questa idea: nel Rêve de Tobie l’unione tra

il dio Mercurio – (la colonnina del termometro) “dio dei misteri”7 – e l’angelo

biblico di Tobia, che ridà la visione all’uomo, crea la saldatura tra le due visioni primigenie e fondative. Un mondo primitivo e ancestrale che, in maniera ana- loga quanto personale, Carrà interpreterà come equivalenza con il primitivi-

smo “negro”, massima semplificazione formale e concettuale.8

Le dimensioni dei quadri ferraresi sono inizialmente, tra 1915 e 1916, molto piccole, indice della difficoltà a dipingere nella nuova e inedita situazione, e questo favorisce evidentemente le prospettive ravvicinate, la lenticolarità della rappresentazione degli oggetti, l’osservazione ravvicinata dei dettagli.

Nascono anche nuove meditazioni sull’arte del suo tempo, e di conseguen- za nuovi accenti compaiono nei suoi dipinti. De Chirico sembra distaccar- si con qualche polemica dall’ambiente parigino, dopo aver avuto nel 1913 un significativo quanto transeunte e veloce avvicinamento sperimentale con quelle specifiche esperienze artistiche (alludiamo al momentaneo echeggiare gli stilemi picassiani, matissiani ecc.). Scrivendo a Guillaume, infatti, critica la sua scelta di sostenere Amedeo Modigliani e Maurice Utrillo, commenta con sufficienza le riprese di Francis Picabia dalle sue opere, salva il “demoniaco”

Picasso ma critica aspramente “il suo stato maggiore di cretini idrocefali”9;

con Soffici, il 12 dicembre 1915, fa invece una riflessione più ampia e signi- ficativa: rivaluta i futuristi, cui fino ad allora non aveva mai guardato, che ritiene più originali e lirici dei francesi, compresi cubisti e fauves:

Io vorrei essere più unito a loro perché in loro trovo più bellezza, più fatalità e più avvenire che nelle altre creazioni moderne, compreso il cubismo; quest’ulti- mo anzi eminentemente francese, si basa sull’estetica; sulla parte saporita della pittura, sul “joli” dell’arte […] destinato a declinare. Naturalmente anche nel gruppo futurista italiano vi sono molte debolezze […] ma ciò non importa e io credo che tra di loro uno possa meglio mantenere la propria personalità che tra i cubisti ed i “Fauves” di Parigi.10

La nostalgie de l’ingénieur, prima metà del 1916,

Chrysler Museum of Art, Norfolk.

Composizione metafisica, primi mesi del 1916,

Le salut de l’ami lointain, metà del 1916,

collezione privata.

Le fidèle serviteur, metà del 1916,

La révolte du sage, metà del 1916,

Estorick Collection of Modern Italian Art, London.

Le doux après-midi, metà del 1916,

Interno metafisico con grande officina, estate 1916,

Staatsgalerie, Stuttgart. Alla pagina a fronte:

L’ange juif, estate 1916,

giorgiodeChiriCo. lavitael’opera

192

Natura morta evangelica I, settembre-dicembre 1916,

Osaka City Museum of Modern Art, Osaka.

contestualizzazione li fa sembrare reperti archeologici di ere passate dispo- sti in classificatori di laboratori scientifici, e infine carte militari di mondi bellici tracciati da percorsi navali. A questo proposito va rilevato come, dei quattro dipinti finora noti che contengono carte militari incastonate nella

composizione,13 ben due rappresentino l’Istria.14 Carrà ne riprese letteral-

mente il tema l’anno seguente, nel suo dipinto La musa metafisica. Questo dettaglio non solo colloca de Chirico in una convinta posizione di irredenti- smo militare, che voleva vedere l’Istria, culturalmente italiana, annessa allo stato nazionale, ma carica di una valenza politica e ideale le apparentemen- te ermetiche e spesso indecifrabili composizioni ferraresi (naturalmente le carte geografiche, negli altri casi non facilmente identificabili, rimangono

continue allusioni al viaggio e alla partenza).15 È una posizione perfettamen-

te compatibile con l’apprezzamento dei futuristi riferito, nel dicembre del 1915, a Soffici, perché unici artisti in cui si distingua “ancora questo spirito

giorgiodeChiriCo. lavitael’opera

194

La mélancolie du départ, settembre-dicembre 1916,

Tate, London. Interno di un sommergibile della prima guerra mondiale.

italiano espresso in politica da un Cavour e un Mazzini in guerra da un Ga-

ribaldi ed un ‘Gran Re’”.16

L’associazione con l’Istria ci permette altresì di datare con maggiore pre- cisione, all’interno del 1916, non solo i due dipinti che la rappresentano, ma l’intero gruppo con le carte geografiche, strettamente analogo dal punto di vista stilistico. Infatti nel 1916 era avvenuto un episodio che aveva profonda- mente commosso l’intera popolazione italiana, riportando bruscamente alla

ribalta la questione istriana. Nazario Sauro,17 irredentista istriano arruolato

nell’esercito italiano, aveva compiuto fin dall’inizio della guerra una serie di importanti azioni militari contro gli austriaci, ma durante l’ultima incursio- ne, partita a fine luglio, fu catturato col suo sommergibile, incagliatosi nel golfo del Quarnaro; identificato come istriano, fu processato per alto tradi- mento e impiccato il 10 agosto. La notizia arrivò in Italia solo il 28 agosto, e

fece un grande scalpore.18 L’esecuzione di quel gruppo di dipinti va dunque

contestualmente collocata alla fine dell’anno, nei mesi tra il settembre e il dicembre 1916, come allusione a tale episodio. E il coacervo di riquadri con oggetti, di squadre e segmenti tubolari, non è escluso che evochi l’affollato

intrico degli interni dei sommergibili della prima guerra.19

Cieli verde veronese di consistenza metallica e soffitti le cui travi si mime- tizzano con le squadre e le righe militari sono gli unici, radi accenni a spazi ancora comprensibili. In diversi dipinti di quest’epoca sventola una sottile bandiera: “il cuore mio sventola ‘spiegato come una bandiera’,” scrive de

Le corsaire, settembre-dicembre 1916,

The Albert C. Barnes Foundation, Philadelphia. Dall’alto in basso:

La politique, settembre-dicembre 1916,

collezione privata.

15. Dal sodalizio con Carrà

Nel documento Giorgio de Chirico la vita e l'opera (pagine 88-100)