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Il nuovo soggiorno parigino e il surrealismo

Nel documento Giorgio de Chirico la vita e l'opera (pagine 137-146)

L’enigma di un pomeriggio d’autunno

19. Il nuovo soggiorno parigino e il surrealismo

Tra la fine del 1924 e l’inizio del 1925 lo stile di de Chirico muta ancora una volta prospettive, in maniera radicale. All’arte senza tempo di “Valori Plastici”, all’elegia romantica, appartata e lontanante del periodo – imme- diatamente successivo – delle “ville romane”, egli sovrappone una ricerca che, con entusiasmo e decisione, vuole intervenire, dialogare in modo nuovo e attivo nel contemporaneo. I contatti con l’ambiente avanguardista e proto- surrealista parigino (che egli conosceva fin dagli anni dieci, dai tempi della

frequentazione con Apollinaire) e, in particolare, con Breton,1 favoriti dalla

comune venerazione per il poeta morto, incrementati dalla considerazione altissima e, in quel momento, incondizionata che i surrealisti gli tributava- no al momento del loro esordio, erano intensi e positivi, e si consolidano

durante un breve, ma proficuo soggiorno francese nel novembre 1924.2 De

Chirico collabora ai primi numeri della rivista “La Révolution surréaliste”, con scritti, disegni, fotografie delle nuove opere, che rivisitano la pittura metafisica in chiave del tutto originale, monumentalmente classica, in cui fa rivivere elementi della sua nativa cultura ellenica e mediterranea.

Per quanto, dopo la clamorosa rottura col movimento, de Chirico si sia dato da fare (e con lui il fratello Savinio) per differenziarsi teoricamente, poeticamente, filologicamente e fin polemicamente dal surrealismo, tuttavia non v’è dubbio che gli esordi del suo nuovo stile pittorico “parigino”, avve-

nuti già alla fine del 1924,3 siano da leggersi alla luce di quel rinnovato con-

tatto con le avanguardie parigine e con una sua precisa adesione iniziale al movimento di Breton. Non sembra da dubitare, infatti, nonostante la fatica che lo stesso artista fece in seguito per smentire questa tesi, che le sue idee non solo si rinnovarono con una veloce sterzata proprio in quella circostan- za, ma che esse coincidevano perfettamente in quel momento con quanto propugnato dagli adepti del neonato movimento.

Una serie di quadri ispirati iconograficamente ai manichini ferraresi, ag- giornati sulla nuova sensibilità “romantica” e sulla tecnica a tempera grassa

Autoritratto, inverno 1923-1924,

collezione privata.

Étude, seconda metà del 1924,

collezione privata.

Composizione, fine 1924,

L’automate, fine 1924-inizio 1925,

collezione privata. “La Révolution surréaliste”, copertina del n. 1, 1° dicembre 1924.

Foto di Man Ray del gruppo surrealista, pubblicata sulla copertina del n. 1 della “Révolution surréaliste” (dietro, da sinistra: Jacques Baron, Raymond Queneau, André Breton, Jacques-André Boiffard, Giorgio de Chirico, Roger Vitrac, Paul Éluard, Philippe Soupault, Robert Desnos, Louis Aragon; davanti: Pierre Naville, Simone Collinet-Breton, Max Morise, Marie-Louise Soupault).

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Il filosofo (Il ritornante), inizi del 1924,

collezione privata.

mettere in relazione al rapporto di de Chirico con Breton, iniziato nel 1921, che loda con passione i suoi dipinti metafisici. Non sono affatto copie, ma attualizzazioni con numerose varianti dei suoi temi, realizzati con un afflato pittorico nuovo, perfettamente in accordo con il periodo nostalgico delle “ville romane”. Alla prima metà del 1924 si devono collocare anche riprese

come Il filosofo eseguito per Gala Éluard,5 sempre a tempera, che riflette sul

Revenant (Le cerveau de l’enfant) del 1914, accentuando così la sintonia con i temi amati dai surrealisti.

Dopo il soggiorno parigino del novembre 1924, o forse già immediata- mente prima, de Chirico decide un nuovo salto tecnico e stilistico. Si tratta di una tecnica ad olio chiara e veloce, compendiaria come quella degli af- freschi pompeiani, che spesso lascia larghe parti della tela scoperte o col solo disegno. Una tecnica che non solo ha accantonato la vecchia tempera “all’antica”, ma che supera d’un colpo anche tutti i presupposti di lentezza esecutiva, riflessione, finitezza, che vi erano strettamente connessi. I nuovi soggetti del periodo sono riprese di tematiche metafisiche, ma risolte con una imagérie totalmente nuova, con colori diversi e con una tecnica risoluta che mette l’artista in concorrenza con Picasso. Nascono nuove versioni degli oggetti in una stanza (giocattoli geometrici, trofei di reperti archeologico- mnemonici ed edifici ellenizzanti), che rigenerano in una visione mediter- ranea gli interni ferraresi. Anche i manichini-filosofi, seppur rinnovati dal punto di vista iconografico e contenutistico, provengono con evidenza dai temi metafisici: ma il contenuto del loro torace, fatto di oggetti, frammenti architettonici classici e squadre, allude ora a un’infanzia autobiografica e nostalgica, affacciati come sono su cieli e marine mediterranee. Il rapporto con Picasso diviene preciso e ricercato: al 1925 risalgono anche una Figura di donna in riva al mare e una serie di Ciociare che ricordano la massiccia presenza delle figure picassiane neoclassiche, e la stessa Margherita Sarfatti, recensendo la Biennale romana del 1925 (dove era esposta una Ciociara), rileva che “Giorgio de Chirico appare fortemente impressionato dalla pit-

tura classico-sintetista del più recente Picasso”.6 Anche la critica moderna

si è facilmente appiattita sull’apparentemente facile ripresa picassiana,7 ma

il problema è decisamente più complesso. Infatti, il dialogo che de Chirico instaura è voluto, meditato, ma cerca di sottolineare le molteplici riprese di Picasso dalle sue stesse opere, intrattenendo così un rapporto di co-prota- gonismo, privo di polemica, sul palcoscenico parigino: i cieli mediterranei con le nuvole orizzontali, che Picasso ha trasformato in uno dei suoi topoi di classicismo mediterraneo-cubista, derivano senza alcun dubbio da alcuni dei dipinti più famosi dell’ultima Metafisica parigina (1915): Le double rêve du printemps, L’inquiétude de la vie, Le poète et le philosophe ecc. Anche la

La ciociara, 1925,

collezione privata. A fianco:

Figura di donna in riva al mare, 1925,

Les jeux terribles, 1925,

collezione privata.

Le peintre, 1925,

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Interno metafisico – L’après-midi d’été, 1925,

Yale University Art Center, New Haven. Esposto a New York nel 1926.

nuova pittura sintetica e compendiaria aveva radici sue lontane (Le poète et le philosophe), e la tela lasciata bianca con solo le lumeggiature a matita era parimenti una tecnica adottata nella Metafisica parigina. Insomma, de Chirico ingaggia più che un certame, un dialogo ammiccante con Picasso, replicando ciò che egli stesso aveva già sperimentato e che lo spagnolo gli

aveva a sua volta ripreso.8

In particolare, i quadri della fine del 1924 e del 1925 hanno, anche nell’im- postazione spaziale, uno stretto legame con gli oggetti complicati e affastel- lati degli assemblaggi di squadre ferraresi, il tavolato da “paccobotto” posto in prospettiva precipite, i colori brillanti (rossi, verdi ecc.), i manichini an- cora poco antropomorfizzati, i cieli dalle nuvole stilizzate, quadri stranianti e iperrealisti (come quello di un minore pittore austriaco, Breidwieser, gen- tilmente segnalatomi da Paolo Picozza) inseriti nel quadro: elementi tutti strettamente ispirati alla sua pittura metafisica. Riferimenti chiari, che a par- tire dal 1926 andranno scemando per lasciare il posto a un’ispirazione più classica e museale, dai colori più morbidi e pastellati, dalle prospettive meno

Theodor Breidwieser, Caccia ai trichechi, 1900 ca., collezione privata.

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Nature morte à la brioche, 1925,

Museo del Novecento, Milano.

forzate. I primi esempi saranno esposti nel maggio del 1925 nella galleria parigina di Léonce Rosenberg, assieme ad opere dei vari periodi precedenti.

Cosa può aver spinto de Chirico a ripensare il suo stile passato, se non la frequentazione assidua dei surrealisti avvenuta nel novembre 1924 duran- te il suo soggiorno parigino, e, possiamo dire con certezza, la sua convinta adesione al movimento? Egli, come s’è detto, partecipa attivamente ai primi numeri della rivista di Breton, “La Révolution surréaliste”, invia anche dopo il breve ritorno in Italia dei materiali che vengono pubblicati, tra cui la foto del primo quadro documentato del nuovo stile “surrealista”, riprodotto nel numero del 15 gennaio 1925, ed eseguito evidentemente prima della fine del 1924. Egli compare in due delle foto di gruppo assieme ai surrealisti pubblicate sulla copertina del primo numero della rivista del movimento, ed è oltremodo attratto dalle idee di “modernità” che lo appassionano (nuova- mente ora, dopo il transfert nel passato dei periodi romani di “Valori Plasti- ci” e “romantico”) in quella Parigi ove sente pulsare il cuore intellettuale del mondo: “La modernità, questo gran mistero, abita ovunque a Parigi spirito, intelligenza, lirismo e talento, aumenta continuamente […] E ovunque tu ti volga incontri volti sorridenti e affabili, mani amiche che stringono le tue, sguardi intelligenti e sereni che si posano su di te con ammirazione, curiosità e simpatia. Come Atene ai tempi di Pericle, Parigi è oggi la città per eccel-

lenza dell’arte e dell’intelletto.”9 Chi, se non Breton, Morise, Aragon e tutti

i surrealisti, sono quei personaggi dagli sguardi intelligenti e sereni che egli frequenta assiduamente a Parigi, e che fanno della città la nuova Atene?

Lusingato dalle attenzioni deferenti della nuova avanguardia di punta parigina, con la quale ha contatti di scambi epistolari intensi a partire dal

1921-1922,10 che divengono sempre più stretti a partire dalla fine del 1923

(quando Paul e Gala Éluard si recano, quasi in pellegrinaggio devoto, a visi- tarlo a Roma), de Chirico rimedita evidentemente quei temi della Metafisica che i surrealisti (Breton in testa) meglio conoscevano e prediligevano nella

considerazione del suo lavoro pittorico.11 E modifica la sua estetica di liri-

smo “senza tempo” tipica degli anni 1922-1923 in un lirismo di modernità visionaria, contiguo, mimetico a quello già della Metafisica e ora del surre- alismo, che associa elementi disparati in simbiosi stranianti, illuminazioni e ricordi dell’infanzia con scene di oggettività di pietra dura, modelli della sua pittura passata con elementi archeologici. In ciò non contraddicendo il suo recente passato, ma seguendo il principio nietzschiano dell’eterno ritorno, dell’enigma poetico immanente.

In genere, per distinguere de Chirico dal surrealismo, la critica ha facil- mente costruito le sue ragioni su quelle intinte nel corrosivo inchiostro della polemica sia del pittore sia degli stessi surrealisti (ma tutte successive, oc-

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corre notarlo, alla rottura tra il pittore e il movimento, avvenuta solo nel 1926); senza rendersi pienamente conto che per circa due anni ci fu una sostanziale armonia, e indubbiamente un’attiva partecipazione di de Chirico alle nascenti ideologie e poetiche surrealiste, nella cui suggestione si for- mò il suo nuovo stile. La consonanza di questo nuovo orientamento è facile da ricollegare alle teorie esposte nei primi numeri della rivista, peraltro a loro volta ispirate in discreta parte alle visionarie e anticipatrici folgorazio- ni metafisiche dechirichiane. Le ragioni pretestuose che i surrealisti mirino all’inconscio e de Chirico alla memoria, gli uni all’automatismo e al sogno e l’altro alla chiarezza e alla visione non ci possono indurre in errore: a parte l’egocentrismo di Breton, i “surrealismi” sono di molte specie e spesso assai diversi fra loro, come dimostrano anche le frequenti abiure in seno al grup- po ma soprattutto la considerazione principale dello stesso Breton sul “sur-

realismo in pittura”.12 Non vi è automatismo in Magritte o in Dalí, e d’altra

parte sogno e inconscio emergono (certo, in minor misura che in Max Ernst, per esempio) anche dalle opere di de Chirico, come dal suo “romanzo” Heb- domeros.13 Il libro, pubblicato nel 1929, fu di fatto apprezzatissimo dai sur- realisti: il che conferma il loro interesse nel lavoro dell’artista anche alla fine del decennio e una sottile ma profonda continuità di ispirazione in senso decisamente metafisico-surrealista anche negli anni tra il 1926 e il 1929.

Un surrealismo sui generis quindi, ma dalla fine del 1924 al 1926 svilup- patosi nell’alveo di quello ufficiale, nitidamente teorizzato nei primissimi nu- meri della rivista. Quando Max Morise scrive che “è qui che noi giungiamo a un’attività veramente surrealista – le forme e i colori passano da un oggetto all’altro, si organizzano secondo una legge che sfugge a ogni premeditazione,

si fa e si disfa nello stesso momento in cui si manifesta”,14 si può cogliere

una totale continuità ideale con gli interni metafisici del 1924-1925, colmi di oggetti imprecisabili in cui le forme e i colori vivacissimi si compenetrano senza ordine. O ancora, i manichini le cui forme viscerali si materializzano in rovine, giocattoli e squadre non sembrano differire da quel sogno reso confu- so dal recente risveglio di cui parla Aragon: “Nel momento in cui si formano, questi macchinari della vita pratica hanno ancora la scapigliatura del sogno, quello sguardo folle, inadatto al mondo che li apparenta allora a una semplice immagine poetica, al miraggio scivoloso da cui essi escono appena, davvero malrinsaviti da una sbornia. Allora solamente l’ingegnere sfugge al suo genio, riprende questa allucinazione, e per così dire la ricalca, la traduce, la met-

te alla portata delle mani degli increduli.”15 L’idea di invenzione di Aragon

coincide poi singolarmente con le convinzioni filosofiche di de Chirico fin

dai tempi della Metafisica,16 ed è sicuramente in gran parte ispirata da queste:

Le poète triste consolé par sa muse, 1925,

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20. La rottura con Breton

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